Titolo: Also when 'tis cold and drear
Parte: 10 di 10 (già completa)
Autore: quest'autrice incredibile risponde al nome di
garonne e io vi prego - laddove le capacità linguistiche ve lo consentano - di leggerla in originale (inglese) perché è il Bene. Seguitela, lurkatela, pedinatela, ma scoprirete fin troppo presto che non potrete più farne a meno ._.
Fandom: Sherlock Holmes, che razza di domande.
Rating: R (verso la fine)
Riassunto: Nei primi mesi della loro conoscenza Holmes e Watson si studiano l'un l'altro a distanza, osservandosi e ponendosi delle domande. Contiene lunatici poeti aristocratici, cene di Natale, un'imbarazzante quantità di nebbia e neve e altre amenità.
Note d'autore: POV alternati.
Note della traduttrice sclerata: Holmes e Watson sono due idioti con una spaventosa cotta l'uno per l'altro a cui far fronte. E tutto questo in un vittoriano impeccabile e perfetto che spero di aver reso anche solo a metà e... /o\ Oddio devo fangirlare quest'autrice, non ci posso far nulla ._.
Si tratta di una traduzione del testo originale (
10 - God rest ye merry, gentlemen) - acconsentito a farmi tradurre
qui.
Per il resto potrei darmi al fangirl più esasperato, perché non leggevo qualcosa in grado di farmi piangere amore in questo modo dai tempi dell'insuperabile e insuperata Katye (tradotta dalla altrettanto splendida
Melina cosa aspettate a correre a leggere io non lo so) piange amore puro.
Chiedo scusa per il ritardo, ma la vita universitaria mi sta rapendo di nuovo e sto avando anche una crisi sentimentale con il mio fandom. Non escludo che alla fine di questa traduzione io e il fandom potremmo prenderci una pausa di riflessione, mettiamola così. Non che io lo lasci per sempre, no. Ma per un bel po', questo sì.
.. .. .. .. .. .. .. .. ..
God rest ye merry, gentlemen
Venni risvegliato dal suono sordo di un oggetto pesante che cadeva al suolo, subito seguito da una maledizione soffocata. La stanza era interamente immersa nell'oscurità e, sporgendomi, trovai il lato del letto al mio fianco essere completamente vuoto.
«Watson?» dissi piano.
«Maledizione». Dal tono della sua voce, giudicai risolutamente dovesse essere qualche piede più in là. «Sono terribilmente desolato di averti svegliato, Holmes. Mi ero alzato per cercare qualcosa da mettere addosso, ma a quanto pare ho sbattuto contro qualcosa».
«Perché diavolo non hai acceso una candela?»
«Temevo di svegliarti».
Realizzammo al contempo l'assurdità dell'asserzione e scoppiammo a ridere.
«Aspetta un momento,» dissi, cercando alla cieca un fiammifero nel comodino accanto.
Una volta che la candela fu accesa, i suoi timidi e gialli cerchi di luce illuminarono un Watson all'impiedi in fronte alla sua valigia da viaggio, nudo come quando avevamo infine preso sonno.
Tutto d'un tratto, stavo involontariamente trattenendo il fiato. Si trattava della prima volta in cui avevo l'opportunità di osservarlo in questa maniera, dal momento che la notte precedente era stata una decisamente troppo impaziente per potersi concedere il lusso di prendere più di un istante per fermarsi ed osservare. Non stava fieramente dritto in piedi, come era sua abitudine, piuttosto era ricurvo, con le spalle leggermente piegate. Sapevo stesse rievocando alla memoria il fisico del giocatore di rugby che una volta doveva aver posseduto.
«Sei splendido,» dissi piano.
«Morirò fin troppo presto di polmonite,» rispose, ma potei osservare come la sua postura fosse molto più dritta di prima.
Si voltò per cercare nuovamente una camicia da notte nella pila di vestiti che svettavano dal suo baule.
«In nome del Cielo, Watson, lascia perdere la camicia! Vieni qui».
Ne prese una comunque, e si stese al mio fianco nel letto, sebbene successive azioni da parte mia fecero sì che dimenticasse in fretta qualunque idea di indossarla gli fosse mai venuta in mente.
.. .. ..
Il giorno seguente, mi svegliai per trovarmi nuovamente solo. Nel bel mezzo del gelo, mi lavai e vestii il più in fretta che mi fu possibile, dopo aver rotto la leggera patina di ghiaccio che si era già formata nell'acqua dopo le abluzioni di Watson. Giudicai da ciò che doveva essere accaduto almeno mzzora prima, la qual cosa mi venne confermata al momento in cui discesi in soggiorno, dal momento che Watson aveva già trovato il tempo di accendere il fuoco e preparare tè e pane tostato.
«Buongiorno, amico mio!» esclamò, facendo la sua apparizione dalla porta di ingresso con marmellata e burro. «Sai, mi è appena capitato il più orribile degli incidenti».
Gelai. «Che cosa?»
«Ebbene, a meno che io non mi sbagli di grosso, oggi è la vigilia di Natale. E date le circostanze, giudico molto improbabile che io abbia l'opportunità di comprare qualcosa da regalarti prima di domani mattina».
«Questa è... un'inaspettata fortuna,» risposi, il mio momentaneo attacco di panico scemato.
Prese posto a tavola, ridacchiando. «Sono sollevato nell'apprendere che ti trovi nella stessa mia situazione».
Presi a mia volta posto di fronte a lui, e lo osservai mentre spalmava la marmellata nel suo pane, che era impressionantemente dorato, e bruciato soltanto in qualche punto. Era una sensazione incredibile la consapevolezza di potere sporgermi e toccare quelle mani forti e scure, e che quelle avrebbero risposto al mio tocco, piuttosto che irriggidirsi o scattare via.
Watson sogghignò nella mia direzione al momento di passarmi la paletta per il burro. «Sai, temo che quando sei entrato nella stanza io sia stato alquanto sopraffatto dal desiderio di baciarti. Non sembra la cosa più appropriata da fare a colazione, però».
Non potei fare a meno di restituirgli il sorriso. «Non ti trattenere domani mattina, Watson, te ne prego».
Venni improvvisamente investito dalla rivelazione che da quel momento in poi avrei potuto baciare Watson tutte le volte che lo avrei desiderato, circostanze permettendo - e supponendo che Watson avrebbe continuato eroicamente a fronteggiare le mie più fastidiose qualità di compagno. Per qualche miracolo, lo aveva già fatto per quasi un anno. Rimescolai il mio tè, fantasticando ad occhi aperti.
Non ero mai stato in grado di sopportare la felicità troppo a lungo; la mia mente non si è mai consentita di dimenticare che ogni rosa ha le sue spine, e che nulla è mai durato per sempre. Al momento, nonostante la mia euforia tutte le volte che Watson incontrava il mio sguardo e mi sorrideva, c'era una parte del mio cervello che non smetteva di ricordarmi che non si trattava che di un altro mondo nei Costwolds. La nostra sfida - e la mia in particolare - sarebbe arrivata al nostro ritorno a Londra.
E con ciò, ero ancora certo che a dare inizio a questa cosa stupenda e terrificante non c'era stato errore. Come sarebbe potuto essere altrimenti, quando il mio cuore mi diceva il contrario tutte le volte che la vista di Watson mi si presentava davanti. In più, dubitavo del fatto che entrambi avremmo potuto sopportare oltre quella tortura senza scoppiare, in un irrevocabile modo o nell'altro. A conti fatti una parte di me si crogiolava all'idea di piazzarsi a Baker Street per tutte le lunghe serate invernali che sarebbero arrivate. Avrei semplicemente desiderato sapere se sarei mai stato in grado di liberarmi dalla sensazione di essere costantemente sull'orlo di una scoperta.
La voce di Watson interruppe i miei pensieri. «Holmes, hai un aspetto spietato». Stava chiaramente cercando di sopprimere una nota d'ansia nella sua voce, e non ci stava riuscendo.
Ritornai improvvisamente in me. «Stavo pensando a delle sciocchezze, amico mio, niente di più». Incontrai il suo sguardo, e potei vedere i suoi occhi azzurri angustiati di preoccupazione; mi maledissi per l'idiota che ero. «Stavo confondendo il mio caro Watson con qualche idiota, imprudente che ho conosciuto in passato».
Watson doveva evidentemente aver pensato a qualcosa del genere, ché intuì i miei pensieri tra le mie parole e sospirò. «In qualche modo mi piacerebbe poter rimanere qui per sempre, isolato dal mondo».
Allungai una mano e afferrai la sua. «Non è necessario, te lo giuro. Ti ho detto che ho la massima fiducia in te, e oso dare per scontato che tu l'abbia in me. È tutto quello di cui abbiamo bisogno».
Mi strinse la mano, prima di afferrare il ferro per tostare e alzarsi all'impiedi. «Un altro pezzo di pane tostato, Holmes?»
Prima di dirigersi al fuoco, decise di sorprendermi piazzandomi un bacio sul capo.
Mangiammo in un confortevole silenzio per qualche istante. L'unica cosa di cui sentii la mancanza furono i giornali del mattino. Una copia ingiallita della gazzetta locale catturò la mia attenzione per qualche istante, ma dopo essermi imbattuto in un dettagliato resoconto del festival della vendemmia dell'anno precedente, lo gettai via con un moto di disgusto. Watson stava sfogliando una guida illustrata al pesce fresco della Gran Bretagna, uno che aveva trovato nella mensola della sua stanza, tristemente dominato da pubblicazioni di natura sportiva. Mi alzai in piedi e andai alla volta di qualche documento nel mio baule, che stava nell'angolo della stanza.
«La pentola bolle ancora,» disse Watson. «Un'altra tazza?»
«Te ne sono grato,» risposi, cominciando a pensare di aver portato troppe carte, dal momento che tra tutte non riuscivo a trovare proprio quella che chercavo. «Hai davvero una mano magica nel preparare il tè, sai, Watson. Non l'avrei mai detto».
«Viene dai miei giorni nell'esercito. Il mio attendente faceva piuttosto pena in proposito».
«Avresti dovuto elencarlo nella lista delle tue virtù, la prima volta che ci siamo incontrati. Sebbene, a ben pensarci, credo che ci siamo scambiati solamente la lista dei nostri difetti». Mi voltai dalla cesta dei miei libri, aggiungendo distrattamente, «Sai, è una cosa dannatamente buona che io non mi sia preso una cotta per te il primo momento che ti ho visto. Se lo avessi fatto, di certo non mi sarei mai concesso di trasferirmi insieme a te».
Sentii Watson dire pianissimo: «Certamente, è una cosa piuttosto comprensibile date le condizioni in cui mi trovavo».
Mi voltai di scatto. «Watson! Non volevo assolutamente dire...»
Rise. «Non pensare a niente del genere». Al mio orecchio affinato, ad ogni modo, la sua risata sembrava decisamente troppo forzata.
Avevo notato molto in fretta l'insicurezza di Watson quando si andava a toccare il suo aspetto fisico, sebbene non mi fossi mai sentito nella posizione di essere autorizzato a fare commenti in merito. Persino adesso, non ero del tutto certo di come affrontare l'argomento. Tornai lentamente alla tavola, attraversando tutta la stanza - i documenti in mano - determinato a cogliere ogni possibile opportunità di dimostrargli con parole e fatti cosa pensavo precisamente delle suoi numerosi e vari attributi fisici.
.. .. ..
Passammo il pomeriggio passeggiando per le colline alberate attorno al villaggio. Le strade erano impraticabili per via della neve, il sentiero non presentava la minima impronta del passagio umano, e scarsamente animale persino, lasciandomi privo della minima traccia da seguire. Quel giorno, ad ogni modo, trovai che Watson e i suoi baci fossero adeguatamente sufficienti a intrattenere il mio interesse.
Facemmo ritorno per trovare l'appartamento immerso nell'odore di anatra arrostita e il suono di piatti e panni rimestati.
«Non ci sarò domani,» chiocciò la signora Stroud dalla cucina. «Quindi ho pensato di farvi una cena come si deve per oggi, e potete mangiare quello che resta domani. Spero che vi vada bene, signori?»
«Sicuramente, signora Stroud,» rispose Watson, come quella ci cacciò in soggiorno, dove la tavola era già apparecchiata. «Non ci sogneremmo mai di tenerla lontano dalla sua famiglia il giorno di Natale».
Ci sorrise amabilmente mentre ci serviva patate arrostite e pastinaca nei piatti. «E come se la passa il giovane padrone?»
Non riuscii a non essere sorpreso per qualche istante, dal momento che, nella mia mente, Faulkner era strettamente associato a omicidio, e crimini contro natura, e sebbene la mia reazione fosse ridicola, ebbi un attimo di sgomento a immaginare la signora Stroud legata all'individuo.
Watson disse con calma: «Alquanto sopraffatto dallo sfinimento, mi pare, ma sono certo che lo spirito natalizio non potrà che fargli bene».
«Oh, povera me! Ebbene, spero davvero che ci venga a trovare a Gloucestershire molto presto». La donna annegò il mio piatto in una scoraggiante cascata di sugo. «E come sta il suo amico, il signor Wright?»
A questa uscita, quasi balzai sulla sedia, ma la signora Stroud stava innondando di sugo il piatto di Watson e seguitava come se nulla di strano fosse stato detto.
Watson mi gettò uno sguardo incuriosito, prima di sorridere alla signora Stroud. «Molto bene, a giudicare dall'ultima volta che l'ho visto».
Invidiavo quella tranquillità. Richiamando alla memoria la mia decisione di non mettere a repentaglio la nostra felicità con le mie preoccupazioni inutili, mi costrinsi a rilassarmi. Mi dissi di vedere la cosa come un'occasione per fare pratica delle numerose situazioni simili che ci saremmo certamente trovati a fronteggiare in futuro.
«Buon pasto, signori,» si congedò la signora Stroud, poggiando un coltello da taglio accanto all'anatra prima di sparire dentro la cucina.
Fissamo entrambi il coltello, e quindi ci fissammo a nostra volta. Potevo vedere come Watson stesse cercando di trattenere una risata.*
«Ebbene?» disse.
Il mio sguardo andò da lui al coltello e poi a lui di nuovo, e anch'io dovetti trattenermi dal ridere. Fu una cosa davvero delle più peculiari. Prima della notte precedente, nessuno di noi due avrebbe speso un solo secondo a porsi la questione di chi di noi due dovesse prendere il controllo, il tradizionale ruolo maschile. Adesso la cosa appariva intrisa di significato.
Mi morsi un labbro. «Che te ne pare di fare a turni?»
Watson afferrò il coltello, ghignando. «Ottima idea, Holmes».
.. .. ..
L'inizio di una nuova nevicata di fresco ci costrinse a rimandare la nostra passeggiata serale. Ero lì per lì per arricciarmi nella mia poltrona con una storia di alchimia nei Balcani quando un'idea improvvisa mi portò a preferire il divano. Con mia delizia, Watson raccolse il gesto e mi raggiunse. Dapprima sedemmo con un certo sussiego, l'uno accanto all'altro. Quindi improvvisamente Watson si mosse, e mi ritrovai con la sua testa nel mio grembo, e il suo libro poggiato sul mio ginocchio. Non potevo essere più contento di prendermi la libertà di trattenere la mano nei suoi capelli biondi e spessi. L'altra mia mano reggeva il libro aperto sul bracciolo del divano, ma non andai molto avanti con la lettura quel pomeriggio, dal momento che ero assorto nei miei pensieri.
Si trattava della prima volta che stavo seduto in questa maniera con qualcuno, semplicemente godendo del contatto, senza che vi fosse un doppio fine di seduzione, controllo o sfruttamento. Giunsi alla conclusione che valesse ogni dose di ansia o paranoia.
Quando alla fine il tempo migliorò decidemmo di fare la fatidica passeggiata, in barba all'ora tarda. Si era già fatto buio, ma alla luce della luna piena potevamo vedere chiaramente. La neve ci scricchiolava sotto i piedi mentre riprendevamo il percorso intrapreso il giorno precedente. Quando arrivammo, il cuore del villaggio giaceva pacifico e silenzioso alla luce della luna, salvo che per la musica e i canti che attraversavano il parco dalla chiesa.
«I canti di Natale!» esclamò Watson, e si affrettò trscinandomi attraverso il parco verso la chiesetta in pietra che avevamo oltrepassato il giorno della nostra prima passeggiata. Ero in qualche modo meno entusiasta di lui alla prospettiva di assistere al massacro di apprezzabile musica corale da una banda di organisti dilettanti e scolaretti del paese, ma lo seguii senza protestare e ci piazzammo sul retro della chiesa.
All'interno era caldo e scuro, con candele piazzate largamente lasciando buona parte degli abitanti del villaggio tirati a lucido per la domenica immersi nell'ombra per metà. Nel punto più vicino alla luce di una candela, due bambini un po' più grandi si agitavano, sovraeccitati, nel mentre che i loro parenti più piccoli sonnecchiavano sulle panche di legno.
Rimanemmo sul retro della chiesa, fuori dalla folla, come i canti proseguivano. Scoprii che Watson aveva un basso meraviglioso. Non avevo la più pallida idea che possedesse qualsivoglia abilità in quella direzione, ma a conti fatti dimostrò di possedere una voce carica di passione e profondità. Scordai presto qualunque sentimento avessi provato nei confronti della prospettiva di quella musica, come mi persi nella sua voce, e nelle parole tanto familiari. Al buio potevo vedere soltanto il suo beneamato profilo, deciso e forte, il suo corpo in qualche modo - forse inconsciamente - tendente nella mia direzione. Riflettei su quanto fossi incredibilmente fortunato, e quanto incredibilmente idiota fossi stato ad aspettare così a lungo.
L'ultima lettura e l'ultimo canto giunsero alla loro conclusione, e potei sentire la mano di Watson scivolare nella mia all'ombra.
«Dio ti benedica, Holmes,» disse piano.
Nel buio gli strinsi la mano. «E benedica te, amore mio».
La folla che aveva riempito la chiesa insieme a noi si dileguò rapidamente come tornammo indietro alla volta dell'abitazione, e al momento in cui raggiungemmo la strada, eravamo già nuovamente soli.
Il sentiero coperto di neve fino alla porta sembrava argentato alla luce della luna, e soltanto le nostre impronte lo marcavano, le une accanto alle altre come sempre. Trascinai Watson su di me per un ultimo bacio sotto la neve prima che ci concedessimo del tepore, un letto e noi stesso l'uno all'altro.
.. .. .. .. .. .. .. .. .. ..
Fin
.. .. .. .. .. .. .. .. .. ..
Per favore fatemi sapere cosa ne pensate.
(
1) (
2) (
3) (
4) (
5) (
6) (
7) (
8) (
9) (
10)
NdT:
Fissamo entrambi il coltello, e quindi ci fissammo a nostra volta. Potevo vedere come Watson stesse cercando di trattenere una risata*: La tradizione vuole che sia l'uomo a tagliare la prima fetta, di qui tutto il siparietto comico su chi debba dare il primo taglio. Ci potevate arrivare anche da soli, il che fa di questa nota una nota potenzialmente inutile, ma non si sa mai.
Ebbene sono giunta alla fine di questa traduzione.
Non nego che ho avuto ogni fretta di finirla dal momento che circostanze personali fanno sì che io abbia sempre meno tempo da dedicare a queste cose (che però sono la mia più grande passione, per cui si piange con un occhio). Domani senza andare troppo lontano ho un esame - Filosofia del Linguaggio, mi viene di morire - e se non sono a studiare (anche se ci sarò nel momento in cui premerò il click di pubblica) è perché volevo completare tutto quello che avessi in corso prima di sparire softly and suddendly.
Da questo momento in poi, diciamo per un paio di mesi sicuramente, mi dedicherò pressoché esclusivamente al mio blog (
spam) e alla conquista delle arti grafiche.
Avendo il permesso dell'autrice conto di fare altre traduzioni dei suoi lavori, ma non a breve per i motivi che ho sopra espresso.
Invece sto meditando di chiedere il permesso per trarne dei fumetti, ma non so se la cosa andrà in porto o resterà confinata nei meandri della mia fantasia.
D'accordo, pubblico questo, l'ultimo capitolo di Una Faccenda Personale, e il mio arrivederci è decisamente siglato. Adesso che mi trovo a doverlo fare, non voglio e tergiverso.
Basta, un taglio netto:
A prestissimo
Minnow