Titolo: 10 Days
Capitolo: 9/??
Autore:
nekoziruishiGenere: comedy, romance
Band: The GazettE
Pairing: AoixUruha
Warinings: malexmale, mention of sex,
Rating: PG (for now)
Discalimer: Ho chiuso Aoi nel mio armadio, sta cercando di uscire. (Sono una bugiarda naturale)
Summary:
“Mh...vogliamo fare una scommessa?” spense la sigaretta nel posacenere e finì di bere il caffè.
“Che scommessa?” questa situazione non prometteva niente di buono. Kou alzò gli occhi verso Yuu che gli porse il posacenere.
“Mettiamola così, tu, Kouyou Takashima sei irrimediabilmente innamorato di me, solo che ancora non te ne sei ancora reso conto”
Uruha alzò gli ochi al cielo e sbuffò, a volte Aoi sapeva davvero essere arrogante, purtroppo però quella lieve stretta che lo prese direttamente allo stomaco gli ricordò che quando si trattava di lui molto spesso ci prendeva in pieno.
“Però potrei anche sbagliarmi, quindi ti faccio una proposta”
“Quale?”
“Dieci giorni, dammi dieci giorni per farti capire che senza di me tu
non puoi vivere”
A/N: niente, a parte che ce l'ho fatta LOL. e una gentilissima ragazza francese
poyo_pomme tradurrà 10 days in francese, appunto, mentre io ho iniziato a tradurla in inglese con l'aiuto di una marraivgliosa beta-reader!
Day 3: parte 3
Come se ci avesse preso gusto Aoi continuava a guidare, eludendo qualsiasi domanda su quale fosse la loro meta finale. Neanche la psicologia inversa aveva funzionato, ma almeno erano tornati tra le luci al neon di Tokyo.
“Siamo quasi arrivati, non ti preoccupare”
Avrebbe voluto controbattere che dirgli di non preoccuparsi con un preoccupante ghigno sulle labbra, non era la cosa migliore da fare, ma si cucì la bocca e cercò di pensare ad altro, a qualcosa di meno impegnativo che sostenere continui attacchi alla sua innocenza.
All’ennesimo semaforo rosso Aoi sentì Uruha sbuffare e imprecare a mezza voce, lo guardò di sottecchi e non riuscì ad impedire che le sue labbra si inclinassero verso l’alto in un sorriso.
“Uruha?”
“Cosa?”
E si sentì stupido come un quindicenne che arrossisce perché per la prima volta ha tenuto la mano della sua prima cotta, incapace di smettere di sorridere, con gli occhi che brillano, con tutte quelle sciocchezze romantiche sulla punta della lingua che rendevano tutto più dolce.
Si sentì stupido e grato perché non a tutti è garantito di provare certi sentimenti, non a tutti è concesso di incontrare qualcuno che li faccia nascere e fiorire.
“Ti amo”
Uruha lo guardò storto, uno sguardo sfuggente prima di balbettare qualcosa sul semaforo verde.
Sulle scale luci blu a terra illuminavano gli scalini, prima di iniziare a scendere Uruha si voltò a guardare Aoi indicando le strette e ripide scale, ricevendo in cambio un cenno d’assenso e una leggera spinta.
“Non ti preoccupare, ti piacerà”
Appese ai muri c’erano locandine sbiadite appiccicate l’una sull’altra, ogni tanto i colori sgargianti di qualcuna più nuova catturavano l’occhio, tutte reclamizzavano band rock o jazz che a quanto pare si esibivano lì durante la settimana.
Avevano lasciato la macchina parecchio distante dal locale e durante il tragitto Aoi aveva parlato del nuovo singolo, di amplificatori, jack e plettri, del regalo che gli aveva spedito sua madre da Mie per il su ultimo compleanno e dell’ultima partita dell’Arsenal. Argomenti normali per amici normali e Uruha si era ricordato che essere amico di Aoi era piacevole, facile e che gli piaceva più di quanto non volesse ammettere.
Scendendo le scale, con la mano di Aoi poggiata fermamente sui fianchi si sentì come perso, disperato alla ricerca di una soluzione. Qualsiasi cosa fosse successa, alla fine di quei dieci giorni non avrebbe voluto perdere l’amicizia di Aoi, non avrebbe voluto che il loro rapporto diventasse strano, poco sincero o addirittura falso. Avrebbe ancora voluto parlare di partite di calcio e di amplificatori, e avrebbe voluto sentirsi rimproverare per non accettare di andare a casa di Aoi a ‘giocare’, perché sentirsi in qualche modo necessario ad una persona come Aoi lo face stare bene, lo faceva sorridere.
“Qualcosa che non va?”
“No, stavo solo pensando che…” si voltò verso Aoi che stava aprendo la porta del locale per entrambi “Che se la tua mano scende più giù del mio osso sacro ti castro”
Aoi fece una smorfia di finto dolore. “Che ingrato”
“E non aprirmi la porta che…”
“Cosa? Ti senti privato della tua mascolinità se un uomo, o meglio, se io ti apro la porta?”
Uruha sbuffò avviandosi verso il bancone. Alcool, era quello che ci voleva.
Seduto su uno sgabello, con una birra in mano, Uruha esaminò il locale ancora vuoto, sotto la luce soffusa dei faretti che scendevano dal soffitto come tante gocce di pioggia cristallizzate a dieci metri da terra.
I soffitti alti erano dipinti di un blu intenso, mentre il pavimento era fatto di vetro, enormi lastroni di vetro incrinati.
C’erano quattro divanetti sistemati ai bordi della pista su un pino rialzato, tra un divanetto e l’altro c’era una colonna su cui i clienti potevano scrivere messaggi, apprezzamenti, cose da dimenticare o cose da ricordare per sempre.
Era un locale piccolo, notò Uruha, poteva contenere al massimo un centinaio di persone.
Sorseggiò la sua birra mentre Aoi chiacchierava con il barista poco più in là.
Stavano parlando di musica, ovviamente, di qualche band occidentale, probabilmente di chitarre visto che il barista si era messo a imitare un assolo di chitarra con gli occhi chiusi, mentre con le labbra mimava le parole della canzone. Aoi, non volendo essere da meno, si mise a suonare una immaginaria batteria.
Nascose una risata dietro il boccale di birra, ma ad Aoi non sfuggì. Il moro si voltò e sorrise nella sua direzione invitandolo a unirsi al delirio di chitarra e batteria.
Si avvicinò facendo scorrere il boccale sul bancone.
“Quando saremo vecchi abbastanza da andare in pensione io e Fuka-san, qui, metteremo su una air-band, diventeremo famosi”
“Non lo metto in dubbio” rispose guardandoli divertito.
“Nee, Fuka-san, vedi non crede in me”
Fuka-san sorrise scuotendo la testa e tornando a lucidare bicchieri poco più in là.
“Quindi pensi di andare in pensione? Di smettere di essere Aoi dei Gazette?” disse con un sorriso di scherno “Credi di potercela fare? Star?”
Aoi sorrise prima di assestargli un pugno sulla spalla che Uruha tentò, inutilmente, di evitare.
Rimasero in silenzio a guardare il locale riempirsi scambiando futili chiacchiere, ridendo e bevendo birra. E forse era proprio a causa della birra che Uruha sentiva la testa leggera, e i suoi occhi non riuscivano a scollarsi dalle labbra di Aoi. Sì, doveva essere la birra.
Quando le luci si spensero Uruha si costrinse a voltarsi verso il palco.
Luci blu, luci rosse, luci bianche si rincorrevano sul palco mentre i cinque membri della band prendevano posizione. Nel buio della sala era calato il silenzio tutti gli occhi erano fissi sul palco e quando la musica iniziò a riempire il silenzio Uruha non potè fare a meno di voltarsi verso Aoi.
“Una cover band ei Luna Sea, sono grandi”
In Silence, Rosier, Moon, si perse tra le note cantando a squarciagola, simulando assoli. Non c’era tensione, c’era solo la musica.
Poi le luci si abbassarono e il cantante annunciò l’ultima canzone.
“Forver and Ever” annunciò il cantante.
Il cuore di Uruha batteva ancora per il movimento di prima, si sentiva le guancie in fiamme e l’improvviso silenzio gli faceva sentire le membra pensati. Si voltò a guardare Aoi, gli occhi gli brillavano e aveva un sorriso soddisfatto sulle labbra, mormorando parole a caso nella canzone.
Close Your eyes and continue to feel
The voice of your heart and your faint breath
Le labbra di Aoi si muovevano appena e sentì qualcosa di molto simile alla nostalgia stringergli lo stomaco. Una sensazione indefinita, e di certo partiva da lì, dalle labbra bagnate di birra di Aoi.
Lonely nights make me weak
Like a drug I want you to heal me
Stava lì, come un bacio perduto. E lui guardava quelle labbra e voleva baciarle. Voleva baciarle per cancellare quella sensazione, estirpare il male all’origine.
Shine, keep believing
Tonight let’s begin a journal from this dry place
Aoi si voltò a guardarlo, scrutando nei suoi occhi. Uruha stava per dire qualcosa, ma nessuna parola avrebbe potuto esprimere ciò che stava pensando, provando o sentendo il quel momento. Non c’era più la musica, non c’erano pi le voci del pubblico ammassato sotto il palco, non c’era più niente.
Sentì la mano di Aoi risalire lungo il suo braccio fino alla curva del collo, per poi percorrere la linea della mascella, finendo a sfiorare le sue labbra con i polpastrelli.
L’incantesimo poi si ruppe e Uruha si sentì trascinare via, Aoi teneva la sua mano stratta nella sua guidandolo tra la folla, verso l’uscita.
Camminarono per un po’, verso la macchina probabilmente, ma Uruha non riusciva a riconoscere niente. E Aoi continuava a dargli le spalle.
“Aoi” lo chiamò, ma Aoi continuò a camminare.
Iniziò ad innervosirsi, avrebbe voluto prenderlo a pugni. Non era quello che voleva? Se non fossero usciti probabilmente lo avrebbe baciato, non era questo quello a cui Aoi stava puntando?
Erano arrivati alla macchina, Aoi aveva tirato fuori le chiavi facendo scattare le serrature, stava per salire in macchina quando Uruha si decise a parlare di nuovo.
“Baciami”
Aoi si fermò, un sorriso amaro sulle labbra. “Sei ubriaco, domani non te lo ricorderesti”
“Non sono ubriaco, ti ho detto baciami”
Aoi sospirò, che cosa gli sarebbe costato un bacio? Cos’era un graffio in più?
Gli bastarono pochi passi per raggiungere Uruha, per essergli abbastanza vicino da far sfiorare le loro labbra. ‘Baciami’ aveva detto.
Aoi sorrise in quel bacio vedendo Uruha chiudere gli occhi, lo sentì rilassarsi, ma senza accennare a muoversi. Fece scorrere un braccio sui suoi fianchi attirandolo a sé.