I know I'm spamming my friend-list. I'm sorry guys ♥ this is the last entry for today, I promise.
Aaaaaah com'è potuto succedere? Quando è successo con esattezza che io mi sono innamorata così follemente di questa coppia? Cioè, prima mi piacevano, mi sono sempre piaciuti, perchè Ryo è carino e soprattutto è gentile con Tegoshi, come non l'ho visto essere gentile con molta altra gente.
Ma tutto è cominciato - credo - con i report dei NewS, gli Honjani imbarazzanti dove Ryo parla troppo, le ventuno rose bianche, i concerti, e le dichiarazioni d'amore in interviste e jweb vari... quanto stanno diventando ovvi? Basta, cioè, mi sono innamorata.
E ovviamente ho dovuto scrivere qualcosa, cioè, è stato più forte di me!
Inizialmente doveva essere una oneshot, poi però il primo di quattro episodi che avrei dovuto raccontare è venuto lungo dodici pagine... coff, ho pensato che fosse meglio farla diventare una storia a capitoli.
Non è il mio genere, per niente, però spero che vi piaccia ugualmente ♥ anche se forse ho esagerato di miele e zucchero per fare funzionare il fluff che altrimenti non sono in grado di scrivere. XD
Ho usato la traduzione del nuovo solo di Ryo, Ordinary, una
canzone bellissima. L'ho tradotta io, le traduzioni che ho trovato in giro non mi hanno soddisfatta granchè, e comunque era abbastanza semplice.
Titolo: Ordinary Feeling (1/4?)
Pairing: Ryo Nishikido x Yuya Tegoshi (NEWS)
Genere: fluff fluff fluff. Romantico (tanto), introspettivo (a tratti).
Rating: R (better safe than sorry)
Summary: L’unico modo per farlo cedere, è convincerlo che è davvero una principessa. La sua principessa.
Commenti: Uwhaaaaa RyoTego ♥♥♥♥ mi hanno mangiato il cervello.
Disclaimer: Don’t own. Ovviamente.
Episode One
“In questo video eri già bellissimo...”
“Oh, ma… ma che accidenti?”
“Non dovresti usare queste parole, Tego-nyan. Basta una sola lingua velenosa nel gruppo, sai…”
“Nishikido-kun, perché stai guardando i nostri vecchi video? È… imbarazzante. Tanto.”
“Perché mi chiami Nishikido-kun? Non l’hai mai fatto.”
“Quando sono arrabbiato con te, sì, lo faccio. L’ho deciso ora, in questo momento, Nishikido-kun.”
“È un modo per dirmi che non vuoi uscire con me?”
“Certo che voglio uscire con te, Nishikido-kun… e con gli altri.”
Voglio credere che ci sia qualcosa di più, in me, in questo sentimento.
Voglio credere che ti sto inseguendo perché mi piaci davvero, non perché sei l’unico che mi sia mai sfuggito.
Mi concedo questa debolezza, mi piace l’idea di avere una debolezza, mi piace il pensiero di poter pensare a qualcuno con il sorriso sulle labbra.
Mi è sempre piaciuta la frase “duro dal cuore tenero”, ecco, avrei sempre desiderato che qualcuno lo dicesse di me, ma non è mai successo.
Vuoi essere tu, il primo, a dire questo di me, Yuya?
Yuya.
Come sono strani, i nomi.
Io non ti chiamo mai per nome, se non quando voglio davvero mettermi in ridicolo, mostrandoti il mio cuore.
Sarà successo forse due volte.
Forse, ma in realtà le ricordo entrambe alla perfezione.
“Hai una voce meravigliosa, Yuya” e “Non devi neanche guardare Yuya, lui è troppo per te”.
Ok, ho barato, la seconda volta non era diretta a te, quella frase, ma mi hai sentito, vero?
Eri alle mie spalle, in silenzio, occhi crepati di una lieve incredulità.
E tu? Tu mi chiami sempre Ryo.
Ryo-tan,quel suffisso che hai aggiunto solo con la speranza di aiutarmi a distinguere il modo in cui mi chiami tu dal modo in cui mi chiamano tutti gli altri.
È inutile, no? La tua voce angelica la riconoscerei ovunque, principino.
Oh, ecco, ma forse sono io quello convinto che tu abbia aggiunto un suffisso diverso dagli altri con la speranza di distinguerti?
È probabile, sì, molto probabile, ma mi piace pensare anche a questa debolezza.
Di avere un debole per quella voce dolce che mi chiama piano, Ryo-tan, e sembra un sussurro, e il mondo improvvisamente gira, non so, in modo un po’ più dolce. Come se ballasse.
E ora no, ora c’è quel Nishikido-kun che non mi piace per niente, che rovina tutti i nostri piani perfetti, i miei piani perfetti in realtà, ma… sei davvero arrabbiato con me?
Ti osservo, osservo quel broncio lieve sulle tue belle labbra, la delicata curva della tua mandibola, le linee asciutte del tuo corpo, che è riuscito a mantenersi morbido nei punti migliori, davvero.
Credo che tu sappia benissimo che ti sto guardando, e dove sto guardando, perché riesci a piegarti in modo perfetto davanti a me, allungandoti a prendere il telecomando.
È un attimo, e la tua posizione mi manda in black out momentaneo, riesco a chiedermi solamente come riesci ad avvicinarti a me abbastanza da permettermi di sentire il tuo profumo senza interrompere la splendida visuale del tuo fondoschiena perfetto.
Sono sin troppo concentrato a contare quanti bottoni della tua camicia mi basterebbe allentare per spogliarti, che nemmeno mi rendo conto che la musica del video che stavo guardando si è interrotta, se non quando ti sposti nuovamente, interrompendo le mie elucubrazioni mentali.
Sei una sirena che si veste di delicata innocenza per indurre gli altri al proprio volere, lo so benissimo.
E mi piace anche questo di te.
“Ehi! Lo stavo guardando!”
“Ne… Ryo-tan. Non è meglio guardare la realtà che è dritta davanti a te?”
Colpito.
“…Chi ti dice che stessi guardando te?”
“Oh, certo. Giusto. Ryo-tan di solito mi dice che sono bellissimo quando conta i nei di Kusano-kun.”
E affondato.
“Va bene. Lo ammetto. Esci con me, allora, realtà dritta davanti a me?”
“Ryo-tan…”
“Solo con me. Niente Koyama. Niente Kato. Dovresti dare un premio alla mia sincerità. Ho ammesso che stavo guardando proprio te nel video. E se vuoi ammetto anche che stavo guardando il tuo sedere quando sei entra-”
“Ok. Ok. Esco con te. Non so se voglio che tu sia sincero su tutto.”
“No, non vuoi che io lo sia. Davvero.”
Ridi, ridi pure.
Sei bello da morire quando ridi.
Ma ringrazia che io mi sia fermato, o avrei scoperto anche quando sei bello quando diventi rosso d’imbarazzo al sentire tutti i miei sogni erotici su di te.
Oggi sei rimasto arrabbiato con me per esattamente quaranta secondi.
Esattamente, più o meno.
Ma comunque li ho contati, sai?
Hai ricominciato subito a chiamarmi Ryo-tan, quindi vuol dire che non eri più arrabbiato con me.
Forse l’hai fatto per calmarmi e indurmi a fare qualunque cosa tu volessi, sicuramente è così, ma non importa, mi piace pensare che tu l’abbia fatto perché non eri più arrabbiato con me.
Il nostro rapporto è in gran parte basato su quello che mi piace pensare, sì, lo so benissimo.
Così come adesso mi piace pensare che tu sia in mostruoso ritardo perché ti stai facendo bello per me, che sono qui sotto casa tua che tamburello con le dita sul volante, perché sai, sono parecchio nervoso.
Ho preparato tutto alla perfezione, e a volte mi stupisco di come posso diventare intelligente quando c’è qualcosa che mi interessa.
Quindi spero davvero che tu sia in ritardo perché ti stai facendo bello per me, e non perché sei al telefono ad aiutare Massu a contare quanti gyoza ha mangiato oggi o ad ascoltare aneddoti sulla nuova fiamma di Koyama, l’ennesimo minorenne dalla pelle abbronzata e dagli occhioni da cerbiatto pescato allo Shounen Club.
Ed è strano che io mi renda conto ora di quanto il ragazzo ideale di Koyama sia spaventosamente uguale a te, certo, meno perfetto.
Però ecco, quando apri la portiera della macchina per sederti accanto a me, mi trovi immerso nelle mie elucubrazioni mentali - le solite, sì, meno pornografiche però - con un’espressione imbronciata, non delle mie migliori, lo ammetto.
E così addio prima impressione della serata con il sexy Osaka smile.
E dire che me l’ero preparato così bene.
“Ho interrotto i tuoi pensieri, Ryo-tan?”
Sì, grazie a dio.
“Sei in ritardo! E il ragazzo ideale di Koyama sei tu! Tu! Non è assurdo? E scommetto che anche la ragazza ideale di Koyama sei tu. Me ne sono accorto ora, sai, credo che dovrò proprio fargli un discorsetto da uomo a uomo e…”
Cosa dicevo prima, a proposito del black out?
No, sai, perché sei bravissimo a mandarmi in black out. Anche se non ho capito come mai si chiami black, nel mio caso sarebbe più opportuno un, non so, red out, dal momento che appena sento le tue labbra morbide posarsi sulla mia guancia in quel bacio casto, ecco, vedo tutto rosso.
E non ti allontani di molto, no, rimani lì e mi guardi, mi sorridi, stai ridendo di me?
“Buonasera anche a te, Ryo-tan.”
Hai un profumo buonissimo e, accidenti, non riesco a capire da dove provenga.
Dai tuoi vestiti, dai tuoi capelli, dalla tua pelle…?
“Buonasera, Tego-nyan. Sei bellissimo. Te lo dico sempre, vero? Lo sei, lo sei proprio. Come sempre. Dove vuoi andare? Ah… ah, no, stasera non puoi decidere tu, scusami. Stasera devo decidere io. Se vuoi puoi decidere tutto il resto, però, e… sei bellissimo, comunque. Davvero.”
Da quando sono diventato logorroico?
Riesco a interrompermi solamente quando ti allontani un po’, accidenti, vorrei tanto aver avuto il sangue freddo di baciarti.
Baciarti per bene, dico.
E invece mi sono messo a parlare, ti odio, sai?
Mi trasformi in una specie di novellino impacciato e con la bava alla bocca. E romantico, e questa è la cosa in assoluto peggiore di tutte.
Sei tu qui il novellino, ragazzino, non dimentichiamocelo, chiaro?
“Allora, dove mi porti?”
“È un segreto. Però ho un regalo per te, questa sera ti sarà utile. E ti starà splendidamente.”
Hai così poca fiducia in me?
Quel tuo sopracciglio alzato mi fa capire perfettamente che temi che io ti abbia regalato qualcosa di lievemente pornografico, non lo so, tipo orecchiette da micio rosa. E la codina.
E ci ho pensato, ti giuro che ci ho pensato.
Ma, per prima cosa, ci tengo ai miei capillari e non vorrei che mi esplodessero, poi non mi sembrava il caso di svenire di emorragia nasale al primo appuntamento che riesco a strapparti.
E poi con te voglio fare le cose per bene.
Se devo dire la verità, però, la tua incredulità un po’ mi piace, ecco, perché il sorriso morbido che incurva le tue labbra quando tra le mani ti trovi un pacchetto bianco, morbido e caldo, è la cosa più bella del mondo.
“Cos’è?”
“Se te lo dico, che sorpresa è?”
“Non hai detto che doveva essere una sorpresa…”
Ridi piano, ridi di me, e riesci molto meglio di me a fingere calma assoluta anche quando le sensazioni che provi vanno direttamente all’opposto.
E io un po’ ti conosco, un po’ ti capisco in fondo, altrimenti non credo che mi piaceresti così.
E un po’ ti conosco, quindi so alla perfezione che adori ricevere regali, e intendo sfruttare la cosa a mio vantaggio, ovviamente.
Per una volta che posso trarre vantaggio da qualcosa, ne approfitto, o no?
Ho intenzione di riempirti di regali, vedere il tuo visino impaziente e quel piccolo sorriso morbido che ti si disegna sulle labbra mentre osservi le tue dita correre sulla carta da regalo, e ti riempirò di così tanti regali, che se alla fine non sarai mio, non potrò fare altro che arrendermi al destino.
E conoscendomi non mi arrenderò al destino, e sto pensando anche se per caso la tua espressione impaziente sarà così dolce anche quando mi spoglierai.
Ecco, lo sapevo, sto di nuovo pensando a cose a cui non dovrei pensare, proprio mentre le tue dita svolgono pazientemente quella carta da regalo natalizia - lo so, non ho potuto fare di meglio, e mia nonna mi ha anche preso in giro - per sfiorare la stoffa morbida di qualcosa.
E quegli occhioni castani che ti ritrovi si spalancano, e si riempiono di stoffa bianca, lana, intrecciata, una sciarpa lunghissima, un cappello - è da donna, sì, non mi guardare così, lo so benissimo che è da donna.
Ma non ci posso fare niente, anche se ora mi guardi così, li ho visti, te li ho immaginati addosso, ho riso da solo per cinque minuti mentre il commesso mi guardava in modo strano, e così li ho comprati.
“Per la fidanzata di Nishikido-san?” mi ha anche chiesto, quel piccolo idiota. E io volevo rispondergli, “ci puoi scommettere coglione, niente che vedrai mai neanche da lontano”, ma non l’ho fatto, e lo sai perché non l’ho fatto?
Perché ti stavo immaginando con questo cappellino, bianco, morbido, di lana, con i pon pon e le treccione lunghe ai lati, quelle cose da ragazzina, e sono un po’ morto.
E ora mi rendo conto che sto pensando tutto, che sono rimasto senza nemmeno una parola, e tu ti sei messo in testa quel cappellino, ti sei avvolto nella sciarpa, e sei ancora più bello di come ti avevo immaginato.
E ti sorrido in quel modo che mi fa un po’ male agli occhi, quel modo in cui non ho mai sorriso a nessuno.
“Sei bellissimo.”
E io sono ripetitivo.
“Dove mi porti, Ryo-tan?”
Allungo una mano ad aggiustarti la sciarpa, è solo una scusa per sfiorarti la pelle, ma lo sai perfettamente anche tu.
“È un segreto. Andiamo?”
E mi piace anche quel tuo modo di non rispondermi, mi guardi e annuisci appena, con quel sorriso lieve disegnato sulle labbra nascoste dalla sciarpa bianca, e ti accarezzo appena il capo - il cappello, in verità - prima di partire.
Mi piace il fatto che io e te non stiamo mai in silenzio.
È un bel vantaggio, perché sai, ai primi appuntamenti c’è sempre quel momento di silenzio imbarazzante in cui le due persone si guardano, si sorridono, e vorrebbero morire.
Invece, io e te, a dispetto del mio desiderarti da morire e del tuo non concederti a me, andiamo veramente d’accordo.
Troviamo sempre qualcosa di cui parlare, non mi pesa rispondere a tutte le domande che mi fai, né ascoltare gli aneddoti che mi racconti delle poche volte che frequentavi l’università, come quella volta che un professore ti ha chiesto l’autografo per la figlia, che stranamente si chiamava Seishiro Hamada.
E non mi pesa nemmeno la netta superiorità della tua cultura rispetto alla mia, perché mi sembra che venga in qualche modo equilibrata dal tuo approccio un po’ naïve a tutto ciò che ti circonda.
Mi hai sempre riempito di domande, sin dalle prime volte in cui ci siamo visti, quando per me non eri altro che un ragazzino senza nome con i dentini un po’ storti.
Eri carino, mi piacevano molto i tuoi occhi, buoni e senza ombra di malizia.
Non avrei mai immaginato quanto belli potessero diventare, quegli occhi, quando la malizia era ormai diventata tratto quasi predominante del tuo carattere.
E come allora mi chiedevi le mille differenze tra Osaka e Tokyo, tra i due gruppi in cui sono, tra tutti i miei amici, ora mi guardi, con quella stessa espressione incuriosita - più matura, sicuramente più matura - e non ti interessa più nulla di tutto ciò che riguarda il contorno della mia vita, così diversa dalla tua.
Ora ti interessa solamente di noi due, le domande sono solo su noi due, su me, te, questa serata.
Mi chiedi più volte dove ti sto portando, non accetti di non sapere alla perfezione com’è programmata la serata, e mi chiedi come ho fatto a convincerti ad uscire con me, solo con me.
E poi mi dici che ho fatto bene, perché in fondo va tutto bene, e poi un regalo!
Ti ho fatto persino un regalo. Ed ho pensato subito a te quando l’ho visto?
Perché, ecco, ti piacciono molto, ti stanno alla perfezione, quindi hai l’impressione che io abbia pensato proprio a te, ecco, non che fossi lì per caso.
E mi piaci quando ti fermi per prendere fiato a metà del tuo esagitato monologo, sei così bello, con quell’espressione un po’ smarrita in volto, ti è bastato un istante per perdere il filo del discorso?
Ma non ti perdi d’animo, ti basta un sorriso languido e torni ad essere la sirena di sempre, ma la sai una cosa?
È la tua consapevolezza di essere seducente, la cosa più sensuale di tutte.
In questi anni ti sei lentamente vestito di una sicurezza di te stesso cucita grazie all’apprezzamento delle altre persone, ma forse non ti sei mai reso conto che questo fosse un modo come un altro per mostrarti insicuro.
E io parlo tanto, certo, ma quello intelligente tra noi due sei senza dubbio tu, mio piccolo psicologo, e sicuramente, se potessi sentire i miei pensieri, mi replicheresti - come già tante volte hai fatto - che io stesso non faccio altro che mascherare l’insicurezza in me stesso dietro una tela di arroganza che non mi appartiene.
E poi useresti parole più semplici, sorridendomi, mi diresti che sono cattivo con gli altri per la semplice inconscia paura di non piacergli, e così scelgo di vestire i panni del ragazzo velenoso, quello che non piacerebbe di sicuro a nessuno, così, per non rimanere deluso.
Ma è proprio qui che ti sbagli.
L’unico a cui ho il timore di non piacere sei tu, di chiunque altro non me ne importa bene o male nulla.
E con te non mi sono mai comportato in modo arrogante, anzi.
Me l’ha fatto notare più o meno chiunque, che da ragazzo stronzo diventavo improvvisamente permissivo e dolce, con te nei paraggi.
Non ti ho mai negato niente, aspettavo pazientemente che finissi di ripassare i passi della coreografia prima di iniziare le prove, quando chiunque altro sarebbe stato insultato, intimavo il silenzio agli altri quando facevi i compiti, ti lasciavo dormire in braccio a me anche quando le mie spalle erano distrutte dal tour o ero di pessimo umore.
“Ryo-tan si è di nuovo perso nei suoi pensieri. È uscito con me, ha insistito perché accettassi, ed ora che sono accanto a lui pensa ad altri. Che ragazzo strano, eh?”
Mi volto in tempo per vedere il tuo piccolo sorriso nascondersi dietro quella sciarpa bianca che ti ho regalato, stringo di più le mani al volante e scuoto la testa.
E sorrido, quando sono con te ho sempre il timore che mi venga una paresi facciale per quanto sorrido.
“E invece stavo pensando proprio a te, Tego-nyan. Alla prima volta che ti ho visto, al ragazzino con i dentini un po’ storti e l’aria spaventata, che si è tramutato in questa meraviglia della natura che è accanto a me stasera.”
Hai messo il broncio, non lo vedo, ma lo immagino alla perfezione, lo stesso identico broncio che metti sempre quando parlo di te da piccolo.
"Mou ii yo,Ryo-tan… mi imbarazza che parli di quando ero piccolo. Lo sai benissimo, eppure lo fai in continuazione comunque. Ti diverte, vero?”
Non riesco a smettere di ridere e scuoto la testa, continuo a guardare la strada, semplicemente perché siamo quasi giunti a destinazione, e non voglio rischiare di perdermi proprio ora per una distrazione.
Non resisto al desiderio di sfiorarti, però, allungo solo una mano ad accarezzarti una guancia.
Accetti la mia carezza, quindi non sei veramente arrabbiato con me.
E poi mi hai chiamato Ryo-tan, non Nishikido-kun, quindi è un buon segno, non è vero?
Odierei farti arrabbiare proprio questa sera, che tutto deve essere perfetto.
“Vorrei solo sapere perché ti imbarazza così tanto.”
“Lo sai. Lo sai quanta gente mi chiede sempre se ho subito chirurgia plastica. E quanta gente dice che piaccio e che sono diventato famoso solamente perché il mio viso è cambiato. E odio pensare a com’ero una volta, vorrei essere sempre stato così, almeno non mi direbbero nulla.”
“Stronzate. Io ti ho sempre trovato adorabile, lo sai benissimo. La tua sensualità e la tua dolcezza stanno in qualcosa che non c’entra niente con il tuo viso. La tua meravigliosa voce è sempre stata dov’è ora, i tuoi occhi profondi e le tue labbra con quel colore bellissimo erano gli stessi anche quando il tuo taglio di capelli era tremendo e le tue guance più piene.”
Mi mordo un labbro, cerco il parcheggio. E non riesco a guardarti negli occhi.
“Tu sai benissimo di non esserti rifatto niente, Yuya, e se anche fosse così, non me ne importerebbe proprio un cazzo. Così come non mi interesserebbe anche se tu non fossi cambiato di una virgola da quando eri piccolo. Saremmo qui, in questo momento, in ogni caso.”
E, per la prima volta in tutta la giornata, sento di aver detto delle cose sensate, anche se, come al solito, ho lasciato andare la lingua a briglia sciolta senza porre un filtro tra pensiero e parola.
E mi sono anche reso conto di averti detto, in pratica, quanto mi piaci, e la cosa mi imbarazza da morire, nonostante fosse il mio scopo di questa sera.
Non doveva succedere così, avevo preparato tutto, accidenti a me.
In un moto di imbarazzo che non è decisamente da me, scosto la mano dal tuo volto, poggiandola sul mio ginocchio, graffio appena la stoffa dei jeans, sì, sono nervoso.
Una risata calma accanto a me mi fa salire una vampata di calore improvviso sino alle guance, credo di essere appena diventato rosso di imbarazzo, io, proprio io.
Non oso guardare accanto a me, perché non credo che il mio orgoglio sopporterebbe la vista del ragazzo che ha turbato tutti i miei sogni negli ultimi mesi - molti mesi - ridere di me perché ho parlato troppo e mi sono messo in ridicolo, ridi di me, stai ridendo di me, vero?
Eppure no, ecco, succede una cosa che mi dà l’ennesimo colpo di grazia, sento le tue dita sottili e morbide cercare le mie, la mano sul mio ginocchio, mi impedisci di graffiare la stoffa dei jeans e prendi la mia mano, in quella stretta calda che sposti piano piano sul tuo ginocchio.
Senza doppi fini, con una semplicità disarmante.
E mi sento veramente l’uomo più schifosamente fortunato di questo fottuto pianeta.
“Sarebbe bastato dirmi anche solo la metà di queste cose, e mi avresti convinto ad uscire con te molto prima. E molto più facilmente.”
Stringi la mia mano appena più forte, ti accarezzo un dito con un pollice, spengo la macchina.
E riesco a guardarti.
“Oh. Be’. Dai. Non è stato poi così difficile.”
Sento un’altra piccola risata, intrecci le nostre dita, ricambiando quella piccola carezza innocente.
E sì, devo essere proprio l’uomo più schifosamente fortunato del mondo.
Ho lasciato la tua mano solamente per pochi istanti, perché questa sera voglio essere perfetto in tutto e per tutto, quindi ti sto persino aprendo la portiera della macchina.
Poi sei stato tu a cercare nuovamente le mie dita, intrecciandole alle tue, e mi hai sorriso, non quel sorriso che fai nei programmi televisivi quando cerchi di mostrarti divertito da qualcosa, che in realtà trovi degradante.
È un sorriso caldo, lieve, e diventa lievemente più ampio non appena infilo le nostre mani giunte in una tasca del mio giubbotto.
E ti sono grato che per una volta tu non mi abbia sommerso di domande, che tu non mi abbia chiesto come mai abbia deciso di portarti proprio qui, in spiaggia, di sera, né perché ho voluto portare con me la chitarra.
Hai deciso finalmente di goderti la sorpresa?
No, sai, perché ho già cambiato idea sul tuo stare zitto, ecco, questo silenzio mi rende un po’ nervoso.
Ho paura che, se stiamo troppo in silenzio, poi tu ti metta a pensare troppo.
E molte volte pensare non va bene per niente, sai?
Poi c’è il rischio che ti metti a fare due più due, e siccome sei intelligente, tanto intelligente, te ne uscirai con una considerazione che mi farà cadere nell’imbarazzo più totale, e siccome io sono già abbastanza timido di mio, grazie tante, me ne uscirò con una frase stupida e rovinerò tutto.
Cioè, non ci vuole nemmeno un ragazzo intelligente come te a capire che sto un po’ esagerando, e ho paura che ti metta a contare tutte le cose - l’insistenza, il regalo, la spiaggia, la chitarra.
Le stelle. Le nostre mani. Il dannato fatto che io non abbia fatto una sola battuta maliziosa in tutta la sera.
Questo è proprio grave, cioè, io che evito le battute maliziose.
E capiresti subito che sono interessato a te per davvero, perché altrimenti non sarei così timido, non ti avrei comprato dei regali, né avrei fatto tutto questo per te - la spiaggia, la chitarra, le stelle.
Le nostre mani. La tua canzone.
Mi piace pensare di avere una debolezza, l’ho già detto, però comincio a preoccuparmi se penso che tu possa volgere tutto questo in tuo favore.
Sempre che tu già non lo stia facendo - ma no, no, sei troppo dolce per fare una cosa simile, vero?
Però, poi, va a finire che mi sento debole ad avere una debolezza.
“Ryo-tan…”
Ecco, ora ho una paura incredibile di ciò che mi dirai, vuoi già chiedermi che intenzioni ho con te?
Perché probabilmente non ti risulta che io per portarmi a letto le persone organizzi cose così in grande, soprattutto se poi ci mettiamo in mezzo le nostre mani, e la tua canzone.
E se me lo chiedi, cosa ti aspetti che ti risponda?
Che mi piaci così tanto che ho voluto portarti in un bel posto, tenerti al caldo, che vorrei stringerti e guardarti per tutta la vita, e ascoltarti cantare, ma anche cantare per te, perché mi piace come arricci il naso e sorridi e inclini la testa quando apprezzi le parole di una canzone?
Non sono mica il tuo cane ammaestrato.
“Cosa c’è, Tego-nyan?”
Eppure, in tutto questo, comunque estraggo delicatamente le nostre mani giunte dalla tasca del mio giubbotto, non ti guardo negli occhi ma poso un bacio sulle tue nocche fredde, oddio, sono fredde, hai freddo?
Non posso permettere che tu prenda freddo. Davvero.
“Mi piace molto, questo posto.”
Abbasso le nostre mani giunte, insinuandole di nuovo nella tasca calda del mio giubbotto, e già mi pento, ecco, avrei dovuto comprarti anche dei guanti.
Vorrei riuscire a scherzare con te, dirti che se vuoi posso anche scaldarti con il mio corpo, o che sono capace di farti arrivare ad avere la temperatura corporea di circa quaranta gradi con una sola mano, ma non riesco.
Ho la lingua impastata, la gola secca, i tuoi occhi sono bellissimi e temo che mi stia dimenticando le parole della canzone, della tua canzone.
Diavolo.
“Ne sono felice.”
E non riesco a dire altro, io e la mia immensa, gigantesca, mastodontica idiozia.
Quindi continuo a camminare con te verso la spiaggia, sorrido sentendo come ti appoggi lievemente a me, stringendo di più la mia mano, non appena i tuoi piedi affondano di più nella sabbia fresca, e cominciamo a camminare.
Non lo sento che sia fresca, ovviamente, non mi sono tolto le scarpe, siamo a inizio novembre però, credo che la sabbia non possa fare altro che essere fresca.
Però mi piace questo tuo modo di fare, voglio dire, questo tuo sorridere e non lamentarti mai per nulla, per non ferire le altre persone.
Sei un po’ egoista, lo diciamo sempre tutti, con una nota di vergognoso affetto nella voce, però quando ti viene proposto qualcosa, non ti lamenti mai.
E quindi non ti lamenti, anche se le tue scarpe da tennis di tela bianca dovessero sporcarsi o riempirsi di sabbia, non ti lamenti nemmeno quando troviamo un posto carino e ci sediamo per terra, sulla sabbia fresca, e non ho pensato a portare nemmeno una coperta su cui sederci.
Cioè, ci ho pensato, ma poi me la sono dimenticata sul divano perché ero troppo occupato a pensare che oddio, oddio sono un idiota, sto per cantare una canzone al cantante migliore del gruppo, migliore del JE, migliore del mondo.
Mi vergogno a morte.
“Ne, Tego-nyan… grazie, per essere uscito con me. Ci tenevo, ecco. Sul serio. A farti… sentire una cosa? Che poi forse l’hai già sentita, perché. Ecco. La stiamo registrando. Ma ci tenevo, quindi…”
Non riesco nemmeno a parlare.
Cioè, la cosa è grave, è seriamente grave, io dovrei cantare qui, e non riesco nemmeno a mettere in fila una frase per riuscire a dirti che ti voglio cantare una canzone, che l’ho scritta pensando a te, e quindi mi sembra giusto cantartela.
Anche perché, tra me e me, ogni volta che la cantavo, la provavo, la pensavo, la ascoltavo, la incidevo, tra me e me la chiamavo “la tua canzone”. La canzone di Tego-nyan.
La canzone di Yuya.
E tu ora mi guardi, non mi interrompi, non mi fai fare la classica figura di merda del “non sto capendo un cazzo di quello che dici”, anche perché non useresti mai queste parole.
Sei una principessa - oh, scusa, principino.
Mi guardi con quel sorriso dolcissimo, come a dirmi che non hai fretta, che hai tutto il tempo del mondo per sentirmi blaterare, sino a che non arriverò ad un punto, un punto qualsiasi, e dirò qualcosa di comprensibile anche a chi non abita dentro il mio cervello.
E tu non abiti dentro il mio cervello, grazie al cielo.
“Insomma, l’hai sentita la mia canzone? Quella dell’album nuovo? Perché io ho chiesto a Pi di tenerti occupato, ogni volta che la registravo, ma siccome è un po’ scemo non so se se ne sia dimenticato o… ecco, volevo essere io a fartela sentire, per primo. La mia canzone, ecco. Ordinary.”
“Ah… quindi è per questo motivo che Yamashita-kun mi chiedeva di andare a prendere tutti quei caffè con lui? Oh… che peccato. Avevo sperato ci stesse provando con me.”
Ok, finalmente con questa tua frase riesco a guardarti negli occhi.
Così, giusto per vedere se mi stai prendendo in giro, stai scherzando, vero?
Ti prego, dimmi che stai scherzano, non può piacerti Pi, davvero.
Non lasciarti ingannare dai muscoli, lui non è virile, non lo è per niente, non saprebbe proteggerti di fronte al pericolo, lui di fronte al pericolo scappa urlando.
Con le braccia in alto, che si muovono. Ecco, hai capito?
E a te serve un uomo forte, virile, che sappia proteggerti, un po’… un po’ come me, ecco.
Non pensi che io sia proprio l’uomo perfetto per te?
Ecco, quindi come puoi dirmi che ti piace un altro proprio la sera in cui io voglio dirti che mi piaci tu, da morire?
È un colpo basso.
È un colpo davvero basso, soprattutto perché ora stai ridendo, perché ridi?
Non devo avere un’espressione molto intelligente al momento, visto che stai ridendo, e poi ti accosti a me, scostandomi appena la frangia dagli occhi, e la tua risata lascia spazio ad un sorriso bellissimo, sei bellissimo, sei troppo vicino.
E vorrei baciarti da morire.
“Scherzavo, Ryo-tan.”
Credo di rendermi conto ora, per la prima volta in tutta la mia vita, di quanto ciò che penso a volte mi si legga veramente in faccia.
Perché ora, per esempio, credo di avere un sorriso ebete stampato il volto, e tu continui a sorridermi, ma quel tuo sorriso è diventato un po’ più dolce, morbido, e ti aggiusti la sciarpa bianca attorno al collo con una mano, abbandonando l’altra nella sabbia.
È ipnotizzante osservare le tue dita che si lasciano scorrere i granelli fini tra loro, in un movimento lento, ripetitivo, sembrano così delicate.
“Mi piacerebbe molto ascoltare Ordinary.”
E inclini un po’ la testa di lato, e continui a sorridermi, e io credo che quando mi guardi in quel modo, ti comprerei persino la Luna, se solo me la chiedessi.
E, insomma, non vorrei dire, ma preferirei davvero che tu questo mio pensiero non lo venga mai a sapere.
Perché temo potresti poi chiedermi cose improponibili - che ne so, tipo uccidere Ueda, così sarai tu l’unica principessa del JE - scusa, principino.
“Sai che ucciderei Ueda per te?”
Ti metti a ridere nuovamente, accidenti, non mi ero proprio del tutto reso conto di aver pensato ad alta voce.
Credo di essere diventato di colore… scarlatto, sì, ok, scarlatto rende bene l’idea, e non è anche un colore un po’ pornografico, lo scarlatto?
Io penso di sì, quindi l’idea non la rende bene, la rende alla perfezione.
E ho caldo alle orecchie, è novembre, ed io ho caldo alle orecchie.
Roba da matti.
“Ryo-tan… la canzone?”
Mi schiarisco la gola, prendo la chitarra, suono un accordo.
Non mi è ben chiaro se tu mi abbia ricordato della canzone perché vuoi sentirla davvero, o perché semplicemente non ne potevi più di ascoltare i miei vaneggiamenti.
“Sì. Giusto. La canzone. Si chiama Ordinary, ma questo te l’ho già detto, l’ho scritta io, sai? E mi hai aiutato tu. Cioè, non proprio aiutato, te ne saresti accorto immagino, però. Però, mi hai ispirato. L’ho scritta davvero pensando a te.”
E poi mi volto, solo per vedere che effetto hanno avuto le mie parole su di te, sai, ancora non lo era, ma poteva suonare proprio come una dichiarazione d’amore.
E tu mi sorridi, con quel sorriso lieve e incredulo e un po’ emozionato sulle labbra - sei emozionato anche tu?
Non capisco perché, non ne avresti motivo, ma dimmi di sì, ti prego.
Mi saresti d’enorme aiuto, se mi dicessi che anche tu sei un po’ emozionato, perché forse non te lo aspettavi, che fossi così diretto con te.
Perché forse non te lo aspettavi, di piacermi davvero così tanto.
Avevi creduto che fossi un po’ come gli altri, quei ragazzi che non riescono a resistere al tuo fascino felino e cercano di conquistarti, per riuscire a sentire il sapore di quel frutto esotico e proibito che è la tua pelle.
E poi, soddisfatti di ciò che hanno avuto, se ne vanno, sperando di farti un favore, vedendo in te solo quel collezionista che ami sembrare.
Non sono nemmeno sicuro che capiscano che in realtà sei stato tu a sedurre loro, tu a lasciarti catturare, perché, quando non vuoi essere catturato, sei abilissimo a resistere, a fare impazzire coloro che hanno perso la testa per te, e continuano a inseguirti - e io ne sono l’esempio lampante.
Però vorrei poter dire che io sono diverso.
Io non voglio sentire solo il tuo sapore, io non voglio entrare a far parte della lista dei ragazzi che possono dire di averti sedotto - io voglio te.
Ed è per questo che sono sempre rimasto al tuo fianco, e adoro il fatto che tu me l'abbia sempre permesso, nonostante la nostra non fosse che una tenera amicizia apparentemente disinteressata.
Hai sempre sospettato che non fosse disinteressata, da parte mia, non è vero?
D’altra parte, solo con te mi sono sempre comportato in questo modo, solo ed esclusivamente con te.
Ed ora cosa fai?
Lasci che quel sorriso morbido rimanga sulle tue labbra, e con un piccolo fruscio di stoffa ti avvicini a me, ancora un po’, non lo sai che è pericoloso?
E socchiudi gli occhi - e sei troppo bello, e sei troppo vicino, e ho una voglia di baciarti che mi fa morire.
Però credo che tu sia in attesa della mia canzone, con quegli occhi socchiusi a dirmi che te la lascerai scivolare addosso, come carezze, sulla tua pelle - non sono sicuro che sia esattamente ciò che vuoi dirmi, forse viaggio troppo con la fantasia.
Però questa sera ho promesso di non toccarti, di non importi la mia presenza, così che tu possa capire che non sono come tutti gli altri - non con te, se non altro.
E quindi lascerò che siano le mie parole ad accarezzarti, come vorrei fare io.
E quindi non posso fare altro che ciò che faccio ogni volta che mi chiedi qualcosa.
Sorriderti, scostarti una ciocca di capelli dalla fronte, e accontentare ogni tua richiesta.
Ho cantato talmente tante volte le parole di questa canzone, che non devo pensarci nemmeno più.
Le ho cantate a te, ogni volta che le provavo, le pensavo, le scrivevo e riscrivevo.
Il tramonto affoga la città nel rosso
Davanti ai miei occhi, solamente lavori in corso
La strada piena di persone, frettolose, in giacca e cravatta
Ma io, sto immaginando solo te.
Anche quando registravo, anche se tu non saresti dovuto essere presente, era per te che cantavo.
E più che una canzone era una dichiarazione, il mio imbarazzante modo per dirti che sei entrato nella mia mente e non riesco più a fartene uscire.
“Quella notte, sotto la luminosa luna”
“Senza una destinazione, semplicemente correvo sulla mia strada”
“Fingendo di non aver notato il mio percorso”
Sto ancora immaginando solo te.
E forse con questa canzone voglio dirti anche che non voglio che tu vada via dalla mia mente, che la tua immagine chiara in colori pastello - sembra stupido, ma quando penso a te, tutto si dipinge di quel colore - rende speciale ogni giorno che vivo.
Le parole che mi hai sussurrato, il calore delle tue mani
Con dolcezza vorrei poter stringere tutto questo,
Ora, sembra già che questo scenario sia rinato.
Accidenti, se una cosa del genere la sentissi dire da chiunque altro, l’istinto di picchiarlo sarebbe fortissimo, ma spero che tu non lo farai.
Aggiungendo colore al tuo oggi monotono,
Aggiungendo magia al tuo domani malinconico,
Anche i momenti ordinari possono trasformarsi in ricordi preziosi.
Spero anche che tu riesca ad ascoltare questo messaggio, questo imbarazzato “ti amo” di parole rubate da momenti di tutti i giorni, e che riesca a capire il motivo per cui anche io vorrei essere così per te.
Non è per puro egoismo, questa volta non è per egoismo, te lo giuro.
Il cielo è ancora appena illuminato,
In quei lampi rossi allineati l’uno all’altro,
E le melodie di una canzone d’amore alla radio
“Ti amo” “Ti amo”
E proprio come in quel film, ora voglio dimostrartelo.
È per sciogliere la tua maschera di seduzione e sorrisi svenevoli e farti mio, solo mio, perché te lo giuro, che la vita è più bella quando si è innamorati.
Quei comportamenti banali per coprire le tue bugie,
Inaspettate lacrime scese quasi per sbaglio,
Un sorriso senza preoccupazione,
Se potessi, vorrei abbracciare tutto questo,
Per questo, ti prego, stai con me.
Perché quando te lo dicono gli amici, non ci credi, che il mondo sembra cambiare colore, se c’è qualcuno per cui valga la pena guardarlo con occhi diversi.
E, be’, scusa se queste parole potranno suonarti così ordinarie, ma per te, vale davvero la pena di guardare il mondo con occhi diversi.
Con queste parole ordinarie,
Con queste melodie ordinarie, sentite in luoghi ordinari,
Senza cambiare nulla, canterò con questa voce a cui ormai sei abituato,
La mia personale canzone d’amore.
Scusa se la mia voce è solo questa, che conosci bene, scusa se le parole sembrano quelle di ogni altra canzone d’amore, ma spero passerai oltre a tutto questo solo per ascoltare ciò che ho da dirti.
E scusa se l’amore è solo un sentimento così ordinario, vorrei poterne inventare un altro, più forte, un po’ più dolce, solo per te, solo per poterlo provare per te.
E sarebbe perfetto se potesse raggiungere te - solo te,
E sarebbe perfetto se potesse suonare per te - solo per te.
Non so nemmeno se ho il coraggio di guardarti negli occhi in questo momento, non appena l’ultimo accordo della canzone ha smesso di vibrare nell’aria, ho sentito solo il tuo respiro lento accanto a me, il mio respiro, il rumore delle onde del mare, il battito del mio cuore che, credo, si stia preparando ad un infarto.
Forse dovrei aspettare che sia tu a dire qualcosa, ma mi sento un po’ scemo a rimanere così, immobile, con la chitarra tra le mani e la testa inclinata, come se ancora dovessi suonare, ma allora?
Dovrei forse essere io a parlare per primo?
E cosa accidenti dovrei dire?
Una cosa tipo “ne, Tego-nyan, ti sei accorto che la mia canzone non era altro che una dichiarazione d’amore per te?” perché ecco, non mi sembra il caso.
Però anche rimanere così, fermo, come un perfetto idiota, non mi sembra granché, e mina decisamente la mia aura da figo che non deve chiedere mai, quindi mi muovo, mi volto, poso la chitarra accanto a me.
Ma non può durare a lungo questo assurdo modo di prendere tempo, insomma, prima o poi mi devo pur girare verso di te.
E così decido di farlo. Guardarti.
Dopotutto sei un ragazzo molto dolce, anche se in questo momento stessi pensando le cose peggiori del mondo, non me lo mostreresti mai e poi mai.
E in questi diciassette secondi che impiego a posare la chitarra, ti giuro che riesco a sondare tutte le possibilità di ciò che potrebbe incontrare il mio sguardo.
E, ecco, nel peggiore dei casi incontrerò il tuo sorriso dolce, inclinerai un po’ la testolina di lato - lo fai sempre, per addolcire le pillole amare - e dirai “è molto carina, Ryo-tan” e va bene, questo credo di poterlo sopportare.
Non è poi così male, mi piace il tuo sorriso, mi piace quando inclini la testolina di lato, mi piace quando mi chiami Ryo-tan.
E quindi deciso di farlo, e mi volto verso di te, e ti guardo, con decisione, negli occhi.
Hai gli occhi lucidi.
Le labbra socchiuse, e due dita che le sfiorano.
Il tuo sguardo è perso nell’oceano, ma, stranamente, non è come tutte le volte che hai lo sguardo perso, che non so dove sei, questa volta mi sento di poter dire con certezza che sei con me, sei del tutto con me.
“Ryo…”
Nessun onorifico, e quando ti volti verso di me, ci siamo solo noi, io e te, e il mare, e non ti ho mai visto sorridere come ora.
Non riesco a muovere un muscolo, né a parlare, e vorrei abbracciarti.
Hai capito il mio messaggio?
“Grazie…”
E quel sorriso è così vicino, così tanto da darmi le vertigini, e chiudi gli occhi ancora lucidi - e li chiudo anche io, perché non sopporto di vederti piangere.
E così è del tutto inaspettato - quel tocco morbido e leggero, ad un angolo delle mie labbra, e poi lo ripeti “Grazie…” ed è un altro tocco, morbido, lieve, sulle mie labbra.
È così lieve che non riesco a sentire il tuo sapore, è così bello che vorrei continuasse per sempre.
Quando ti allontani, apro gli occhi in tempo per godermi il piccolo imbarazzo che nascondi giocando con un pon pon del cappellino che ti ho regalato, gli occhi bassi toccati da quel velo di innocenza nei rapporti umani che mi fa impazzire.
Vorrei ripeterti tutto ciò che ti ho già detto con una canzone, vorrei chiederti se vuoi essere mio, solo mio.
Vorrei dirti che non credo più a quando mi hai detto che “per sempre” non esiste, perché ora lo sento, sto sentendo questo “per sempre”.
Vorrei recuperare tutta la mia inopportuna loquacità, e più di tutto vorrei baciarti di nuovo.
Ma non riesco a muovere un muscolo.
“…sei bellissimo, Yuya.”
E ti metti a ridere, così dolcemente, forse un po’ di me, forse un po’ della situazione.
E rido anche io, perché adoro vederti ridere.
Alla fine non ce l’ho fatta.
Non ci sono riuscito.
Cioè, ancora mi chiedo cosa ci fosse di così difficile, dovevo solo ribadire i concetti che ti avevo appena cantato - ecco, detto così non è molto romantico, però… - dovevo semplicemente dirti che sono davvero innamorato di te.
E che sono serio, e che anche se mi fa ancora un po’ impressione sentirmi così, voglio fare le cose per bene, e - ma non è inutile che io ora mi stia a ripassare cosa avrei dovuto dirti?
Ormai il momento è passato, ecco, dovrò creare un’altra situazione romantica, ho paura di finire le idee, ma proprio ora doveva succedermi questa cosa orribile di diventare timido?
Anche se alla fine mi va bene lo stesso, sai?
Posso rimanere immobile a godermi ancora un po’ la tua risata, il modo in cui scuoti lievemente la testolina a dirmi che sono veramente senza speranza, ed il tuo lieve rossore, quando mi chiedi per quante volte ho intenzione di metterti in imbarazzo dicendoti che sei bellissimo.
Mi dispiace, ma potrei continuare a dirtelo per sempre, adoro il colorito che assumono le tue guance ogni volta che ti dico qualcosa che sai già alla perfezione.
Però ti fa più effetto, detto da me, vero?
Perché io non lo dico mai di nessuno, perché adoro cercare i difetti di chiunque e farglieli notare, me l’hai detto più di una volta.
E da allora te lo dico spesso, solo quando siamo soli, sei bellissimo, Yuya.
Non voglio che anche le altre persone notino come diventi ancora più bello quando sei in imbarazzo, non voglio che vedano anche questo di te.
Lo custodisco gelosamente, da quando mi hai detto che sono l’unico in grado di metterti davvero in imbarazzo, lo tengo solo per me, come il particolare più dolce della tua bellezza, che è già sin troppo esposta agli occhi di tutti.
E mi basterebbe anche farti capire che quando ti dico che sei bellissimo, non intendo solo i tuoi occhi profondi, le tue labbra, il tuo naso piccolo, i tuoi capelli, il tuo corpo sottile, ma intendo proprio te, tutto di te.
Ma sono un idiota, e riesco a diventarlo solo quando sono accanto a te, che sei la persona che meno risulterebbe impressionata da un accidenti di comportamento da idiota - come il mio in questo momento.
Però non riesco a fare altro che guardarti, in silenzio, anche mentre mi dici che ti è venuta fame, e ti alzi in piedi, prendendomi la mano e facendomi alzare accanto a te.
E tanto lo sai benissimo, che esaudirei qualunque tuo desiderio, principino mio.
Abbiamo mangiato in un posto un po’ costoso, lungo la spiaggia, e l’atmosfera tra noi è tornata un po’ quella che c’era prima della mia canzone, e di quel bacio leggero che mi ha fatto annodare lo stomaco.
Abbiamo mangiato okonomiyaki, e mentre io li preparavo - ma solamente per quella dannata fama di ottimo cuoco che mi ritrovo e anche un po’ perché, lo ammetto, vedere i tuoi occhi felici è la cosa più bella del mondo - abbiamo parlato di tutto, come sempre.
Ero sollevato che quella sottile - ma neanche tanto - dichiarazione d’amore non avesse corrotto la nostra capacità di discutere di tutto, il tuo modo così carino di contraddirmi quasi qualunque cosa dica, solo per vedermi parlare in Kansai ben quando la discussione si anima.
E poi sei riuscito a farmi dimenticare tutto, mugolando appena quando hai assaggiato l’okonomiyaki.
Hai detto che eri felice di aver provato il sapore di Osaka, e io ti ho ordinato un gelato ai tuoi gusti preferiti senza nemmeno chiedertelo.
Mi sono sentito un perfetto idiota - come durante la maggioranza della serata - quando sia tu che il cameriere mi avete ricordato quanto sia strano, ordinare un gelato a novembre inoltrato.
Però l’hai mangiato tutto, con un sorriso sulle labbra, me ne hai offerto qualche cucchiaino e hai riso, ogni volta, quando ti facevo notare che eri riuscito a sporcarti persino la punta del nasino con la crema.
E dio solo sa quanti pensieri impuri sono riusciti ad attraversare la mia mente in quei pochissimi minuti che ti ci sono voluti per finirlo, e la prossima volta non te lo compro, il gelato.
È pericoloso per le mie coronarie.
Però la serata è andata bene, talmente bene da farmi persino dimenticare di non essere riuscito a dirti nulla - ti ho cantato la canzone, sì, è vero, ma era solo l’inizio, accidenti a me.
Ma abbiamo camminato con le dita intrecciate, senza malizia né doppi fini, hai canticchiato una vecchia canzone popolare che ti è venuta in mente leggendo il nome di una strada, mi hai chiesto un abbraccio, per far fronte al freddo.
Alla fine hai sbadigliato, dolcemente, nascondendoti nella sciarpa morbida che ti ho regalato, e hai finto di non essere davvero stanco, solo per poter rimanere ancora un po’ fuori, con me.
Ora però stai dormendo, accanto a me, la testolina lievemente reclinata su una spalla e una mano che si è fermata mentre ancora giocavi con il pon pon del cappellino, ancora non sono riuscito a capirti, sei consapevole della seduzione che riesci a racchiudere in tutti i tuoi gesti?
La mia automobile lascia scorrere sotto di sé la strada verso casa tua, con calma, ed ho persino spento la radio, un po’ per non rischiare di svegliarti, un po’ per godermi il suono del tuo respiro calmo.
Ti spio dallo specchietto retrovisore, la tua espressione calma e le labbra lievemente dischiuse, e mi sembra di essermi reso conto solo ora, guardandoti, di averti baciato.
In realtà sei stato tu a baciare me, di tua spontanea volontà, dolcemente e lievemente, come se mi avessi solo regalato un ringraziamento.
Mi hai mandato in black out completo, ma molto più forte di tutte le altre volte, lo sai?
Così, quando parcheggio sotto al palazzo dove si trova il tuo appartamento, preferirei davvero non svegliarti, o, possibilmente, portarti a dormire con me - dormire, solo dormire, te lo giuro, ti guarderei dormire anche per tutta la notte - o magari svegliarti con un bacio.
L’ultima opzione mi sembra perfetta, mi accosto a te, ho il cuore in gola, e riesco a sentire il lieve profumo di crema e fragole del tuo respiro.
E mi sento un verme a cercare un bacio con te cogliendoti di sorpresa, mentre sei addormentato, come se non riuscissi ad averlo quando sei sveglio - che è molto probabile, ma questa è esattamente il tipo di cosa che farei con chiunque altro.
Ma non con te, con te non voglio, non posso commettere errori.
E quindi va a finire che ti scosto una ciocca di capelli dalla fronte, dandoti un piccolo bacio proprio lì, tra la lana bianca del cappellino ed un sopracciglio, allontanandomi solo per bermi l’immagine dolce del tuo risveglio.
Ed è tutto come in un film, sorridi, segui con un movimento del capo la carezza della mia mano sul tuo viso, apri un occhio, poi un altro.
Sbadigli, nascondendoti di nuovo nella sciarpa, per poi tornare a sorridermi.
E sei così dolce che questo mi ripaga persino del senso di colpa di averti fatto uscire anche se eri così stanco.
“Ne, Ryo-tan, scusami… non volevo addormentarmi.”
Continuo a guardarti, scuotendo appena la testa per dirti di non preoccuparti, ma la verità, è che ho un unico chiodo fisso.
Perché nei film succede sempre, quando il ragazzo accompagna a casa la ragazza dopo un appuntamento perfetto, alla fine la ragazza gli sorride, gli prende la mano, e gli dà un bacio da capogiro.
E magari lo invita ad entrare, ma quello è solo nei film occidentali, in quelli giapponesi non succede.
“Grazie per questa sera, Ryo-tan. Sono stato benissimo.”
Ok, e di solito è proprio questa la frase che precede il bacio.
Dovrei già chiudere gli occhi?
“Buonanotte. Ci vediamo domani.”
E adesso dovresti avvicinarti a me, socchiudere gli occhi, e quelle tue labbra bellissime con quel color fragola così invitante dovrebbero posarsi sulle mie, delicatamente.
Poi io dovrei prenderti tra le braccia e farti sedere in braccio a me, ho calcolato tutto e…
…e perché la tua mano è già sulla portiera della mia macchina?
Non stai dimenticando qualcosa?
“Ne, Tego-nyan, aspetta…”
Però dovrebbe essere la ragazza - cioè, insomma, tu - a dare il bacio alla fine dell’appuntamento.
Nei film non succede mai che il protagonista debba sudarselo così tanto, un bacio dalla sua eroina.
E che mi aspettavo?
Che bastasse chiederti di aspettare, per avere il mio bacio?
No, perché, non sta affatto funzionando. E io non ho più film a cui ispirarmi.
“Possiamo… uscire un’altra volta? Prima o poi?”
Non sono mai stato così patetico in vita mia.
Io, Ryo Nishikido, il sexy Osaka man, ridotto ad un patetico e balbuziente essere umano qualsiasi che sul sedile della sua macchina quasi implora per una seconda possibilità.
Però spero anche che tu non la pensi così, dal modo in cui mi sorridi, inclini la testolina di lato, ti avvicini a me.
E quando sento le tue labbra morbide sulla mia guancia, penso che non sono stato poi così patetico.
“Tutte le volte che vuoi, Ryo-tan.”
Ecco, dopotutto, le ragazze in quei film romantici sono davvero delle dilettanti.
つづく♥
Whaaa, che ve ne pare?
Io mi sono divertita e sto continuando a divertirmi un sacco a scriverla. Adoro questi due, adoro scrivere Ryo, e già me n'ero accorta da Eternal Sunshine, però scriverlo qui mi piace ancora di più, perchè mi piace immaginare momento per momento cosa stia pensando in quella testaccia malata e pervertita.
Quindi, ecco, anche se il fluff non è tantissimo il mio genere, continuerò a scriverla. Perchè è divertente e perchè loro due sono bellissimi.
Per oggi basta, nya ♥ Vi amo tutti!