Giusto perchè avevo comunque promesso che non avrei fatto soffrire a lungo, con questa fanfiction! ♥
A voi!
Titolo: Venus as a Boy (2/5?)
Pairing: Jin Akanishi (KAT-TUN) x Tomohisa Yamashita (NewS)
Genere: AU, boyslove, smuff (smut+fluff?)
Rating: Diciamo tra R e NC-17. Più NC-17, sempre per il better safe than sorry. Ma non aspettatevi roba troppo troppo spinta.
Summary: I movimenti lenti ammorbiditi dal buio di un locale bastano a far innamorare qualcuno? Ovvero: Jin è uno spogliarellista, anzi, Lo spogliarellista. Pi è un ballerino di danza classica, che si scopre ossessionato da lui. E io ho una mente perversa.
Warnings: Descrizioni molto accurate; ci sono molti personaggi secondari, ma la storia ruota principalmente intorno a Pin; un po' di OOCness, ma niente di grave.
Commenti: Questa oneshot è nata da un sogno che ho fatto, e ricordo alla perfezione così tanti particolari, che ho deciso di scriverlo, e pazienza XD sopportate la mia botta di creatività.
Disclaimer: Don’t own. E vi giuro che se mi appartenessero, tutto questo sarebbe in vendita sotto forma di un drama molto molto molto interessante.
Scena Prima Venus as a boy
Jin era la stella, ballava solamente il venerdì sera ed il sabato sera.
Il suo spettacolo era qualcosa di speciale, non veniva ripetuto tutti i giorni, la stella era il piatto forte, che veniva conservato per le serate in cui il locale si riempiva, i tavoli riservati alle feste di compleanno o di addio al nubilato raddoppiavano.
Spesso le turiste europee e americane accorrevano, ansiose di vedere il ragazzo di cui avevano sentito parlare dalle amiche giapponesi, la bellezza del luogo, il fascino orientale che le aveva spinte ad abbandonare mariti e fidanzati a casa, ignari davanti ad uno schermo rumoroso.
La prima volta di Tomohisa era sabato, quella prima volta che preferiva non contare, circondato dai compagni dell’Accademia di danza che amavano imbarazzarlo, prenderlo in giro, nascondendo l’invidia per il suo talento dietro a dispetti poco pensati.
Era sabato anche la settima volta - o la sesta, come lui preferiva pensare - quando la stella gli rivolse la parola, scegliendolo di dedicare a lui lo spettacolo, quella sera, cercandolo poi per portarlo a bere qualcosa, per parlare con lui, per conoscerlo.
Era trascorsa una settimana, un’intera settimana in cui Tomohisa aveva ripercorso in ogni piccolo particolare la serata che aveva passato con Jin - che no, ora non chiamava più la stella.
Era bastata una serata perché diventasse solamente Jin, il ragazzo che cercava i suoi sorrisi, che parlava tanto, a cui piaceva pronunciare il suo nome, ma che preferiva chiamarlo in quel modo, piccolo, con quel sorriso bellissimo ed uno sguardo intenso.
In quella settimana si era chiesto spesso come sarebbe stato il loro incontro, come l’avrebbe guardato Jin, come avrebbe sorriso, come l’avrebbe chiamato.
Si era abbandonato al piacere sottile dell’immaginazione, quella settimana, perdendosi durante le lezioni dell’Accademia a sorridere come una ragazzina alla sua prima cotta - era davvero la sua prima cotta.
Niente avrebbe dovuto rovinare la sua serata - nulla, eppure quegli stessi compagni che l’avevano trascinato lì la prima volta, l’avevano convinto a tornare, con loro, con le solite pacche prive di amicizia sulle spalle ed i sorrisi senza gentilezza.
Era venerdì, il giorno dell’ottava volta - e si era persino rassegnato a contare quella prima volta, quella che non aveva mai amato contare.
Era passato poco meno di un mese dalla prima volta che aveva visto la stella, poco meno di una settimana da quando avevano parlato, si erano sorrisi, ed era diventato Jin.
Eppure lui si stringeva nelle spalle come quella prima volta, si mordeva le labbra, portandosi in continuazione una mano al volto a sistemare meglio gli occhiali piccoli, affondava le mani nel piccolo giubbotto che teneva appoggiato sulle ginocchia.
Aveva lo sguardo basso, schivo, terrorizzato dall’essere riconosciuto da qualcuno, dal far sapere a quei ragazzi che lo circondavano, allegri, chiassosi, che lui ormai era un cliente abituale.
Tornava due volte a settimana, ordinava sempre la stessa cosa, senza berla, e andava via, di fretta e in silenzio, subito dopo lo spettacolo della stella.
Preferiva mantenerli nella loro convinzione di avergli fatto un dispetto, ad averlo trascinato nuovamente in quel locale, piuttosto che dare in pasto alle loro prese in giro la sua ossessione, quella che lentamente, nella settimana appena trascorsa, si era tramutata in qualcosa di più complesso, più delicato.
Aveva lasciato che gli altri ragazzi ordinassero per lui qualcosa di pesante, consapevoli che non l’avrebbe bevuto, divertiti dall’immaginare la sua espressione non appena se lo fosse trovato davanti, forse già pronti a ricordargli quanto gli alcolici facessero male ad un ballerino.
Era rimasto in silenzio, ad ognuna delle prese in giro che si sentiva scivolare addosso, lo sguardo basso che non si sollevava, nemmeno per un istante, sui ragazzi che ballavano prima della stella.
Non gli interessava guardarli, nemmeno nei momenti in cui gli insulti dei suoi compagni si facevano più pesanti, ridendo di quanto si dimostrava freddo, immobile, impacciato, alla presenza di quei ragazzi che si avvicinavano al loro tavolo, richiamati dalle loro urla.
Non gli piacevano, avevano una sensualità sfrontata, volgare, si leccavano le labbra e ridevano senza mantenere bassa la voce, quando notavano il taglio delle banconote che gli venivano offerte per togliersi qualche indumento in più.
La serata sembrava trascorrere in modo incredibilmente lento, ancor più di quando era solo, ed il momento dello spettacolo della stella, di Jin, sembrava non dover arrivare mai.
Ma arrivò.
Le percussioni basse, la luce soffusa, le note lente della musica che solitamente annunciavano la sua presenza riuscirono a zittire persino i suoi compagni dell’Accademia, che si erano improvvisamente fatti più rispettosi, attenti, stregati anche loro dall’effetto che aveva su chiunque la danza di Jin - o persino la sua mera presenza.
Anche Tomohisa aveva sollevato lo sguardo, consapevole che gli altri sarebbero stati sin troppo occupati a rifarsi gli occhi con l’innegabile bellezza di Jin, per prestargli attenzione.
E, probabilmente, nemmeno gli sarebbe importato, se anche l’avessero preso in giro - non era disposto a perdersi nemmeno un istante del suo spettacolo, a nessun costo.
I suoi movimenti morbidi erano pressappoco gli stessi, ad ogni spettacolo, ma si riservava quelle lievi differenze date dall’improvvisazione, dal decidere di sera in sera il modo in cui voleva accarezzare con il proprio corpo gli sguardi attenti del suo pubblico.
I movimenti veloci si alternavano a quelli lenti e sensuali, scatenando un istante prima i fischi d’ammirazione del pubblico, e subito dopo facendo trattenere loro il respiro, come se ognuno accogliesse dentro di sé quei colpi netti e precisi.
Tomohisa era perso, catturato nella propria fervida ricerca dello sguardo di Jin, anche quando era voltato di spalle, anche se non pensava potesse vederlo, nella penombra delle luci soffuse dell’inizio del suo spettacolo.
Era talmente perso da essersi completamente dimenticato della presenza dei compagni dell’Accademia attorno a sé, guardava Jin a labbra lievemente dischiuse, coperte dall’ombra di un sorriso che si era fermato lì.
Forse era perso al ricordo di quanto quel ragazzo rimanesse se stesso eppure si mostrasse molto più reale quando non era sul palco, o forse al ricordo delle sue parole, del suo lieve interesse, del suo sorriso, di quel bacio sulla propria fronte.
Gli toccò un brusco ritorno alla realtà, una gomitata al fianco e qualche risatina divertita lo obbligarono a distogliere lo sguardo dallo spettacolo che non voleva perdersi, dalla visione che lo incantava, tutte le volte.
Si era stretto nelle spalle, come a farsi scudo di quella piccola pioggia di risate che si era sentito scivolare addosso, abbassando lo sguardo, disperatamente cercando di rendersi invisibile.
La mano del ragazzo accanto a sé lo colpì sulla nuca, scherzosamente, eppure con poca delicatezza - tanto quanto le sue parole, un istante dopo.
“Il nostro Tomochan è difficile di gusti, eh?”
Le prese in giro sembravano quasi più morbide, sussurrate per non disturbare lo spettacolo, condite dalla musica lenta che da settimane, ormai, era diventata la colonna sonora della sua ossessione.
Jin ballava sul sottofondo di quelle parole cattive, sussurrate a bassa voce, travestite da scherzi, gettando alcune occhiate al tavolo dov’erano seduti - nonostante Tomohisa credesse che non lo stesse vedendo davvero.
“È inutile che lo guardi in quel modo, sai, Tomochan? Non guarderebbe mai uno come te, la stella.”
Si era stretto nelle spalle, accennando un sorriso debole, incapace di rispondere, incapace di fare qualunque altra cosa che non fosse sorridere in quel modo, come a scusarsi di se stesso, di essere così invisibile, silenzioso, impossibile, per uno come la stella.
E avevano riso tutti, attorno a lui, forti nella loro convinzione, divertiti da quanto il semplice sorriso di Tomohisa, avesse confermato le loro parole.
Era ridicolo, e li divertiva.
Ridicolo, il suo modo di sorridere e di non essere mai riuscito a rispondere a nessuna delle provocazioni che gli erano state rivolte, per anni, l’incapacità di difendersi, di alzare la voce, di farla persino sentire semplicemente, era tutto così divertente che non sentirono nemmeno la necessità di guardarlo ancora, lasciandolo nel suo silenzio, nel suo stringersi nelle spalle.
Si dedicarono di nuovo a quello spettacolo che gli aveva dato la possibilità di ridere ancora di lui, di trovare l’ennesima debolezza, di scoprire la piccola cotta di quel ragazzino che canzonavano per pura invidia nei suoi confronti.
Ed era bello da morire, lui, la stella, tanto che nessuno di loro ebbe alcun dubbio su quanto avevano appena detto, sul fatto che no, accidenti, non avrebbe mai guardato uno come Tomohisa.
Tra pochi istanti, poi, sarebbe stato il momento della scelta, in momento della loro eccitazione, il momento dell’immotivata gelosia di Tomohisa.
Era lievemente diversa, però, questa volta, la sua immotivata gelosia, quella che provava ogni volta che doveva guardare Jin esibirsi di fronte a qualcun altro, il suo corpo di spalle, i suoi movimenti sinuosi in pasto agli occhi di chi non era in grado di notare così bene come lui tutti i particolari.
Era diventata una gelosia diversa, più raffinata, di labbra morse al ricordo di essere stato anche lui un prescelto, il preferito, e di ciò che era successo dopo quella scelta.
Non poteva fare a meno di chiedersi se succedesse così con chiunque, se qualcuno, meno timido e più pronto di lui, avesse concluso la serata tra le braccia di Jin, nel suo letto, a sentire quel corpo perfetto scorrere sotto le proprie dita.
Di certo non si aspettava una seconda possibilità, non ci sperava, non credeva di poter essere scelto una seconda volta - di sicuro non davanti agli occhi divertiti dei suoi compagni dell’Accademia, pronti a schernirlo per uno sguardo di troppo a quel ragazzo decisamente non alla sua portata.
Però manteneva lo sguardo su Jin, in attesa di quel momento, in attesa della fine della serata.
Non ci sperava - eppure Jin guardava nella sua direzione, al momento della scelta, nella loro direzione, camminando lentamente come se avesse tutto il tempo del mondo a propria disposizione.
Era un copione che recitava ormai da mesi, la stella, doveva semplicemente trovare gli occhi adatti al proprio spettacolo, roteare un dito nella loro direzione, sfilarsi la maglietta e lasciarla tra le mani della sua scelta, un piccolo souvenir della propria sensualità, a fargli credere di essere stato speciale.
E come in quel copione, anche in quel momento si sfilava la maglietta, camminando con un sorriso sulle proprie belle labbra, il passo cadenzato sulle note lente di una musica sensuale, giocando, mantenendo il pubblico con il fiato sospeso, roteando la maglietta sopra la propria testa.
Bastarono uno sguardo della stella, e quei pochi movimenti, a far scorrere l’adrenalina per tutto il tavolo, i ragazzi che attorniavano Tomohisa sorridevano, eccitati dal poter essere parte di quello spettacolo, dal potersi riempire gli occhi della bellezza della stella.
Silenziosamente si chiedevano chi di loro sarebbe stato il preferito, probabilmente già pronti a vantarsene l’uno con l’altro, lasciando lui, il ragazzo timido, in disparte, senza più prestargli la cattiva attenzione della quale aveva goduto sino a pochi minuti prima.
Jin - o la stella, come loro preferivano chiamarlo, probabilmente ignari del suo nome - era ad un passo dal loro tavolo, la maglietta tra le mani, pronto a lanciarla addosso a qualcuno di loro con quel sottile violento erotismo, in grado di scatenare le fantasie con un solo gesto, come tante volte l’avevano visto fare.
Avevano immaginato di sentire il suo sguardo su ognuno di loro, sondarli uno ad uno, prima di scegliere colui che preferiva - e probabilmente, il prescelto, sarebbe stato anche la compagnia della stella per la fine della serata, questo era ciò che immaginavano.
Ma le fantasie perfette di quel gruppo di ragazzi si incrinarono, vedendo la stella muovere appena qualche passo, sporgersi appena in direzione di qualcosa - qualcuno, realizzarono un istante dopo - nascosto dai loro corpi protesi, sorridendo.
Aveva allungato un braccio, lasciando cadere delicatamente la sua maglietta tra le mani di Tomohisa, immobile sino a quel momento, le labbra lievemente dischiuse in attesa di quello spettacolo di cui non pensava di poter godere una seconda volta che si tiravano in un sorriso, debole, ma presente.
Si era sentito solo, di colpo, come una settimana prima - solo con lui, solo con Jin, che gli aveva sorriso, facendogli l’occhiolino prima di cominciare la sua danza, lenta, ipnotizzante.
Non aveva sentito i versi di sorpresa dei ragazzi che aveva intorno, né quelli di delusione, era convinto che con Jin ad un passo da loro, non avrebbero detto altro, e fu esattamente così.
Lo abbandonarono nell’illusione di una solitudine creata da quello spettacolo privato, era di nuovo il ragazzo che si era scoperto un voyeur grazie alla bellissima ossessione racchiusa in quel corpo perfetto, che si muoveva, si scopriva, inginocchiandosi davanti a lui, concedendosi ai suoi occhi e alla sua mente.
E poi, quella piccola differenza rispetto alla settimana precedente - Jin non aveva chiuso gli occhi, mentre gli dedicava quello spettacolo.
Gli sorrideva, muoveva le mani sul proprio corpo umido per le forti luci di scena, si mordeva le labbra, fingendosi catturato nella simulazione di un atto sessuale, ma lo guardava dritto in volto.
Così che nessuno potesse ancora riservare dei dubbi sul chi fosse il prescelto della serata - era lui, Tomohisa, il ragazzo timido che per più di un’ora aveva ascoltato in silenzio le prese in giro sulla sua freddezza, sentendole mutare in pochi minuti in prese in giro per la sua sciocca ambizione.
Sembravano infiniti, quegli istanti della danza privata di Jin - ma purtroppo arrivò la fine, con il suo sorriso lievemente celato dall’attenzione che il suo corpo calamitava, le mani tra i capelli, i movimenti rotatori del bacino.
Aveva allungato la mano, poi, in direzione di Tomohisa, che con un sorriso - dopo un attimo di smarrimento - gli porse il proprio bicchiere ancora pieno, sfiorando le sue dita, godendo dell’elettricità che sentiva scorrere tra i loro sguardi.
“A dopo.”
La sua voce bassa, caldissima, l’aveva in un istante gettato nella piacevole sicurezza di essere davvero diverso, di essere qualcosa di più, rispetto alle ragazze che erano state scelte per tante volte.
Era stato il preferito per due volte consecutive, era stato guardato dritto negli occhi, aveva preso i suoi sorrisi, sensuali, divertiti, incomprensibilmente intimi.
Era forte di una consapevolezza che teneva dentro di sé, non realmente interessato alle chiacchiere basse dei ragazzi che lo attorniavano, mentre guardava Jin tornare lentamente verso il centro del palco, e poi, Cheers, aveva bevuto in un solo colpo, e schioccato le dita.
Senza togliergli gli occhi di dosso.
Si erano sentiti scoperti, traditi dalle loro stesse sicurezze, derubati di quelle certezze che si erano frantumate in un sorriso sensuale e due parole sussurrate a voce bassa.
Non appena fuori dal locale, qualcuno di loro era andato a caccia di qualche sigaretta poco costosa, chiedendola con un sorriso fasullo e la finzione di non ricordarsi di non poter fumare, altri erano rimasti immobili, stretti nella loro delusione.
Erano attorno a Tomohisa, non gli rivolgevano la parola, ma attendevano, in silenzio, curiosi di vedere cosa sarebbe successo - aggrappati all’ultima speranza.
“Sono cattivi, gli spogliarellisti, eh? Non pensavo, povero Tomochan.”
Un sorriso cattivo condiva qualche parola detta come se lui non fosse presente, non fosse proprio lì, stretto in un giubbotto scuro, le mani nascoste nelle tasche, per non far vedere che erano talmente strette nei pugni che le nocche erano diventate bianche.
“Già. Non è assurdo? Prendere in giro così un povero ragazzo. Fargli credere che ci possa essere qualcosa di più… è una cattiveria.”
Lo guardavano di sottecchi, curiosi di notare la sua reazione a quelle parole, smaniosi di farlo tremare nella sua piacevole sicurezza di essere diverso, probabilmente sperando di farlo allontanare da lì, per non dargli la possibilità di scoprire se la stella fosse interessata a lui o meno.
Aveva gli occhi bassi, Tomohisa - bassi tanto quanto il suo udito era teso, raccogliendo quelle parole cattive e cercando di mantenere la propria proverbiale freddezza, in attesa, nel contempo, della voce bassa e calda di Jin.
L’odore di tabacco delle loro sigarette proibite gli stava dando fastidio, gli bruciava nella gola, aveva fatto solamente un passo indietro - cullandoli nella speranza che stesse per scappare, per cedere.
“Scusatemi, dolcezze.”
Jin era lì, una sigaretta tra le labbra e il viso scoperto da una fascia scura, che nascondeva completamente i suoi capelli castani, ma mostrava ancora di più il suo viso - i suoi nei vicino all’occhio, le labbra piene, le occhiaie lievi.
Aveva socchiuso gli occhi, rilasciando una boccata di fumo denso proprio sul volto di uno dei ragazzi davanti a lui, volutamente strafottente, compiaciuto dall’effetto che aveva la propria presenza anche quando non era sul palco.
Era calato il silenzio - per pochi istanti, prima che la stella venisse sovrastata da parole sconnesse, richieste di essere gli amanti di una notte elegantemente travestite da complimenti, ammirazione.
Teneva una mano nella tasca dei jeans scoloriti secondo moda, aveva mosso l’altra, quella che teneva la sigaretta, facendo cenno ai ragazzi davanti a sé di spostarsi.
Avevano atteso qualche istante, guardandosi l’un l’altro - forse per accertarsi di ciò che stava succedendo proprio lì, davanti ai loro occhi.
Si erano spostati, lasciando che Jin, la stella, sfilasse tra loro, guardandolo attoniti in quel modo, come si guarda uno spogliarellista - solo uno spogliarellista.
Tomohisa aveva sollevato lo sguardo, mantenuto basso sino a quel momento, a nascondere il sorriso spontaneo che gli era sorto al sentire la voce di Jin, incontrando finalmente i suoi occhi.
E Jin gli aveva sorriso, lasciando cadere per terra la sigaretta e voltando lievemente il viso per non fargli andare il fumo negli occhi, prima di sollevare una mano verso di lui, scostandogli i capelli dagli occhi, con delicatezza.
“Buona sera, piccolo.”
Non aveva una risposta, Tomohisa - ed erano i momenti in cui odiava di più quella sua timidezza, quel riuscire a rispondergli solo con un sorriso un po’ più dolce, con un passo verso di lui, ad accettare la sua presenza.
Si era sentito la sua mano scorrere sulla guancia, come la sera di una settimana prima, ed era successo ancora, ancora si era dimenticato la presenza di chiunque altro attorno a loro.
“Vieni a bere qualcosa con me?”
Era la stessa frase della settimana precedente, ancora, pronunciata con una nota lievemente più dolce, con un po’ di sicurezza in più, che non sembrava temere un rifiuto.
E Tomohisa non fece altro che annuire, prima di sentire le labbra di Jin sulla propria fronte, in un tocco morbido e veloce, al quale socchiuse appena gli occhi, impedendo involontariamente a se stesso di vedere le espressioni lievemente scioccate dei ragazzi poco distanti da lui.
Pochi istanti ed il braccio di Jin era attorno alle proprie spalle, e si lasciava portare via dal gruppo di ragazzi che lo guardavano senza proferire verbo, troppo sconvolti dall’aver appena visto la completa disfatta delle loro convinzioni.
Non avevano fatto che qualche passo, ma Jin non sembrava intenzionato ad abbandonare la sua maschera di studiata strafottenza - sempre che di maschera si trattasse.
Aveva stretto di più il braccio attorno alle spalle di Tomohisa, l’altra mano in tasca, e si era gettato lievemente un’occhiata dietro, come a controllare lo scenario che abbandonava dopo il suo passaggio ad effetto.
“Chi accidenti sono quelle finocchie acide, piccolo?”
Probabilmente era solo una frase, una come tante altre, ma in quel momento era stata perfetta - Tomohisa aveva riso, divertito, portandosi una mano alle labbra e abbassando lo sguardo, senza rendersi conto per l’ennesima volta di altri sguardi, che gli venivano dedicati in quell’istante.
Era lo sguardo di Jin, che si era perso, questa volta - fisso su di lui, a studiare ogni cambiamento del suo viso quando rideva, lievemente assorto, probabilmente già dimentico della domanda che gli aveva appena posto.
“Sono… compagni di… di quartiere?”
Non era riuscito a smettere di ridere, Tomohisa, divertito dall’epiteto che aveva appena sentito dare ai ragazzi che gli avevano reso la vita difficile sino a quel momento, talmente distratto da quella piccola vittoria personale da non essere nemmeno stato in grado di elaborare una bugia decente.
Ma, proprio come una settimana prima, quella mezza verità che copriva una bugia decisamente più grande, aveva fatto sorridere Jin, l’aveva spinto a sollevare la mano che teneva appoggiata sulla sua spalla, a scompigliargli delicatamente i capelli.
“Hai una fossetta sola, quando ridi. È adorabile.”
La piccola risata di Tomohisa si spense, lentamente, lasciandogli l’ombra di un sorriso divertito, felice, sulle labbra, mentre riusciva persino a sollevare lo sguardo su Jin.
Non gli aveva staccato gli occhi di dosso, proprio come la prima volta che si erano trovati a così poca distanza, perso in quella promessa che gli aveva fatto una settimana prima, che probabilmente Tomohisa aveva già addirittura dimenticato - che non l’avrebbe mai obbligato a parlare, si sarebbe accontentato semplicemente di studiare i suoi sorrisi.
Ed era ciò che stava facendo in quel momento, lungo la strada dello stesso pub della volta precedente, troppo concentrato in quel sorriso per rendersi conto del gruppo che li seguiva, a pochi passi di distanza.
“Non ti piacciono, vero? Non ti trattano bene…”
Tomohisa l’aveva guardato, sondando quelle parole con un po’ di stupore, prima di abbassare lo sguardo, nascondere un sorriso imbarazzato.
Si era stretto nelle spalle, quasi nello stesso istante in cui la mano di Jin abbandonava i suoi capelli e tornava a circondargliele, strofinandosi appena contro il suo braccio, inconsciamente, come a volerlo scaldare in quella serata improvvisamente fredda.
“Come l’hai capito?”
Si era avvicinato un po’ di più a lui, forse involontariamente, ma si era lasciato catturare da quel calore, dalla crudezza dei movimenti spontanei di quel ragazzo strano - che gli sembrava sempre meno strano, sempre più reale, dolce.
Jin sorrideva, come se avesse appena portato a termine un’enorme conquista, resosi conto di aver indovinato qualcosa della vita di Tomohisa, o forse avendo notato il modo in cui si era accostato di più a lui.
L’aveva stretto a sé con appena più decisione, ed uno sguardo smarrito, senza sapere con esattezza cosa dire, come comportarsi.
Per la prima volta nella sua vita.
“Ho visto l’espressione che avevi quando eri con loro. Sorridevi alle loro battute, ma non avevi voglia di farlo, vero?”
Jin l’aveva guardato di nuovo, cercando in lui una traccia qualunque, che gli facesse capire che quanto aveva appena detto non fosse completamente fuori strada.
Tomohisa sorrideva appena, un po’ dispiaciuto, come a volersi scusare di qualcosa che non capiva nemmeno lui, gli occhi nuovamente bassi a osservare l’asfalto.
“E poi, poco fa, quando li ho chiamati in quel modo, hai riso. Cioè, hai riso davvero, eri divertito. Eri… bellissimo, sai?”
Gli occhi di Tomohisa erano rimasti bassi, ma la sua espressione era deliziosamente cambiata - si era aperto un piccolo sorriso sulle sue labbra, era arrossito, ma non di quel rossore che gli sorgeva sulle guance a qualche presa in giro più pesante dei suoi compagni dell’Accademia.
Aveva una tonalità più dolce, quel rossore, gli donava, dava un motivo a quel piccolo tic, quel lieve mordersi le labbra dall’imbarazzo.
Jin l’aveva guardato ancora, come incantato da tutti i cambiamenti di colore delle sue espressioni, senza aggiungere altro alle proprie parole.
“L’hai fatto davvero, allora…”
Aveva promesso di non obbligarlo a parlare, mai, per paura di vederselo scivolare via da sotto allo sguardo, proprio ora che il suo cuore aveva imparato quel nuovo strano modo di battere, così forte.
“Mh? Cos’ho fatto?”
Ma senza rendersene conto aveva rotto la propria stessa promessa, affascinato dalla voce sottile del ragazzo che stringeva al proprio fianco, certo che, ad un tono lievemente più alto, sarebbe stata molto più profonda, più bella, di quella di tutti i ragazzi che conosceva.
Stava quasi per chiedergli scusa, per quella richiesta di una spiegazione all’improvviso, temendo che l’altro potesse interpretarla come un’invasione.
“Hai… cercato di capire qualcosa di me solo dai miei sorrisi. Ci sei riuscito…”
Non aveva fatto in tempo a chiedergli scusa, era stato colpito dalle parole di Tomohisa, dalla dolcezza con cui ammetteva di essere stato scoperto in qualcosa, dal suo sorriso contornato da quel lieve rossore.
L’aveva visto sollevare una mano, poi, aggiustandosi sul volto i piccoli occhiali, in quella mania che sembrava aver completamente dimenticato da quando era accanto a Jin, quella sera.
Gli ci era voluto qualche istante, per riprendersi da quanto aveva visto, perché l’espressione persa abbandonasse il proprio viso per lasciar spazio ad una un po’ più significativa, finta strafottente, giocosa.
“Mantengo sempre le mie promesse, piccolo.”
Tomohisa gli aveva sorriso ancora, gli piaceva essere chiamato in quel modo, piccolo.
Si era sentito percorrere da un leggero brivido di freddo, quando il braccio di Jin aveva abbandonato le sue spalle - ma aveva chinato il capo, esageratamente cerimonioso, quando gli aveva tenuto aperta la porta del pub, per farlo passare.
Non aveva notato nemmeno quella volta il suo sguardo, posarsi appena su qualcosa alle loro spalle, fare un mezzo sorriso, scuotere il capo, prima di seguirlo all’interno del locale.
Gli aveva preso la mano, quasi immediatamente, con la scusa di trascinarlo attraverso la piccola folla radunata davanti al bancone verso il tavolo al fondo della sala, lo stesso della settimana prima.
A Tomohisa piacevano i particolari.
Ci si perdeva, in silenzio, con gli occhi bassi a cercare tutte quelle piccole cose che ricordava di un posto in cui era già stato.
Spesso preferiva ricordare i particolari all’insieme, proprio come quella sera.
Il pub era pieno dei soliti avventori - forse gli stessi, forse diversi - che riempivano i tavoli in legno di una chiazza colorata e dal profumo forte, le cameriere erano le stesse, probabilmente, anche se forse non sarebbe riuscito a distinguerle le une dalle altre.
Circa al centro del loro tavolo, però, c’era sempre quella piccola bruciatura, coperta dalla cera di una candela rossa che non era più presente, sul fianco era incisa una dichiarazione d’amore in lettere storte.
Il sorriso di Jin si notava di più, sembrava più bello, con il volto scoperto dai capelli castani, e lo guardava ancora, assorto, il volto appoggiato alla mano, le unghie lievemente mangiate dell’altra che tamburellavano sulla superficie di legno.
“Cosa prendi?”
Una piccola panoramica di quel luogo così diverso da quelli che era abituato a frequentare, e poi lo sguardo di Tomohisa tornò su Jin, timidamente, ma deciso a restarvi.
“La stessa cosa dell’altra volta?”
Jin gli aveva sorriso, con una strana dolcezza nello sguardo, una dolcezza che non era da lui, ma che preferiva non analizzare, al momento.
Aveva annuito, poi, alzando una mano ad attirare l’attenzione di qualcuna delle cameriere - attenzione che in ogni caso era su di lui da quando era entrato in quel locale, nonostante non sembrava averci fatto caso, completamente catturato in altro.
“Ti era piaciuto?”
Era una domanda stupida, lo sapeva, completamente superflua, dal momento che se Tomohisa aveva chiesto nuovamente quella bibita, sicuramente l’aveva apprezzata.
Ma non era riuscito a bloccarsi, ad impedirsi di trovare qualunque espediente che potesse mantenere su di sé il suo sguardo.
Aveva sorriso notando quel piccolo rossore, quel modo di annuire lievemente, la fatica che sembrava fare per non abbassare nuovamente lo sguardo.
Quando la cameriera si era avvicinata, Jin non l’aveva guardata, per timore che se avesse distolto lo sguardo anche solo per pochi istanti, una volta che l’avesse riportato su Tomohisa, il suo non sarebbe stato più fisso nel proprio.
“Due Bellini, grazie.”
La ragazza aveva segnato le ordinazioni sul blocchetto, con una piccola penna rosa, e si era allontanata senza dire una parola, lasciando i due ai loro sguardi enigmatici.
E poi era successa quella cosa, all’improvviso - Tomohisa aveva abbassato nuovamente lo sguardo, sfuggendo al suo, sì, però aveva preso la parola per primo.
Si era stretto nelle spalle, scostandosi una ciocca di capelli scuri dagli occhi, prima di parlare.
“Non bevo molti alcolici, di solito. Però era buono, sapeva di pesca, e…”
Si era interrotto, immediatamente, alla vicinanza della ragazza che posava i due bicchieri sul loro tavolo, lo sguardo di lei palesemente posato sul profilo di Jin, che però non aveva tolto gli occhi dal volto di Tomohisa, perso in quella piccola sorpresa.
Aveva di nuovo preso lo scontrino, sorridendo al piccolo movimento del capo che faceva l’altro ragazzo in segno di ringraziamento, prima che la cameriera si allontanasse.
Poi aveva tolto la cannuccia dal proprio bicchiere, abbandonandola sul tavolo, con qualche goccia di liquido arancione chiarissimo che finiva sulla bruciatura coperta di cera.
Aveva stretto le lunghe dita attorno al bicchiere, sollevandolo, sorridendo ancora all’espressione divertita di Tomohisa che aveva imitato ogni suo movimento - facendo però attenzione a sgocciolare delicatamente la cannuccia all’interno del bicchiere, prima di posarla sul tavolo.
“A noi due, piccolo.”
Tomohisa aveva sorriso, facendo andare il bicchiere incontro al suo e sentendo il tintinnio del vetro, prima di bere un piccolo sorso.
Aveva riso, piano, vedendo come Jin avesse vuotato metà bicchiere in un solo sorso, posandolo poi sul tavolo con un sorriso soddisfatto, tornando a guardare il ragazzo accanto a sé.
Il volto nuovamente appoggiato ad una mano, le labbra piene incurvate in un lieve sorriso, gli occhi nei suoi - ma, assurdamente, lo mettevano meno in imbarazzo di quanto riuscissero a fare la settimana precedente.
“Tomohisa…”
Lo chiamava raramente per nome, solitamente preferiva chiamarlo in quel modo, piccolo, e poi sorridergli, per attirare la sua attenzione.
Ma Tomohisa aveva alzato lo sguardo, lievemente sorpreso, le dita di una mano strette attorno al vetro del bicchiere e l’altra che giocava con la piccola cannuccia verde chiaro, abbandonata pochi istanti prima sul tavolo.
L’aveva guardato, in silenzio, in attesa, mentre Jin spostava lentamente la sedia per avvicinarsi di più a lui, lasciando scorrere una mano sul tavolo.
“Posso prenderti la mano?”
“Eh?”
Era stata una reazione estemporanea, del tutto spontanea, aveva spalancato lievemente di più gli occhi alle sue parole, sentendo un istante dopo le sue dita sfiorare il dorso della mano che stava ancora giocando con la cannuccia.
Era teso, e si notava - ma si era rilassato in un istante, quando la mano di Jin aveva catturato la propria, delicatamente, voltandola per poter intrecciare le loro dita, passando lentamente il pollice sul dorso della sua mano.
Jin aveva lasciato il bicchiere mezzo vuoto, portando l’altra mano al volto del ragazzo accanto a sé, che ancora lo guardava con un’espressione a metà tra l’assorto e il lievemente sconvolto, accarezzandogli il mento con le dita fredde per aver tenuto il bicchiere in mano.
“Ci stanno guardando. Le finocchie acide.”
Tomohisa aveva dovuto reprimere una piccola risata, al sentire di nuovo quell’epiteto, ipnotizzato dagli occhi castani di Jin fissi nei propri, dal movimento lieve del suo pollice sotto le proprie labbra.
“Do-dove?”
Aveva tentato di voltarsi, forse per far sì che i propri occhi sondassero la stanza alla ricerca dei compagni dell’Accademia, che li avevano seguiti fino a lì - o forse per togliersi dall’imbarazzo del volto di Jin a così poca distanza dal proprio, e del rossore che stava fiorendo sulle sue guance ad una velocità incredibile.
La mano di Jin, però, l’aveva fermato, dolcemente, bloccandosi sulla sua guancia in una carezza lenta.
“Non guardarli. Guarda solo me.”
Tomohisa si era tranquillizzato, nuovamente, abbandonandosi ad un sorriso - un sorriso vero, dolcissimo - prima di annuire lievemente.
Aveva poi abbassato lo sguardo, riuscendo persino a ricambiare la stretta della mano di Jin che teneva la propria, lasciando i propri occhi su quell’intreccio morbido di dita posate sulla superficie ruvida del tavolo.
L’altra mano di Jin era sulla guancia di Tomohisa, a tracciare lentamente il rossore della sua pelle liscia, con una delicatezza che lui stesso faceva fatica a riconoscere nei propri movimenti, come parte del proprio carattere.
“Jin..?”
Non l’aveva mai chiamato per nome.
Non si era mai rivolto direttamente a lui, in verità, il ragazzo timido - si era sempre e solo limitato a rispondere alle sue poche domande, a sorridere ai suoi racconti, ad abbassare lo sguardo a quei complimenti che gli sfuggivano nel pieno dei discorsi.
Ma in quel momento aveva voluto attirare la sua attenzione, lo sguardo basso sulle loro dita unite, che si sollevava lentamente a cercare il suo.
“Mh?”
Jin non pensava che prima o poi sarebbe riuscito a sciogliere gli irriducibili silenzi di Tomohisa - di certo non pensava che ci sarebbe riuscito così presto, in ogni caso.
Era rimasto in completo silenzio, al sentire quelle poche parole, quasi si era dimenticato di rispondere non appena l’altro l’aveva interpellato, troppo vergognosamente catturato dal modo in cui le labbra del ragazzo si muovevano quando pronunciavano il suo nome.
Aveva lasciato scorrere la propria mano sulla sua guancia, delicatamente, sino a raggiungere ancora una volta il suo mento, tracciandogli il labbro inferiore.
“Da quanto tempo, balli in quel locale? Cioè…”
Si era stretto nelle spalle, come a scusarsi di quella curiosità repentina, tentando di abbassare nuovamente lo sguardo - senza successo, poiché aveva incontrato le dita di Jin, sotto al proprio mento, che lo fermavano dolcemente, come un consiglio.
Jin si stava prendendo tutto il tempo per godersi quell’imbarazzo, inclinando lievemente il capo di lato a studiare l’espressione di Tomohisa, che sembrava quasi avere l’assurda voglia di chiedere scusa per aver detto quelle poche parole.
Gli rispose, poi, soppesando le proprie parole come se dovesse rivelargli una grande verità - nonostante non stesse facendo altro che dirgli ciò che quasi tutti sapevano, in quell’ambiente.
“Tre mesi.”
Non gli aveva detto nient’altro, probabilmente di proposito, incuriosito dalla possibilità che Tomohisa potesse desiderare sapere qualcos’altro, che l’avrebbe spinto ad alzare nuovamente la voce, a parlare ancora, a guardarlo in volto per capire se stava mentendo.
Però dapprima non fece altro che sorridere a quella risposta così concisa, sollevando solo un angolo delle labbra, riuscendo ad abbassare lo sguardo nonostante le dita di Jin gli mantenessero il capo quasi immobile, con quella fermezza delicata.
Poi si era stretto nelle spalle, sollevando la mano libera a prendere il bicchiere, un gesto che obbligò Jin a liberare il suo mento dalle proprie dita, per permettergli di bere un sorso di ciò che Tomohisa aveva solo assaggiato, poco dopo il loro brindisi.
“È… poco. Pensavo che ballassi da molto più tempo…”
“Perché mi chiamano in quel modo? La stella?”
Gli aveva risposto immediatamente, quella volta, forse inconsciamente contento della possibilità di instaurare un dialogo - un vero dialogo, fatto di botte e risposte - con quel ragazzo sul quale aveva assurdamente messo gli occhi una settimana prima.
Non si era nemmeno ancora soffermato a chiedersi nulla di ciò che gli era successo - la volontà di fermare qualcuno dopo il proprio spettacolo, non per portarselo a letto, ma per parlare, per conoscerlo, per capire qualcosa di lui dai suoi sorrisi rari, bellissimi.
Si limitava a guardarlo abbozzare proprio quei sorrisi che l’avevano colpito, stringersi nelle spalle, bere un altro sorso di uno dei primi alcolici che avesse mai bevuto e cercare con cura le parole con cui rispondergli.
Niente scene costruite di sorrisi falsi, discorsi vuoti, odore di tabacco, sesso e alcolici pesanti - niente di simile.
“Ecco… sì. Ero convinto fossi lì da molto, e fossi diventato… famoso? Scusami.”
Aveva una parlata delicata, come tutto il resto della sua persona.
Scivolava sulle parole prestandovi una strana attenzione, come se fosse stato abituato a parlare in pubblico, per occasioni ufficiali, e al di fuori da quelle scene preferisse evitarlo.
Si scusava spesso, con i gesti e raramente con le parole, come per un infondato timore di poter arrecare danno, o più probabilmente fastidio, a qualcuno con la propria presenza.
E Jin non aveva resistito - gli aveva scostato ancora i capelli dal viso, osservando i suoi occhi che tentavano di nascondersi dietro le lenti sottili dei piccoli occhiali, finendo per abbandonarsi ad un’altra carezza, come se fosse diventato improvvisamente incapace di lasciarlo stare, di non tenere le proprie mani sul suo volto, di non toccarlo.
“Di cosa ti scusi?”
Si era stretto ancora nelle spalle - era uno di quei tic che lo rendevano affascinante, come il mordersi il labbro inferiore quando non sapeva cosa dire, portarsi una mano ad aggiustarsi gli occhiali sul volto, due dita sull’asta a lato, quando qualcosa lo innervosiva.
Si stringeva nelle spalle quando si rendeva conto di aver detto qualcosa di cui non sapeva nemmeno lui il motivo, ed era carino quando lo faceva, davvero carino.
“Sono un ballerino. Ballerino… generico, ecco. Per quello sono diventato in fretta… oddio, famoso non so se sia la parola adatta, sai? Però mi conoscono. E mi chiamano in quel modo.”
Gli occhi di Tomohisa si erano illuminati, a quelle poche parole, aveva sollevato nuovamente lo sguardo ad incontrare quello di Jin - ed erano diversi.
Brillavano di una strana luce, bellissima come il piccolo sorriso che gli era spuntato sulle labbra, la stretta appena più decisa che Jin aveva sentito delle sue dita attorno alle proprie.
“Sei un ballerino?”
Jin aveva annuito, lentamente, studiando l’espressione all’improvviso così diversa che era apparsa sul volto del ragazzo davanti a sé, ricambiando la stretta della sua mano, il suo sorriso.
“Anche tu?”
Quella piccola domanda gli era sorta quasi spontanea, all’apparizione di quello sguardo, di quel sorriso, e l’aveva posta senza rendersene conto.
Tomohisa aveva abbassato nuovamente lo sguardo, stringendosi nelle spalle, scuotendo velocemente il capo in cenno di diniego.
Molto velocemente, quasi immediatamente dopo aver sentito quella domanda.
Quel piccolo sorriso e quella luce che gli brillava in volto non l’avevano abbandonato, però, erano rimaste lì, sulla soglia della sua curiosità malcelata, tanto che pochi istanti dopo aveva sollevato nuovamente lo sguardo, ritrovando quello di Jin.
“Come… come mai un ballerino decide di lavorare in un locale come quello? Non che… che abbia qualcosa che non va, ecco…”
Jin aveva riso, piano, con quella risata bassa e affascinante che era come un sussurro, che Tomohisa poteva sentire perfettamente, tanto quanto i segni d’espressione accanto alle sue labbra lo ipnotizzavano.
Aveva scosso la testa, calmandosi dopo qualche istante, sorridendogli, vuotando il proprio bicchiere, poi, in appena due sorsi.
“Non ti preoccupare così tanto di quello che dici…”
Aveva sorriso anche Tomohisa, alla sua frase, forse resosi conto di quanto sembrava teso, in quello scambio veloce di battute, ammorbidendo la stretta della sua mano, senza tuttavia scioglierla.
Forse aveva intenzione di chiedergli nuovamente scusa - ma non ne ebbe il tempo.
Jin aveva ricominciato a parlare, rispondendo alla sua domanda senza pensarci troppo, lo sguardo su di lui, ma perso in una piccola luce - una molto simile a quella che brillava negli occhi di Tomohisa pochi istanti prima.
“Sto mettendo da parte qualche soldo, vorrei… andare in America. Sai, diventare uno del corpo di ballo di una di quelle persone famose… quelli con macchine enormi e pellicce e gioielli e…”
Era stato il suo turno, di interrompersi, ma l’aveva fatto decisamente volentieri - Tomohisa rideva, piano, lo sguardo basso e una mano sulle labbra, chiusa a pugno, e l’aveva vista di nuovo.
Quella piccola fossetta sulla sua guancia.
“Ridi di me, piccolo?”
Jin sorrideva, perso in quella visione, dimentico persino degli spettatori - i ragazzi che durante lo spettacolo sedevano accanto a Tomohisa - a pochi tavoli di distanza, dimentico di qualunque cosa.
Tomohisa aveva scosso la testa, lentamente, muovendo una mano davanti al proprio viso come a scacciare quanto avesse appena detto Jin, calmandosi dopo qualche istante.
Il sorriso era rimasto, pieno per la prima volta, si era morso lentamente il labbro inferiore - e la sua piccola fossetta era ancora lì.
“No… per niente. Ti ci vedo proprio bene, lo sai?”
Jin aveva chinato lievemente il capo, in segno di ringraziamento del tutto costruito - troppo perso nell’ammirare le piccole cose che pian piano scopriva del ragazzo accanto a sé, assurdamente più interessato ai particolari che all’insieme, per la prima volta nella sua vita.
“Però… mi dispiacerebbe, se andassi in America.”
Aveva aggiunto quella frase in un sussurro, come un pensiero scivolato via per sbaglio, il sorriso che si spegneva - o meglio, si trasformava, in uno più dolce, timido, come il rossore che tornava a colorire le sue guance.
Jin l’aveva guardato, tornando a stringere con più forza la sua mano, un sorriso che gli sbocciava velocemente sulle labbra piene.
Era tornato a portare due dita sotto il suo mento, tracciandogli le labbra con il pollice, per fargli sollevare lievemente il capo - per poi poter posare le proprie labbra sulla sua fronte, dolcemente, ad occhi socchiusi, per istanti che gli sembrarono ore.
“Non sto andando da nessuna parte, piccolo.”
Le loro dita erano intrecciate, le loro mani giunte dondolavano leggermente al ritmo dei loro passi lenti, e gli occhi di Tomohisa non le avevano abbandonate quasi mai, da quando avevano lasciato il pub.
La voce di Jin era bassa, calma come sempre, a raccontare aneddoti su ciò che succedeva al locale in cui lavorava, tra scenate di mariti gelosi e quelle di madri preoccupate - che immancabilmente si fermavano a guardare lo spettacolo pochi minuti dopo - solamente per far ridere il ragazzo di cui teneva la mano, stretta nella propria.
E Tomohisa lo accontentava, ridendo piano e coprendosi le labbra, sin troppo timido per ridere apertamente, senza rendersi conto che gli occhi di Jin erano diventati occhi attenti ai particolari - alla sua piccola fossetta sulla guancia - più che all’insieme.
Avevano sorpassato da qualche passo il luogo dove si erano fermati la settimana prima, quando Jin si era offerto di accompagnarlo per un pezzo di strada, ma nessuno dei due sembrava essersene reso conto, troppo catturati dai loro discorsi, dagli sguardi sui particolari.
Il primo ad accorgersene fu Tomohisa, sollevando lo sguardo dalle loro mani giunte e riconoscendo alla prima occhiata l’architettura dell’Accademia di Danza, annessa al dormitorio nel quale stavano alcuni dei ballerini che non erano riusciti a trovare appartamenti nelle vicinanze.
Si era fermato, di colpo, bloccando anche Jin ed il suo fiume di parole, che un istante dopo si era voltato, cercando il suo sguardo, sorridendogli.
“Sono… arrivato. Non me n’ero accorto.”
Aveva sorriso anche Tomohisa, timido in quella piccola dimenticanza, stringendosi appena nelle spalle, senza però abbassare lo sguardo, mantenendolo negli occhi di Jin, che si avvicinava lentamente a lui, senza lasciargli la mano.
Si era guardato intorno, riconoscendo il quartiere con un sorriso, prima di abbassare nuovamente lo sguardo sul ragazzo di fronte a sé.
“Abiti vicino all’Accademia di Danza?”
L’aveva guardato mordersi il labbro, abbassare lo sguardo che sino a quel momento aveva fatto fatica a mantenere su di lui, stringersi nuovamente nelle spalle e annuire vagamente - e non era riuscito a capirlo, questa volta, a capire l’imbarazzo scaturito da una domanda così apparentemente semplice, persino innocente.
Però aveva sollevato la mano libera, insinuandola tra i suoi capelli alla nuca, quelli un po’ più corti degli altri, più morbidi, accarezzandoli, lasciandoseli scorrere tra le lunghe dita.
Tomohisa aveva sollevato nuovamente lo sguardo - ed era una sua impressione?
Gli sembrava fosse in attesa di qualcosa.
“Verrai a vedermi ballare, domani sera?”
Gli aveva sorriso dopo quel sussurro, annuendo lentamente, con la stessa espressione di qualcuno che dice qualcosa di completamente ovvio - ed aveva socchiuso gli occhi, forse semplicemente in attesa di quel bacio sulla fronte al quale ormai si era abituato, o forse per qualcosa di più.
Jin l’aveva guardato, incapace di distogliere lo sguardo, sorridendo con quella strana consapevolezza che hanno ogni tanto gli uomini - quella che dice che le stelle, loro, stanno girando completamente a favore di qualcuno, per fare in modo che succeda ciò che sperava da almeno una settimana.
Si era accostato a lui, una mano tra i suoi capelli e l’altra stretta nella sua, socchiudendo lentamente gli occhi, le labbra ormai ad un soffio dalle sue.
“…Oh.”
Jin si era fermato, a quel piccolo verso, il cuore che batteva forte come mai aveva battuto in tutta la sua vita - non lo sapeva nemmeno, che potesse battere così forte - e l’orribile presentimento di aver fatto qualcosa di completamente sbagliato.
Aveva aperto gli occhi, lentamente, scostandosi appena dal ragazzo di fronte a sé, che aveva ancora una volta gli occhi bassi, e si mordeva un labbro, e sembrava preoccupato da qualcosa.
“Domani… domani non posso. Devo andare a… vedere una cosa. O la maestra mi ucciderà.”
“La… la maestra?”
Si sentiva strano - non era per niente se stesso, si era trovato senza parole, con il cuore in gola per paura di aver sbagliato qualcosa nel proprio modo di comportarsi - non era riuscito a baciare il ragazzo che gli interessava.
E lo guardava, mormorare con la voce sottile quelle poche parole, chiedendosi perché gli fosse venuto in mente proprio in quel momento.
“S-sì, cioè… per la scuola. Scuola di… università? Circa.”
Non aveva indagato, probabilmente ancora intimorito da quel passo di troppo che si stava spingendo a fare, bloccato ad un soffio dal riuscirci, limitandosi a tornare ad accarezzargli lentamente i capelli, stringendogli di più la mano nella propria.
Un istante dopo, gli aveva lasciato la mano, delicatamente, accostandosi di un altro passo e portandogliela alla vita, per attirarlo contro di sé - abbastanza debolmente che, se Tomohisa avesse voluto, sarebbe riuscito ad evitarlo con facilità.
“Mi stai dicendo che non ti vedrò per una settimana?”
Tomohisa aveva sollevato lo sguardo di nuovo, smettendo per qualche istante di torturarsi il labbro inferiore tra i denti, annuendo con aria sinceramente dispiaciuta, lasciandosi attirare verso di lui.
E i movimenti di Jin erano stati lenti, lentissimi, ma probabilmente lui era sin troppo preso dai propri pensieri, dal chiedersi come potesse perdersi uno dei suoi spettacoli solo per una stupida prima di uno stupido balletto classico, per accorgersi di essere tra le sue braccia, un istante dopo.
Sentiva la sua mano sulla propria schiena, l’altra tra i propri capelli, in un abbraccio delicato che gli avrebbe lasciato la possibilità di scappare con una facilità impressionante - ma non fece altro che sollevare le braccia, timidamente, stringendole attorno alla sua vita.
“Non so se resisterò, una settimana, lo sai?”
La sua voce era bassa, nel proprio orecchio, un sussurro incredibilmente dolce, e Tomohisa non aveva fatto altro che chiudere gli occhi, posando la fronte sulla sua spalla, godendosi il calore di quell’abbraccio, lasciando a quella posizione il compito di rispondere alle sue domande.
Jin aveva stretto lievemente le braccia attorno al corpo sottile di Tomohisa, sentendolo rispondere a quell’abbraccio, chiudendo gli occhi e inalando il profumo dei suoi capelli, nascondendovi il viso.
Non sapeva per quanto tempo fossero rimasti fermi in quella posizione, ma nessuno dei due sembrava intenzionato a sciogliere la stretta nella quale si erano abbandonati, e fu Jin, come sempre, il primo a rompere il silenzio.
“Sai… terrò un corso, molto breve, e mi hanno dato una delle aule dell’Accademia. Uno di quelli dove verranno praticamente solo casalinghe frustrate a guardarmi il sedere…”
Tomohisa aveva riso piano, voltando lievemente il viso così che la propria guancia si posasse sulla spalla di Jin, e potesse guardarlo mentre parlava, seguire come ipnotizzato il movimento di quelle labbra così belle.
Sembrava aver registrato la notizia solo qualche istante dopo, perché spalancò gli occhi, stringendo tra le dita la stoffa scivolosa del giubbotto nero che indossava l’altro ragazzo, senza però dire nulla.
“Perché non vieni? Non devi ballare per forza, se non vuoi… puoi anche solo farmi compagnia.”
Si era sentito la mente invasa da mille pensieri, di ciò che sarebbe potuto succedere se qualcuno dei suoi compagni avesse deciso di andare al corso che teneva Jin, o se l’avesse visto ballare.
Aveva anche pensato alla possibilità di non vederlo più per una settimana, una settimana lunghissima, e si era stretto di più nel suo abbraccio, socchiudendo gli occhi.
“Va bene.”
“Verrai davvero?”
Non era passato che un istante brevissimo, dal proprio sussurro a quello eccitato di Jin, ed aveva riso di nuovo, all’irruenza quasi incomprensibile di quel ragazzo, che l’aveva stretto ancora più forte, cercando la sua tempia per lasciarvi un bacio morbido, subito dopo averlo visto annuire.
Tomohisa era stato il primo, a distaccarsi lievemente da quell’abbraccio, sollevando lo sguardo su di lui con un sorriso dolce, per poi riabbassarlo.
“Mi scriverai gli orari del tuo corso?”
E Jin non aveva fatto altro che sorridere, annuendo, prima di attirarlo nuovamente a sé.
L’aveva stretto tra le proprie braccia, ancora, come se fosse incapace di lasciarlo andare, gli aveva baciato la fronte due volte, poi lo zigomo, e la guancia.
“Buona notte, piccolo.”
Aveva atteso il suo sussurro in risposta, con un sorriso, prima di lasciarlo andare, guardandolo sino a vederlo sparire all’interno di un edificio adiacente all’Accademia di Danza.
E il suo cuore aveva imparato a battere ancora più forte della settimana prima, evidentemente.
つづく♥
Nya! Ecco tutto. Che mi dite?
In ogni caso, questa sera sono abbastanza di buon umore. Il PV nuovo dei Gazette mi ha letteralmente lasciata senza parole, e... per contro, ho riversato su chiunque avesse avuto la sfortuna di chiedermi che ne pensassi, tante di quelle parole da procurare un mal di testa non da poco. Gomen ne ♥
E sento già il bisogno di un altro post stupido pieno di screencaps - perchèssiii, lo Shokura in alta qualità e io sono una persona davvero FELICISSIMA. Poi. Vogliamo parlare delle foto nuove dei Jumpi? No, meglio di no, ecco.
Mah, magari è meglio se scrivo un altro post stupido invece che delirare qui... domani, ora non ho voglia! XD
Adieu ♥