Titolo: Spicchi di tempo narrati in atti.
Autore:
izzieanneBeta:
ruka_nanjouPrompt: “ In ballo tra maschere e coriandoli, senza decidere” {scritta per il Challenge di
italianslashers}
Rating: PG13
Conteggio Parole: Novecentodiciassette parole {917 W}
Note: Nonsense. ASSURDO. Senza logica apparente {ma c’è, sì sì}. Pre-Slash.
Dedicata ad
eowie {perché è ♥ } e a
ruka_nanjou {per la sua curiosità ♥ }
{Altre note, alla fine della storia.}
Disclaimer: I personaggi sono miei {iiieaaaaah}, quindi si prega di non toccarli. In cambio, io non vi faccio pagare nulla. *___*
*
Primo atto.
La vita mi toccò il canto del sole quando i miei occhi erano chiusi per il sonno ma, nonostante tutto, sentii la sua voce.
Mi voltai e lui era lì, nella sua perfezione un po’ pallida, con gli occhi che parevano chiamarmi. O forse questo me l’ero solo immaginato - non me ne stupirei. Del resto, sto per raccontare fatti senza tanto significato - e i suoi occhi erano normali (dello stesso colore dell’aria).
Ma l’aria era intrisa di regali. E questa non era una bugia, perché eravamo in clima natalizio e tutti quanti si ricordavano - come sempre accade - della mia esistenza in quei giorni. Sapevo perfettamente che questa era un’ipocrisia che compievano un po’ a tutti e che, forse, io stesso facevo.
Ma non ero nessuno per spezzare la tradizione.
Dicevo, comunque - e non fatemi perdere il discorso, per carità - che camminavo per la strada - o forse questo non l’ho detto… - quando mi accorsi che una persona mi stava fissando e vidi, nei suoi occhi, come una specie di richiamo.
Ma il Natale mi rendeva nervoso, per cui non presi alcuna iniziativa
e non tentai nemmeno di constatare se stava cercando di ottenere la mia attenzione.
Rimaneva comunque una situazione sbagliata: io, lui, i regali e i suoi occhi.
Niente che potesse combaciare: per questo andai avanti. Solo che il suo sguardo non mi abbandonò.
Bonus.
Ritrovavo qualsiasi cosa che m’ero perso in quegli istanti di rabbia.
Da quel momento in poi tutto, di lui, era ovunque: i suoi occhi mi spiavano dal mio specchio, il suo sguardo - che mi ricordava così tanto quel clima e che sapeva di Natale - era in tutte le persone che incontravo. Sui miei oggetti, ritrovavo impressa la sua fredda espressione.
Ero arrivato a livelli estremi: mi cresceva, dentro, la paura di estrarre le chiavi dalle mie tasche e ritrovare il suo volto.
In realtà mi trovavo molto meglio a pensare a lui, che alle persone che mi circondavano - e l’odio che provavo per loro aumentava sempre più - quindi non indagavo oltre.
Secondo atto.
Profumo di vita nuova nel silenzio buio. E non ricordo il resto: dormivo nel bel mezzo del mondo.
Arrivai al punto che anche il suo pensiero mi dava rabbia. Ovviamente, ero quel tipo di persona che si impuntava totalmente su una sola cosa per volta e che, dopo averci ragionato per giorni e giorni senza sosta, non ne poteva più e finiva per odiarne il solo pensiero (nonostante non potevo fare a meno di averlo in mente).
Questa era una specie di regola.
Ed era valsa per il Natale (troppe ore pensate ad odiare i regali), per le persone che erano ricomparse (e tutti i ragionamenti vari sulla loro cattiveria) ed ora anche per questo nuovo arrivato.
Si era trattato di un fatto banale - ma, effettivamente, anche gli altri due lo erano stati - che però aveva provocato in me un odio profondo verso quel tizio. Adesso che non potevo liberarmi più del suo sguardo, volevo trovarlo per chiedergli che cosa volesse esattamente da me.
Iniziò, quindi, la corsa a tentar di capire chi fosse - un vicino? Un tipo del mio paese? E, nel caso, che lavoro faceva? Come mai non l’avevo mai notato? - e impegnò la mia mente per così tanto tempo che non mi accorsi che i giorni passavano in fretta. E che Gennaio, oramai, era finito.
Bonus.
L’aristocratico decoro che vestiva i suoi giorni nel verde.
Dopo un bel po’ che cerchi - in lungo e in largo - una cosa, finisce che la trovi.
E andò così, perché lui lavorava nel mio paese da un po’ (anche se non abitava lì vicino) e io non l’avevo mai notato perché troppo preso dalle mille persone che ero stato dentro la mia mente.
Lo trovai dopo aver girovagato - sempre facendo finta di niente - per le varie vie del posto e, questa volta, toccò a me fissarlo.
Non riuscii ad imitare il suo sguardo - impossibile. Dannatamente impossibile - ma provai a fare del mio meglio per rendergli nota la mia presenza.
Terzo atto.
Quando nella mia profonda indecisione, aprii gli occhi per stiracchiarmi un po’.
Accortosi della mia figura, mi guardò anche lui.
Ed io guardavo lui. E lui guardava me. Ed io sorbivo ancora ciò che poteva regalarmi la sfumatura di azzurro nei suo occhi intrisi di regali.
Non serviva a nulla quel gioco di maschere e colori che avevamo intorno, non aveva niente a che fare con ciò che ci legava in quel momento.
Dimenticai ogni cosa e, quando gli parlai (perché sì, lo feci), dissi solo cose futili - senza mai accennare al fatto che era la mia fissazione: non volevo sembrargli pazzo - per arrivare piano piano al fatto che già c’eravamo incontrati, senza parlarci nemmeno.
Fu stupito nel vedermi così, dirgli di quell’evento, perché lui non se ne ricordava affatto. Nemmeno mi ferì, quest’informazione.
Servì a sgretolare soltanto una parte dei miei pensieri. Quella che, per mesi, era rimasta convinta che quel tizio idiota aveva svegliato in me qualcosa che aveva dormito per tanto (troppo) tempo.
Ma, incredibilmente, non mi arresi: ero ossessionato, avevo bisogno di andare avanti in quella storia. Gli chiesi addirittura il suo numero e probabilmente a quel punto capì che cosa avevo intenzione di dirgli…
Scrollò le spalle e se ne andò, fingendo indifferenza. Io lì rimasi, immobile.
Io lo fissai andarsene via, mentre una parte di me urlava che non dovevo assolutamente dimenticare quel momento e che, la prossima volta che il mondo sarebbe esploso, avrei dovuto implorare quel ricordo di salvarmi.
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Note finali.
Scrivere questa fic è stato tutto tranne che facile; è nata ed è stata sviluppata nell’arco di molto tempo, ma solo perché ero del tutto determinata a fare le cose come le volevo io.
Parlando un po’ dello schema: ogni atto ha duecento parole, ogni bonus ne ha cento.
In realtà è una storia unica {togliendo i titoli di ogni atto si nota} e se si prende un bonus qualsiasi per leggerlo separatamente {ma anche per saltarlo e basta} il resto della fic non ha tanto senso. Mi intrigava l’idea di fare un’unica storia come se ne fossero tante.
La trama: dato che dovevo lavorare con uno schema un po’ complicato, ho dovuto apportare delle modifiche a quella che era la trama iniziale. Il risultato è che, adesso, è molto più banale e non presenta niente di così eclatante.
Il personaggio è qualcosa di realmente sofferto nella mia storia. Perché è cresciuto {e si è delineato} mentre la scrivevo. Per questo ne è uscito così pazzo {anche se si rifiuta di ammetterlo! xD}. In realtà lui è così soffocato dal suo carattere ossessivo e si identifica nelle fissazioni stesse: lui è, nella sua mente, ciò che ama {da questo, il fatto che riveda nel suo specchio ciò che lo assilla più di tutto}.
E’ un concetto strano, me ne rendo conto, ma l’ha voluto lui. È donato di vita propria, povera me!
E sì: so che ha un carattere troppo esagerato. Ma oramai è un mio dato caratteristico: i miei personaggi sono le estremizzazioni di loro stessi.
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In precedenza, si trovava
qui.