Titolo: Ritardo
Autore:
p-willBeta: la sistah, e a breve la Kate
Personaggi/pairings: One Piece > Zoro/Sanji
Rating: Hard R/NC17
Avvertimenti: slash, pwp, masturbazione, voyuerismo \o/
Disclaimer: Avete presente Eiichiro Oda? Yep, ancora suoi.
Note: Scritta per il P0rn Fest di
fanfic_italia; prompt: "Sanji/Zoro, ritardo".
Quella era l'offesa definitiva.
Sanji si considerava una persona educata e comprensiva, paziente e più che disposta ad ignorare la portata dell'idiozia di quel grosso coso verde per preservare la quiete della ciurma e le preziose ore di riposo delle ragazze. Poteva passare sopra agli insulti, che erano infantili; poteva passare sopra alle liti, perché era chiaro che aveva ragione lui; poteva persino passare sopra alle volte in cui l'idiotico spadaccino lo batteva, o alla sua aria compiaciuta quando faceva fuori più marines di lui in uno scontro (e non era mica colpa di Sanji se i marines erano stupidi e si buttavano tutti sul celebre e temuto e bla bla bla Roronoa Zoro, quand'era palese che era di lui che dovevano aver paura).
Era una persona che sopportava molto, Sanji. Ma un comportamento del genere aveva davvero superato il limite.
Servì le ragazze con il sorriso più smagliante del suo repertorio, non volendo infettare la loro cena con le vibrazioni negative che gli causava l'idiota, ringraziò dal profondo del suo cuoricino devoto quando la voce soave di Nami gli fece i complimenti e Nico Robin gli regalò un piccolo sorriso prezioso come la perla più rara dell'oceano, poi marciò fuori dalla cucina per scovare lo stupido marimo ed appenderlo all'albero maestro - non prima di aver calciato a dovere Rufy che tentava di allungare le manacce verso la porzione incustodita del suddetto stupido marimo.
Non perché tenesse all'idiota. Solo che dopo avrebbe dovuto ricucinare da capo, e non voleva sprecare cibo inutilmente; e inoltre, aveva intenzione di assicurarsi che Zoro mangiasse la sua dannata cena, a costo di infilargliela in gola con un imbuto.
Così imparava a fare tardi ai suoi pasti.
Lo cercò in lungo e in largo per la nave, sulla postazione di vedetta, a poppa, a prua, sotto coperta, persino tra i preziosi mandarini di Nami, se proprio l'idiota si fosse sentito così suicida da andare a nascondersi lì. Non c'era, non c'era e non c'era, e Sanji stava iniziando a sperare flebilmente che si fosse buttato a mare quando, passando per l'ennesima volta sul ponte davanti alla porta del magazzino, notò finalmente una testa di alghe oltre l'oblò. Avanzò con aria truce verso la stanza, auspicandosi che lo spadaccino avesse una scusa davvero buona per essere così in ritardo. O anche no, così avrebbe potuto picchiarlo.
Stava per spalancare la porta con un calcio quando un rumore lo gelò, la gamba bloccata a mezz'aria e la sigaretta che minacciava di cadere a terra. Era stato solo un attimo, coperto dal chiasso della cucina, ma l'aveva sentito distintamente - seppur basso, seppur soffocato, era un gemito.
Dal magazzino. Da Zoro.
E fu probabilmente il malefico clima del Grand Line a non fargli buttare giù la porta urlando di non permettersi certe cose nel magazzino delle sue provviste, a fargli abbassare la gamba, a spingerlo ad avvicinarsi in silenzio verso l'oblò nella porta e guardare dentro e trattenere il fiato quando nella luce scarsa distinse ciò che stava accadendo. Doveva essere per forza il clima folle, perché si era fatto improvvisamente molto molto caldo.
C'era solo il sole ad illuminare la stanza, la luce del tramonto che entrava dalle finestre quel tanto che bastava a tingere tutto di rosso, le casse, gli armamenti, le pile di funi, e Zoro seduto a terra con la schiena contro il muro, gli occhi chiusi e una mano nei pantaloni.
Sanji odiava sapere fin troppo bene cosa stesse facendo, ma mai quanto odiava l'essere pietrificato a fissare. Era folle, surreale, e stava per girare i tacchi quando Zoro gettò la testa all'indietro, con un tonfo sordo che non nascose un altro gemito, e Sanji si ritrovò più pietrificato di prima, gli occhi sbarrati e la bocca secca.
E una dolorosa pressione al basso ventre che era la cosa più folle e surreale di tutte. Perdio, non c'era nulla di così strano! Aveva semplicemente beccato un suo compagno mentre... faceva... cose, okay, erano isolati in mezzo al mare ed era perfettamente normale. Quindi poteva tranquillamente tornare di sopra e smetterla di stritolare la sigaretta a quel modo mentre restava impalato in attesa di essere scoperto.
Oh Dio, non si ricordava nemmeno che ci era andato a fare laggiù, figurarsi se poteva fare qualcosa di così ragionevole.
Intanto la mano di Zoro continuava a muoversi, decisa, sicura, e altri ansiti sfuggivano dalle labbra dello spadaccino; suoni bassi, rauchi, che Sanji non avrebbe dovuto sentire tant'erano flebili. E invece sembrava avere le orecchie sintonizzate male, determinate a ignorare le chiacchiere dei suoi compagni o l'infrangersi delle onde sulla Merry in favore degli stupidi versi che quello stupido spadaccino faceva con la stupida mano negli stupidi pantaloni.
Zoro si inarcò all'improvviso, torcendo il polso in maniera evocativa e- oh Dio, non poteva- aveva l'altro braccio piegato dietro la schiena, e l'altra mano non si vedeva, e Sanji nemmeno si accorse di essersi premuto la propria mano tra le gambe con un'imprecazione quando il bacino di Zoro scattò in avanti, staccandosi da terra con un verso più forte degli altri.
Surreale. Starsene piantato in mezzo al ponte con l'erezione più veloce che si ricordava di aver mai avuto in vita sua, a fissare rivoletti di sudore scivolare lungo il collo dello spadaccino, quella pelle forte e provata dal sole che adesso la tingeva di rosso, mentre Zoro si scopava da solo con le dita e spingeva contro il proprio pugno e apriva gli occhi e fissava Sanji.
...oh. Porca. Puttana.
Per un attimo anche Zoro si bloccò, le pupille dilatate e distanti e la bocca semi-aperta, e si guardarono, occhi negli occhi, per un secondo che parve un secolo, finché Zoro non venne con un'imprecazione strozzata, e Sanji poteva vedere le macchie perlacee sui pantaloni del marimo, sulla maledetta mano che si era impressa nella sua mente a fuoco.
E prima che Zoro potesse anche solo pensare di alzarsi scappò. Per tornare dagli altri, per andare a lavare i piatti, per evitare una conversazione allucinante. Per non far vedere a Zoro che si era eccitato, o perché non voleva ammettere di essere quasi venuto come un ragazzino quando aveva incrociato lo sguardo dell'altro.