[Supernatural] In a perfect world you'd still be here (9/11)

Nov 27, 2011 01:16

Titolo: In a perfect world you'd still be here
Fandom: Supernatural
Personaggi: Dean Winchester, Sam Winchester, Castiel, Death, Michael, Lucifer, Mary Winchester, OMC, OFC, presenza minore di Bobby Singer
Pairings: Michael/Lucifer, Dean/OFC (diciamo... più o meno XD)
Rating: PG
Genere: AR (Alternative Reality), drammatico, angst
Parte: 9/11
Warnings: lieve linguaggio, accenni di incesto slash tra due angeli, spoiler fino alla fine della 6° stagione
Warning SPOILER sulla trama: Character death (sort of, la morte è solo temporanea)
Note: Post 6x22, inizio alternativo della 7° stagione.
Scritta per il bigbangitalia insieme alla mia adorata soulmate arial86.
Riassunto: Per riportare l’ordine nell’ormai irrimediabile anarchia causata dai Winchester negli equilibri di vita e morte, Death prende una drastica decisione: intervenire personalmente nel passato, modificando gli eventi. Le conseguenze riscrivono l’intera esistenza di Dean e Sam, creando una realtà alternativa in cui i due fratelli sono cresciuti vivendo una vita normale, completamente ignari dell’esistenza del soprannaturale. A 32 anni, Dean vive con sua moglie e i suoi due bambini, sereno seppur con il ricordo doloroso di suo fratello, morto quattro anni prima. Ma lo spirito di Sam, dilaniato dai ricordi della sua vera vita, ora vaga nel tormento. E mentre Dean, tra déjà-vu e ombre del passato, scopre l’esistenza di un mondo fatto di fantasmi, medium e cacciatori, qualcuno si sta muovendo in segreto per rimettere ogni cosa al suo posto.
Disclaimer: Caroline, Richard e i pupetti sono roba nostra, su tutti gli altri personaggi non deteniamo alcun diritto, per fortuna per loro e purtroppo per noi. Non ci guadagniamo niente se non il piacere di soffrire e far soffrire. ♥
Masterpost: QUI

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All this time I can't believe I couldn't see
Kept in the dark but you were there in front of me
I’ve been sleeping a thousand years it seems
Got to open my eyes to everything
(Bring me to life - Evanescence)

Dean indietreggiò con un violento scatto, barcollando sul terreno fradicio e scivoloso. Attraverso le gocce di pioggia che gli pungevano gli occhi, un lampo illuminò la figura di Castiel, la sua mano non ancora del tutto abbassata, e Dean sentì i ricordi e i sentimenti di due vite ingaggiare un’improvvisa e furiosa battaglia dentro di lui. Una voce però la sovrastava, più forte del tumulto, più forte del fragore del tuono.
Sam è morto. Sam è morto! È MORTO!
“Che cosa hai fatto... Che cosa hai fatto?” gridò Dean. “Cos’è questo, una specie di giochino perverso da padreterno per la gente che non si inginocchia a baciarti il culo?!”
Castiel sorrise, mesto. “Non sono il padreterno, non qui almeno. Ammesso che lo sia mai stato da qualche parte.” Distolse lo sguardo, pieno di vergogna. “E so che non mi credi, ne hai tutto il diritto, ma non giocherei mai con la tua vita in questo modo, né con quella di Sam.”
Il capo chino, la pioggia che gli correva in pigri rivoli lungo le guance e il collo, Castiel sembrava davvero il ritratto della colpa, ma Dean non si lasciò ingannare. Non poteva.
“Non giocherei mai con la tua vita in questo modo, né con quella di Sam.” Già, ironico che a dirlo fosse proprio la creatura che aveva sgretolato il muro che proteggeva suo fratello, lasciandolo piombare in Dio solo sa quali visioni da incubo. No, non ironico... ipocrita. E stupido.
“La vita di Sam l’hai usata come diversivo, Cas, ci puoi giurare che non ti credo!” ribatté ferocemente Dean, e soltanto la maschera di rancore sul suo viso impedì a un fulmineo smarrimento di risultare troppo evidente. Lo ricordava perfettamente, Castiel aveva distrutto il muro nella testa di Sam e si era sparato un’overdose di anime solo un giorno prima, eppure ricordava perfettamente anche l’altro Sam, non era stato un sogno o un’illusione crescere insieme a lui e piangere la sua morte... alle spalle aveva ancora una casa con le pareti coperte dalle sue parole disperate...
Cristo, che cazzo mi sta succedendo?!
Si sostenne contro l’uscio, sopraffatto da una momentanea vertigine. Sentiva sulla lingua il sapore acre della paura, tanto forte da intorpidirgli le labbra e rivoltargli lo stomaco in spasmi dolorosi. E se Sam fosse stato perso per sempre?
Chiuse gli occhi, rifiutandosi di accettare una simile eventualità, e la mano di Castiel si posò sulla sua spalla. “Entriamo in casa, Dean. Ti avevo detto che potevo indicarti un modo per aiutare tuo fratello, ed è così.” Lo guidò attraverso la soglia, leggero e implacabile. “Cos’altro hai da perdere?”

Con un movimento lento e meccanico, Dean continuava a strofinarsi sui capelli un asciugamano ormai quasi fradicio, fissando in silenzio la parete fiocamente illuminata da una delle lampade del soggiorno. Di tanto in tanto, la luce tremolava come se temesse di poter fare da un momento all’altro la stessa fine del lampadario esploso.
I CAN NEVER GO HOME.
Avvertiva la presenza silenziosa di Castiel in piedi alle sue spalle, rimasto in disparte in attesa anche solo di una parola dopo avergli spiegato come la sua vita e quella di Sam fossero state cancellate e riscritte. Con la coda dell’occhio, Dean catturò per un attimo la sagoma del lungo impermeabile di Jimmy Novak ed emise uno sbuffo sottile, l’ombra pallida e stremata di un sorriso.
“Nemmeno una realtà alternativa è sufficiente a far cambiare guardaroba a questo tizio,” mormorò, con voce spenta. La sua mano si strinse attorno all’asciugamano, il braccio che lentamente si abbassava, lo sguardo che tornava a fissarsi sulle lettere cremisi. Non si voltò.
“Cas... cosa sta succedendo a Sam?”
“Sam è bloccato,” cominciò Castiel, spostandosi su uno dei braccioli del divano. “Nelle intenzioni di colui che ha modificato il corso degli eventi, voi non avreste dovuto ricordare nulla, e per te è stato così. Per Sam no.” Fece una pausa, come per lasciare alle proprie parole il tempo di sedimentare, poi continuò. “La sua anima era danneggiata al punto che un’eco di tale malessere è rimasta, anche qui. Nel momento della sua morte, tuo fratello ha ricordato ogni cosa, ed è per questo che non può andare avanti.”
Rigido e immobile, Dean soffocò un respiro troppo simile a un gemito e chiuse gli occhi. Come aveva potuto permetterlo? L’ombra di ricordi mai avvenuti l’aveva inseguito per tutta la vita, troppo lontana e sfocata per poterla riconoscere, e lui non era stato in grado di allungare la mano abbastanza da afferrarla. E Sam era morto da solo, lontano da lui, e forse, prima che il suo cuore si fermasse per sempre, aveva avuto un momento di lucidità in cui aveva ricordato tutto, forse si era chiesto perché il suo fratellone non l’avesse protetto, perché l’avesse abbandonato. Forse continuava a chiederselo anche adesso.
“Sta soffrendo.” La sua voce era un rauco e tremante sussurro. “È così? È per questo che non può arrivare in Paradiso? È perché sta soffrendo troppo che non riesce a lasciare...” Te. Non può lasciare te, abbi il coraggio di dirlo. È condannato per causa tua. “Per questo non può lasciare questo mondo, Cas?”
“No, Dean,” rispose l’altro, le mani intrecciate sul grembo come se non sapesse bene cosa farne, come se fosse tornato l’angelo di un tempo, incapace di  protenderle per dare conforto o di usarle per allungare un generoso bicchiere di scotch. O forse proprio per impedirsi di farlo. “Tuo fratello non può arrivare in Paradiso perché il suo Paradiso non esiste più. Perché il suo Paradiso sarebbe dovuto essere con te.”
Dean si voltò di scatto, i suoi occhi increduli e sgomenti che incontravano quelli desolati dell’angelo. Immagini e parole lontane ormai anni tornarono a stringergli il cuore, in un modo che nessun essere umano avrebbe potuto comprendere, perché nessun essere umano ha avuto il privilegio di fare una gita turistica anticipata nel proprio Paradiso. Rivide la strada, la notte illuminata dai fuochi del 4 Luglio, il sorriso pieno d’amore e fiducia di un Sam ancora così giovane e innocente. Un ricordo. E stringerlo tra le braccia era stato bello, per un attimo lo aveva reso felice, ma non sarebbe mai stato abbastanza. Per questo aveva cercato il vero Sam, ed era riuscito a raggiungerlo nonostante fosse quasi impossibile potersi trovare lassù. Lo aveva raggiunto come succedeva ai casi speciali, alle “anime gemelle”, aveva detto Ash. “Se io sono in Paradiso, allora dov’è Sam?” Era stato il suo primo pensiero quella volta, e a lungo era rimasto convinto che per Sam non sarebbe stata la stessa cosa, perché il suo Paradiso si era rivelato diverso, così pieno di altre persone e altri luoghi, e così privo di lui...
Dean colpì la parete con un pugno disperato, per poi addossarsi su di essa, posandovi la fronte. Non lottò contro le lacrime che scendevano a rigargli le guance. “Oh Sammy...”
Per un lungo momento, a riempire la stanza fu solo il suo respiro pesante e fremente, mestamente accompagnato da una pioggia che da temporale era scemata in una malinconica nenia contro i vetri delle finestre. Infine, Dean tornò a voltarsi verso l’angelo. I suoi occhi bruciavano. “Chi è stato?”
“Death,” si limitò a rispondere l’altro, e Dean non ebbe bisogno di chiedere ulteriori spiegazioni. In fondo, non era questo che gli aveva detto quel cadaverico figlio di puttana l’ultima volta che si erano incontrati? Lui e Sam erano uno schiaffo in faccia all’ordine dell’Universo, la molla allentata in quello che altrimenti sarebbe stato un fottuto orologio svizzero. Era un’altra la domanda che lo tormentava adesso: perché solo Sam? Perché, cazzo, non prendere entrambi e farla finita una volta per tutte? Perché a lui erano toccate la staccionata bianca e la perfetta famiglia, mentre a Sam una pugnalata allo stomaco e un funerale?
“Tuo fratello non può trovare pace, lo sai,” riprese Castiel, senza neppure provare a indorare la pillola. “Di questo passo, ben presto diventerà una delle creature a cui davate la caccia. La sua disperazione e la sua rabbia hanno già cominciato a cambiarlo, posso sentirlo.” Si avvicinò, questa volta gli sfiorò una spalla, e Dean, svuotato, lo lasciò fare.  “Neppure bruciare le sue ossa servirà a nulla,” continuò l’angelo, inesorabile. “La sua anima non è legata a questa realtà, Dean, ma a te. Continuerebbe ad esistere e il suo dolore non avrebbe comunque fine.”
Come se quelle ultime parole l’avessero trafitto, Dean gli rivolse uno sguardo disarmato e implorante, uno sguardo che non gli rivolgeva da molto tempo e che probabilmente Castiel non avrebbe rivisto mai più. Ti prego, aiutami, dicevano i suoi occhi.
“Allora che cosa possiamo fare?”
“Sono stato mandato da qualcuno in grado di rimettere a posto le cose, ma avrò bisogno del tuo aiuto. Del tuo consenso,” concluse Castiel, insicuro.
Pensa che potrei negargli qualcosa, in questo momento? si chiese Dean, sbalordito. Ha davvero capito così poco di me?
“Dannazione, Cas, dimmi solo cosa cazzo devo fare! Non lascerò Sam a questa condanna! Qualunque cosa ti serva per salvarlo, la risposta è sì!” gridò, sul viso una disperata determinazione. Ogni secondo che perdevano era un secondo di infinito dolore per suo fratello. Perché Castiel non si decideva a sputare il rospo? E perché lo guardava con quella sorta di... costernazione? “Si tratta di me, devo prendere io il suo posto? Lo farò, farò qualsiasi cosa, parla!”
“Hai così tanto da perdere, Dean,” mormorò Castiel, abbassando gli occhi a terra. “La cosa non riguarda più solo te e Sam.”
Dean esitò per un momento, e il suo sguardo si posò su una delle tante cornici che Caroline aveva disseminato per la casa. Una volta le aveva detto che se le fondamenta avessero ceduto, ci avrebbero pensato i suoi quadretti a sostenerla, e lei aveva riso, ricordandogli che le foto catturano i momenti migliori, per farli sempre parlare al tuo cuore, anche quando sono ormai poco più che uno sbiadito ricordo. E quella davanti a lui gli parlava di una famiglia, una famiglia felice. Di una moglie amorevole e di due splendidi bambini. Non poteva obiettare, perché, sì, aveva qualcosa da perdere. Aveva molto da perdere e non l’avrebbe mai rischiato, per nessuno.
Nessun altro.
Ma c’era anche Sam su quella dannata bilancia, e il suo piatto era, ancora adesso, quello più pesante. La verità era che per lui le cose non sarebbero mai cambiate. Tutto avrebbe sempre riguardato solo e soltanto suo fratello.
“Cas... dimmi cosa devo fare. Dimmi chi ti ha mandato qui e come possiamo salvare Sam. Io non posso... non posso abbandonarlo, non posso perderlo.” Abbassò lo sguardo, lucido e tormentato. Fino a mezz’ora prima era stato una persona diversa, in grado di sopravvivere per quattro anni senza Sam, una persona che forse alla fine avrebbe accettato che il fantasma del fratello venisse distrutto, se non avesse avuto altra scelta. Ne avrebbe sofferto, ma avrebbe continuato a vivere e un giorno avrebbe voltato pagina. Ma ora, quella persona era stata spazzata via. Anche soltanto essere vivo in un mondo in cui Sam non c’era più sarebbe bastato a spezzargli ogni respiro nel petto, ma il pensiero del suo spirito condannato al dolore e alla violenza era semplicemente intollerabile.
“L’unico modo per salvarlo è riportare la realtà sul suo binario, tornerà tutto esattamente com’era nell’ultimo dei tuoi ricordi,” rispose Castiel. Catturò un secondo i suoi occhi, poi continuò. “Questo significa che tutto quello che ora possiedi scomparirà. Tua moglie, tua madre, i tuoi figli…”
Ma lui sarà di nuovo con me, ribatté la sua mente, e Dean si odiò per questo. Si odiò per quello che era disposto a sacrificare pur di riavere suo fratello, e perché nulla, per lui, reggeva il confronto; si odiò perché, ancora una volta, gli era bastato un solo istante per decidere di condannare qualcun altro per Sam. Ma, soprattutto, perché non riusciva a pentirsi della scelta fatta.
Eppure, dirlo a voce alta era dannatamente difficile. Nel tranquillo sobborgo di Mission, Caroline sarebbe nata e cresciuta felice, e probabilmente avrebbe incontrato qualcun altro da amare e con cui costruire una famiglia; sua madre sarebbe morta in un modo orribile, troppo giovane e con ancora tanto amore da dare e da ricevere, e a lui sarebbe mancata ogni giorno, ma forse persino lei in quel momento l’avrebbe implorato di salvare Sam e di non farle conoscere mai il dolore di sopravvivere a lui e a John; ma i suoi bambini...
“Non nasceranno... quei bambini non esisteranno mai, non è vero?” mormorò, senza guardare Castiel negli occhi, conoscendo già la risposta. Stava per cancellare dall’esistenza i suoi figli.
L’angelo scosse la testa. “No, ma c’è differenza fra il non nascere affatto e il morire, Dean. Questo potrebbe essere un bene, per loro... i tuoi figli sono condannati allo stesso destino che spettava a te e Sam. Il tuo sangue li ha già maledetti.”
Dean sollevò su di lui due occhi sgomenti, il respiro improvvisamente stretto dall’angoscia. Non quei due bambini innocenti, no! Quei due bambini che, oh cristo, avevano esattamente la stessa differenza di età che c’era tra lui e Sam! John aveva compiuto sei mesi da poco più di due settimane...
Dean chiuse gli occhi, deglutendo a fatica. Indietreggiò adagio e si sedette, fedelmente accolto dal confortevole divano di quella calda e perfetta casa di periferia. Quando tornò a guardare Castiel, nei suoi occhi era rimasta solo un’amara e consapevole tristezza. Il destino che aveva gravato su di lui e su Sam li aveva spinti a chiedere alla loro stessa madre di non farli mai nascere. E quella volta, Dean aveva usato le stesse parole, con voce salda e piena di convinzione.
“C’è una grande differenza tra morire e non essere mai nati! E credimi, a noi sta bene!”
Sollevò impercettibilmente un angolo delle labbra. Qualcuno avrebbe potuto dire che si trattava di un sorriso, per poi ricordarlo per sempre come la più impalpabile e lancinante raffigurazione del dolore che avesse mai visto.
“Accetto. Cosa devo fare?”
A quella domanda, Castiel parve ancora più a disagio.
“Dare il tuo consenso a Michael. È stato lui a mandarmi qui,” disse, fissando un punto oltre la spalla di Dean. Non poté però evitare più a lungo il suo sguardo, quando Dean scattò in piedi esterrefatto.
“Mi prendi per il culo?! A farti venire qui per risolvere tutto questo fottuto casino sarebbe stato Michael?” gridò. “L’ultima volta che ho considerato l’idea di farmi noleggiare per la serata da quello stronzo militarista con le ali, mi hai incrinato due costole, Cas!”
“E non si può dire che fossi nel torto,” ribatté l’angelo, gli occhi ancora brucianti per l’antica rabbia. “Comunque, che ti piaccia o meno, Michael è l’unico a poter fare qualcosa adesso. Io sono in grado di viaggiare attraverso il tempo, ma l’evento su cui ha agito Death non si trova più su questa linea temporale, fa parte della realtà originaria che esiste ormai unicamente come un’eco, un’ombra sbiadita. Solo lui può darle concretezza per il tempo necessario a fermare Death, e solo nel tuo corpo.”
Dean lo ascoltò corrugando la fronte, poi si passò una mano sul viso con un sospiro esasperato, rinunciando a chiedere ulteriori delucidazioni su tutta quella faccenda di linee temporali fantasma, prima di farsi venire un’emicrania. Non era quello il problema.
“Cas,” cominciò, costringendosi a mantenere un tono ragionevole, “se fossi certo che sta morendo dalla voglia di aiutarmi, ti posso assicurare che al momento non direi di no nemmeno a Jeffrey Dahmer[1].” Ignorò lo sguardo perplesso dell’altro a quel nome. “Ma stiamo parlando di Michael! Neanche una realtà in cui me ne vado in giro su una merda di station wagon può essere tanto alternativa da farmi credere che Michael voglia farmi un favore!”
“Infatti non è così...” assicurò Castiel, la voce che si perdeva in un sussurro.

Dapprima, assistere agli sforzi di Michael era stato divertente, Lucifer non poteva negarlo. Osservare il suo disappunto trasformarsi in dolore e rabbia, la sua corazza incrinarsi poco a poco, fino a quando della sua scintillante armatura non erano rimasti che sbiaditi frammenti.
Chi è come Dio adesso, fratello?[2]
Ora però la disperazione di Michael era qualcosa che sentiva sulla sua stessa pelle, e non si trattava di vuote metafore: quell’idiota continuava a scagliarsi contro le pareti della gabbia, mentre questa diventava sempre più angusta e opprimente nel tentativo di soffocare i suoi poteri.
Possibile che non abbia ancora capito come funzionino le cose, qui sotto?
E poco importava che lui c’avesse messo secoli, i suoi errori non erano ricaduti su nessun altro.
“Sai cos’è una trappola per dita?” aveva chiesto, fra un attacco e l’altro.
Michael si era voltato, ansante. Noia e fastidio dipinti sul viso, l’espressione che diceva chiaro e tondo che, non fosse stato per seccature come quella, lui sarebbe stato già fuori.
“I tuoi argomenti di conversazione erano più interessanti, un tempo.”
“È un piccolo cilindro, in stoffa o altri materiali…”
“So cos’è una trappola per dita, Lucifer,” aveva interrotto, la sua irritazione evidente.
“Allora saprai come funziona, Michael. Più ti dimeni, più si stringe, e questo posto non è differente. Dacci un taglio, o finirai per farti male sul serio.” 
Le labbra di suo fratello si erano strette in una linea sottile, il suo sguardo gelido. “Sei folle se pensi di riuscire a tenermi qui con te grazie a simili storie.”
La risata di Lucifer si era levata, alta e beffarda. “Credi davvero che se ci fosse un modo per uscire di qui, uno qualsiasi, non ne approfitterei? Ti sopravvaluti, fratellone.”
E Michael aveva sorriso. Un sorriso dolce, appena accennato, prima di lanciarsi ancora una volta all’attacco. Così, esclusivamente per principio.
Il colpo era stato brutale, le conseguenze immediate. Una colonna di fuoco aveva investito suo fratello, scagliandolo lontano.
“Michael!”
Il suo grido era stato spazzato via dal fragore delle fiamme, prima che l’oscurità inghiottisse nuovamente ogni cosa. In un attimo si era portato al suo fianco, sicuro di averlo perso. Quando l’aveva preso fra le braccia, però, una mano era corsa al suo collo, leggera e minacciosa. “Un solo commento e sei morto,” aveva scandito con assoluta sicurezza il capo dei Serafini, per poi scoppiare in un riso un po’ incerto.
“Idiota,” aveva replicato Lucifer, stringendolo con maggior forza.
Nonostante le sue parole, Michael si era abbandonato contro di lui, e qualcosa in Lucifer si era finalmente sciolto. Per la prima volta in millenni, suo fratello accettava la sua vicinanza e il suo tocco. Il suo amore.
Gli aveva sfiorato le ali e Michael si era lasciato andare a un sospiro, la sua mano che correva istintivamente a cercarlo.
Sei davvero così stupido? si era allora detto Lucifer, la rabbia che lo accecava ancora una volta. Non è te che ha scelto. Semplicemente, non ha nessun altro. Non qui. Sei solo un ripiego e non appena Paparino deciderà che il suo castigo è durato abbastanza, non si farà alcuno scrupolo a lasciarti.
“Non provarci mai più,” gli aveva intimato, allontanandosi, sordo al dolore e alla confusione riflessi sul volto di Michael.
Da bravo padrone di casa, era tornato a occuparsi degli altri suoi due ospiti: non voleva si sentissero soli. In fondo, sentiva quasi di dover essere loro grato, perché quando, sazio delle loro grida e del loro sangue, tornava nel suo angolo, il momentaneo appagamento gli rendeva meno difficile dimenticare la presenza di suo fratello.
Sì, non era perfetto, ma sembrava funzionare. E avrebbe continuato, per sempre o sino a quando Michael non fosse stato liberato. Ne andava della sua salute mentale, o di quello che ne restava.
Poi l’aveva sentita, la gabbia che si apriva.
Death.
È finita, aveva considerato Lucifer. Forse l’aveva persino ripetuto ad alta voce, perché Michael aveva risposto. “No!” aveva implorato, spostandosi al fianco del fratello minore e costringendolo a indietreggiare.
Death aveva sollevato lo sguardo su entrambi, per poi rivolgersi a Michael. “Non sono qui per lui, ragazzino. Ho deciso di lasciare a vostro Padre il piacere delle sculacciate.” Detto questo, aveva afferrato l’anima di Sam ed era scomparso con essa.
Michael era allora caduto in ginocchio, dov’era rimasto a lungo, tremante.
Temeva solo che Death potesse derubarlo del suo prezioso destino, aveva chiosato l’orribile voce nella testa di Lucifer, ma lui l’aveva zittita. Poteva essere un superbo egoista, ma sapeva riconoscere la verità, quando questa gli sbatteva in faccia.
“Michael...” aveva sussurrato, e suo fratello si era voltato, il viso una maschera di disprezzo.
“Cosa? Senti già la mancanza del tuo giocattolino? Mi dispiace, ma non ho alcuna intenzione di sostituirlo.”
“Avrebbe potuto ucciderti.”
A questo, Michael aveva riso. “Già, e scommetto che ti sarebbe proprio dispiaciuto tornare ad avere casa tutta per te,” aveva ribattuto, caustico. "Un'idilliaca stanza delle torture per te e quel miserabile laggiù."
Lo sguardo di Lucifer si era infiammato.
“Credi che tutto questo non sia una tortura per me, che non lo sia stato per millenni? Credi che guardarti non sia il peggiore dei tormenti? Il fratello che amavo e adoravo ha impugnato la sua spada per uccidermi! Non passerò l’eternità a contemplare il disprezzo nei tuoi occhi, Michael!”
Michael si era levato in piedi, dolore e rabbia ad adombrare i suoi lineamenti. Sembrava quasi che le parole di Lucifer suonassero come un affronto.
“Non è stata una mia scelta. Io non ho mai desiderato ucciderti,” aveva replicato, scandendo le parole con voce tagliente e roca.
Lucifer era scoppiato in una risata isterica. “Stavi per farlo! Lo avresti fatto, e l’unico motivo per cui hai smesso di provarci è perché sai che se lo facessi ora, qui dentro, moriresti anche tu!”
Michael gli aveva rivolto solo un silenzio fremente, in risposta, e Lucifer aveva incalzato. “Avanti, fratellone!” aveva gridato, la disperazione che si faceva strada nella sua voce . “Abbiamo atteso per millenni! Possiamo farla finita ora! Avanti!”
Prima che Michael avesse il tempo di reagire, Lucifer lo aveva colpito. Le pareti della gabbia avevano tremato, come scosse da un tuono. Un solo istante di smarrimento, e il Principe delle Legioni Celesti era di nuovo in piedi e si faceva avanti con l’ardore negli occhi. Lucifer non aveva indietreggiato.
Si erano gettati l’uno contro l’altro, il potere delle loro essenze che esplodeva nell’oscurità. Quando, dalle pareti, aveva visto sprigionarsi nuovamente il fuoco infernale e  avvertito il respiro mozzarglisi come se l’aria gli stesse artigliando la gola, Michael aveva semplicemente chiuso gli occhi, attendendo la fine.
Poi, un fruscio aveva sferzato prepotentemente lo spazio attorno a lui, e il freddo lo aveva abbracciato di colpo. Quando aveva riaperto gli occhi, il volto di Lucifer era di fronte al suo, e le ali del fratello minore lo circondavano completamente. Il furibondo potere della gabbia aveva smesso di soffocarlo; poteva ancora udire il ruggito delle fiamme, ma adesso era come se venisse da lontano, al di là di una barriera invalicabile.
“Non posso,” aveva mormorato mestamente Lucifer, un pallido sorriso sulle sue labbra. “Sai, qui dentro potrei essere più forte di te, per una volta. Sei più vulnerabile di me a questa prigione, dopotutto è stata il mio privé  così a lungo.” Si era stretto nelle spalle, in un gesto rassegnato. “Eppure non posso, non riuscirò mai ad andare fino in fondo. Non posso ucciderti.”
Michael era rimasto in silenzio, stupito e confuso.
“Capisci perché è così difficile?” aveva proseguito Lucifer. “Ti amavo più di ogni altra cosa, Michael. Tu mi hai già ucciso allora... nel momento in cui mi hai abbandonato e hai sollevato la spada contro di me.”
“No!” aveva esclamato allora Michael. “No, amavi la tua ambizione molto più di quanto amassi me!” Non era riuscito a celare il rancore quasi puerile in quelle parole. E non gliene era importato nulla. “Io ti chiesi di fermarti, io non volevo farti del male! Sei stato tu a decidere di andare avanti, quando hai dovuto scegliere tra la tua ribellione e me!”
“Ti sbagli! Tu mi hai chiesto di scegliere tra la mia ribellione e nostro Padre!” aveva ribattuto Lucifer. “La sola cosa che mi dicesti, allora, fu di non disobbedirgli oltre! Continuavi soltanto a ripetere la tua parte di copione, da perfetto soldato e perfetto figlio, mostrandomi esattamente tutto ciò che di sbagliato avevo scelto di rifiutare, e per questo tu mi chiamasti ‘mostro’! Eppure io ti avrei ascoltato lo stesso, se solo...” Una pausa, le lacrime sul volto di Lucifer, lo smarrimento su quello di Michael. “‘Resta con me’. Ecco la sola cosa che avresti dovuto dirmi, Michael, nient’altro. Solo ‘resta con me’. E io l’avrei fatto.”
“Lucifer...” Con gli occhi sgranati, Michael era riuscito solo a sussurrare il nome del fratello, attonito. Sapeva che Lucifer aveva amato Dio, che lo aveva amato profondamente come tutti i loro fratelli. Eppure, per Dio non si era fermato.
Lucifer aveva continuato a sorridere tra le lacrime, e aveva chiuso gli occhi. “Ormai non ha più alcuna importanza. Paparino si direbbe troppo occupato per ricordarsi di darti un passaggio fino a casa, e io non lascerò che tu muoia.” Le sue ali avevano stretto impercettibilmente il loro abbraccio, mentre pronunciava quelle parole. “Ora resterai con me perché non hai scelta... come non hai mai avuto alcuna scelta fin dall’inizio del tempo,” aveva sospirato. “Non ti resta che sperare che nostro Padre si ricordi del suo figlio prediletto e si disturbi a mandare qualcuno a prenderti, e a quel punto...” Si era interrotto, abbassando il viso nel trattenere un singhiozzo.
Era stato allora, che Michael aveva parlato. “E a quel punto spero che la smetterai di fare la regina del melodramma,” aveva detto. “Perché avrò avuto una scelta.”
A quelle parole, Lucifer aveva sollevato il volto, spaesato. Di fronte a lui, Michael lo guardava con l’accenno di un sorriso. Aveva chiuso gli occhi, appoggiando la fronte a quella del fratello minore, e Lucifer l’aveva sentito lasciarsi andare e sprofondare lentamente nel suo abbraccio. Dopo così tanto tempo, solitudine e rancore, suo fratello aveva scelto lui.
E poi un giorno, in meno di un istante, la realtà era stata squarciata e la storia riscritta. Michael era stato strappato via.

“La cosa riguarda anche lui, Michael ha motivazioni personali ben precise,” proseguì Castiel. “Ed è l’unica occasione per Sam, te lo garantisco. Devi fidarti di me, Dean.” Un sorriso mesto gli si dipinse sul viso. “Qui sono ancora soltanto Castiel, un tuo amico. Puoi ancora credermi.”
Dean ristette, sostenendo lo sguardo dell'altro in un teso attimo di silenzio. Vide la sincerità nei suoi occhi e abbassò il volto per un istante, sulle labbra un sorriso amaro.
“Già,” sospirò. “Immagino sarà l’ultima volta, se davvero tornerà tutto com’era.”  Il sorriso si spense e Dean non aggiunse altro, limitandosi a guardare l’angelo con un misto di tristezza, inquietudine e aspettativa, come se improvvisamente temesse di sentirsi dire che non vedeva l’ora di tornare a riprendere scettro e corona e camminare sul suo fottuto tappeto rosso, ma incapace di nascondere quella parte di sé che invece sperava che qui, in questo presente così lontano e diverso, Castiel avesse finalmente compreso. Che pur non potendo cambiare le cose, desiderasse almeno che non fossero andate così.
“Tornerà tutto com’era, Dean,” confermò Castiel. “E me ne dispiaccio. Avrei dovuto darti ascolto, quando ancora potevo. Ma so che tu e Sam riuscirete a fermarmi. O a uccidermi.” Arricciò nuovamente le labbra in quel sorriso malinconico che pareva l’unico che fosse ormai in grado di riservargli. “Sarai solo un essere umano, ma resti la creatura più testarda che abbia mai conosciuto.”
Dean non rispose. Restò immobile di fronte a quello che presto sarebbe ridiventato un essere potentissimo e completamente fuori di testa che con tutta probabilità avrebbe davvero dovuto uccidere, ammesso che esistesse un modo; ma che per un breve momento era tornato l’amico a cui avrebbe affidato la vita. Non rispose, e il suo silenzio era un addio.
“Okay,” si riscosse infine, “ti credo, Cas. Lo farò.” Mosse qualche lento passo per la stanza, assorto. “Dammi... dammi solo un altro giorno. Per favore,” mormorò, un sottile sussulto a tradire il nodo che gli stringeva la gola.
L’angelo annuì. “C’è comunque un’altra faccenda di cui devo occuparmi prima,” chiarì, blando. Un battito d'ali indicò che aveva lasciato la stanza, dopo aver sussurrato un ultimo, incerto "Dean". Quest’ultimo non si voltò neppure.

Note:
1. Jeffrey Dahmer (1960 - 1994), conosciuto anche come il cannibale di Milwaukee, è un famoso criminale e serial killer statunitense, noto per i suoi metodi particolarmente cruenti (atti di violenza sessuale, necrofilia, cannibalismo, squartamento e tortura).
2. Michael significa letteralmente "Chi come Dio". Quando Lucifer si mise alla guida degli angeli ribelli gridando "Chi come me?", il Principe delle Legioni Celesti ribatté "Chi come te? Chi come Dio!" e da allora quello divenne il suo nome.

Capitolo 10 →

genre: angst, content: hurt!sam, character: dean winchester, !big bang italia, genre: incest, character: castiel, fandom: supernatural, content: post-hell!sam, genre: alternative reality, pairing: dean/ofc, character: sam winchester, pairing: michael/lucifer, genre: slash, !fanfiction

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