Mar 08, 2016 14:42
Titolo: Perché il tempo a volte ci sporca
Fandom: Originale
Genere: slice of life
Warning: //
Rating: sfw
Parole: 1140
Prompt: "Molto spesso, essere severi con qualcuno è una cortesia immeritata" (Barone Cesare Icore, reggente di Septimontium)
Uno.
Due.
Tre.
«Dovresti parlarle.»
Quattro.
La voce di suo fratello gli arriva alle orecchie attutita, quasi penserebbe che stia davvero sussurrando se non lo conoscesse: perché Federico non parla, Federico urla. Sempre.
Cinque.
Sei.
L'aria brucia, nei loro polmoni, e le casse d'acqua cominciano a pesare, è un luglio torrido quello, è una giornata impossibile.
Diciotto chili d'acqua a testa, nove per braccio.
La prossima volta avrebbe lasciato la macchina più vicino. Avrebbero evitato le scale. Avrebbe fatto guidare Saverio, lui ci sa fare con i parcheggi, saprebbe lasciare la macchina ovunque, persino nell'ultimo buco sotto casa. Ma Saverio ultimamente non ha tempo, non ci ripensa mai.
Sette.
Otto.
La scale davanti sono ancora tante, troppe. È già stanco, sta perdendo lo smalto o forse solo la voglia.
«Come mi presento sotto casa sua, spiegami.»
Nove.
Sono appena all'inizio.
Dieci.
«Prova a trovare il modo di parlarle, ecco, improvvisa e non chiedere a me che non la conosco!»
Undici.
«Non sono bravo a trovare le cose. Io ho passato una vita a perderle ed eri tu che le trovavi.»
Dodici.
Tredici.
«Lei e Antonio non stanno più insieme da parecchio, ormai.»
«Non significa un cazzo.»
Quattordici.
«Perché sei così emotivamente stitico?»
Una goccia di sudore scivola lungo la tempia: dovrebbero rendere illegale compiere qualsiasi movimento, con un caldo come quello, così come dovrebbero rendere illegali le cazzate che spara suo fratello.
Trattiene a stento una risata, soffocandola malamente in uno sbuffo affaticato. Potrebbe svenire su quelle scale senza problemi trovando così un modo come un altro per sfuggire al discorso, si dice.
«E questa da dove cazzo salta fuori?!»
«Non cambiare discorso!»
Venti.
«Non credo mi parlerebbe, ripeto.»
Le casse d'acqua posate a terra, il respiro affannato di suo fratello, la sua testa che, come al solito, è piena di pensieri indesiderati. Spegnere il cervello è più difficile di spegnere la radio quando passano i Queen, certe volte.
La porta di casa di quel cretino, quello che gli ha portato via il sole e non lo sa, è aperta, solo una tendina di frangette colorate cela l'interno dell'appartamento dagli sguardi indiscreti degli avventori che decidevano di fermarsi sul pianerottolo del numero 8 della viuzza più stretta della città - cittadina, in realtà, non c’è niente della città in quel posto dimenticato da Dio e dagli uomini.
Numero 8 che dà proprio sul “Ambara Bar", luogo di ritrovo per buona parte della popolazione locale dai dieci ai novantanove anni.
Lui non ci mette piede da anni ed ha le sue ragioni.
«E poi non sto cambiando discorso. Sto solo pensando che ho un fratello scemo.»
Ventuno.
«Ed uno prete.»
Ventidue.
«Con quello non divido il sangue, però.»
Una risata e rumore di qualcosa che si sbriciola sotto le scarpe: il figlio di Rosetta deve aver mangiato ancora crackers sulle scale seminando pezzi in giro, classico, immagina già le liti alla prossima assemblea condominiale.
«Ben magra consolazione!»
Ventitré
Ventiquattro
Venticinque.
Ventitré come gli anni di suo fratello, che gli vien dietro senza morire ad ogni passo, come faceva quando era bambino e capitombolava a terra ogni tre per due.
Venticinque come i giorni che suo fratello passerà a casa prima di tornarsene in Trentino, a fare la guardia forestale tra i monti.
Anche lui è scappato.
Deve evitare di pensarci.
«È difficile ma giusto.» erano state le sue parole prima di partire ma a lui era sembrata una punizione troppo severa per qualcosa che non aveva fatto: vivere.
Ventisei.
Ventisette.
Ventotto.
Non ha concluso un accidenti in ventisei anni di vita dei quali, gli ultimi tre passati a seguire due occhi verdi che sembravano perseguitarlo dal giorno in cui li fotografò, tristi e pensierosi, in quel parco che sembrava tanto grigio, a confronto.
Si ferma sul trentesimo gradino. Ha passato il ventinovesimo senza essersene accorto, per un momento si chiede se sarà così anche la sua vita. La signora Elvira passa, sente Federico salutare con voce squillante, alza meccanicamente una mano per salutare, ma sa già che la signora non lo degnerà di uno sguardo.
È sempre così quando c'è suo fratello nei paraggi: lui sparisce.
Ma non gli importa, dopotutto ci è abituato.
Trentuno.
Probabilmente anche Bea lo penserebbe, se lo conoscesse, penserebbe che in lui non c'è assolutamente niente di speciale. Probabilmente lo pensa anche senza conoscerlo.
Trentadue.
Trentatré.
Si lascia Federico alle spalle e continua a salire. Nove chili di sensi di colpa nella destra, nove chili di rimpianti nella sinistra. Diciotto chili della sua vita tra le mani.
Trentaquattro
Trentacinque
Trentasei.
Li sale di fretta.
Trentasette.
Sente i passi di suo fratello raggiungerlo e si aggiunge, senza volerlo, un chilo di rabbia per ogni mano, la scalata comincia a farsi difficile.
Trentotto.
Trentanove.
La testa di Valerio che fa capolino dalla porta, allunga una mano per aiutarlo, con un sorriso.
Quaranta.
Ormai è arrivato.
È sempre stato così: l'aiuto arriva quando è tutto finito, come sua madre che lo porta dalla logopedista quando ormai ha già risolto da solo, per quel cazzo di problema di balbettio.
Molla le casse e scende i quaranta scalini di corsa, una sigaretta tra le labbra e il severo divieto di fumare in casa. Divieto che lo ha portato a fumare tra le mura domestiche per puro senso di vendetta per tutta l'adolescenza.
Venti chili di vita e qualche "boccata di morte", come ripete sua madre indicando con ribrezzo il pacchetto di sigarette.
Si era ripromesso di smettere ed invece aveva ricominciato prima che potesse rendersene conto.
Se sbagliare è umano e perseverare è diabolico forse aveva capito perché, Saverio, non si fosse mai davvero fidato di lui.
«Offrire consigli a te è come regalare perle ai maiali: inutile e dispendioso.» aveva constato infatti qualche mese prima perché, al diavolo la carità cristiana, non gliene fa passare liscia una.
Gli regala un po' di severità che forgia il carattere, continua a ripetere, insieme al fatto che, molto spesso, essere severi con qualcuno è una cortesia immeritata. Nel suo caso lo è per davvero ma Saverio non l'ha capito: lui che "da grande" vuole aiutare il prossimo, non è in grado di comprendere che con lui non funziona così, che è fatto per prendere cantonate perché non sa muoversi come dovrebbe, comportarsi come dovrebbe, non importa quanto forte lo bastoni lui non si raddrizza.
Perché lui certe cose non le merita: non merita la severità di sua madre o di Valerio, ché tanto han portato all'aria fritta come qualsiasi altra cosa. Perché non sa far nascere niente da quel che gli altri gli donano e la loro severità e voglia di rimetterlo in riga è l'ennesimo regalo che butta via senza aprire ─ e dire che gli sarebbe stato utile.
La prossima volta chiederà di evitare certi doni a cui neanche sa togliere la carta: non li merita, meglio un paio di calzini. Un accendino funzionante, però, quello sì che crede di meritarselo.