[The hobbit] Scent of varnish - 2

Mar 08, 2013 16:24

Titolo:  Scent of varnish - 2
Fandom:  The Hobbit - An Unexpected Journey
Personaggi:  Bilbo Baggins, Thorin Oakenshield, vari ed eventuali
Rating:  PG13 (capitolo)
Avvertimenti:  modern!AU
Conteggio parole:  4324
Riassunto:  Si chiede quanto tempo passerà prima che gli chieda il primo caffè della giornata. Guardando l’orologio, probabilmente cinque minuti. Eppure, le sue aspettative sfumano quando Thorin alza lo sguardo appena un minuto dopo il suo pensiero, e forse per la prima volta da quando ha firmato la sua condanna lo guarda dritto negli occhi.
“Baggins.”
“Sì, signor Oakenshield.”
Caffè. Dai, dillo. Lo so che lo stai per dire.
Note: Ormai non so più cosa dire. Qualunque cosa dica voi mi dite che sbaglio. Quindi ciapatevi il capitolo e divertitevi. Dal prossimo giuro che diventa più interessante. Davvero. Ci sarà sangue. Tanto.
No, non è vero, ma mi piace prendervi in giro.

Lunedì arriva, inesorabile.
Bilbo inveisce contro la sveglia con una frustrazione che non gli è mai appartenuta prima di quel momento, prendendo l’oggetto e cercando di soffocarlo sotto il cuscino ed immaginandosi che in verità stia premendo contro la faccia di mister Sguardotruce, tanto per riuscire a trovare un po’ di pace interiore prima di catapultarsi a lavoro.
Peccato che non serva. La sveglia continua a strillare fastidiosa, il rumore appena ovattato dal cuscino, e quando Bilbo si decide a toglierla fuori dal cuscino le sue orecchie piangono finché non la spegne dopo vari tentativi, accecato e intontito dal sonno.
Non è più sabato, la sveglia non segna le dieci e venti, no; segna le sei e quarantacinque e incide un nuovo dolore sul petto. Potrebbe chiamare in segreteria e darsi per malato, tanto la sua presenza non è poi così influente per il funzionamento dell’azienda - ci sono tante persone che potrebbero portare il caffè a Thorin, sono così tanti che potrebbero persino organizzare dei gruppi, così Bilbo potrebbe restare a casa e tutti sarebbero felici, soprattutto il presidente. Magari potrebbe riuscire anche a far contare un tirocinio inesistente come valido e completare il suo percorso formativo in pace con il mondo e sicuramente con se stesso.
Purtroppo la vita ha per Bilbo altri progetti. Se tutto andasse come volesse, a quest’ora sarebbe lontano anni luce da Auckland, lontano dall’Oceania, lontano dai Natali caldi e innaturali per buttarsi nell’altro emisfero, magari nella cara vecchia Europa, giusto per mettere le distanze tra l’incubo della sua vita e la libertà. Invece, adesso è costretto a sgusciare fuori dalle coperte con un brivido a scuotergli la schiena e la voglia di lavorare sotto i piedi nudi. Quando barcollando arriva in cucina, sbatte la tazza piena di latte nel microonde e poi va al bagno a svuotare la vescica, cercando di concentrarsi su qualcosa di migliore del rumore che sente e dei pensieri che inevitabilmente vorrebbe riversare sul water assieme alla sua urina. Pensa ai sogni che ha fatto, ma scappano via come sabbia dalle mani, e nel momento in cui finisce al bagno la sua voglia di concentrarsi si esaurisce del tutto, lasciandolo con un vago senso di fastidio nel petto. Il microonde suona, e il latte è troppo caldo perché non lo ha preso dal frigo, quello nel frigo è finito, questo viene dalla dispensa e adesso sarà tanto riuscire a berlo senza arrivare in ritardo a lavoro.
Il mondo è contro di lui.
Si sfrega gli occhi, sospirando rassegnato. Okay. Deve darsi assolutamente una calmata, se non vuole vedere i suoi nervi saltare durante la giornata - e succederà, ne è quasi certo, perché come può non morire di nervoso stando chiuso in una stanza di dodici metri quadri in compagnia di una persona che dovrebbe aiutarlo ad imparare un mestiere e invece non fa che stare in silenzio se non per ordinargli di fare il cameriere? Al diavolo lui e il tirocinio.
Si siede a tavola, affogando i cereali nella tazza mentre la sua testa ciondola su una mano. Forse il latte sarà comunque meglio dei toast che si è fatto di fretta in questi giorni. Forse il latte lo addolcirà.
Forse, in questi anni è diventato intollerante al latte e morirà di diarrea a lavoro.
Bilbo grugnisce frustrato - ancora - scuotendo la testa e dandosi dell’idiota. Di certo non vuole morire. Può accontentarsi anche di un ricovero di qualche settimana - si può essere ricoverati per disidratazione istantanea, sì? Chissà, magari il cuore di Thorin si addolcirebbe, diventerebbe un presidente bravo, gentile, disponibile, affabile, e una sfilza di altri aggettivi positivi che no, al momento non gli appartengono per niente. È tutta utopia, in ogni caso.
È utopia anche che riesca a bere il suo fottuto latte senza scottarsi la lingua. Molla la tazza a metà sul tavolo, deciso a non combattere più. La cosa migliore da fare adesso è entrare in bagno, darsi una lavata e correre a lavoro - sì, correre, letteralmente, perché dopo una settimana di taxi e nessun autobus che passi lì in zona, e ancora più importante senza avere una macchina da guidare, la soluzione più economica è andarci a piedi, a lavoro. Per fortuna non ci vogliono più di venti minuti, perché il traffico è quello che è, sul marciapiede, e può sentirsi altamente trasgressivo mentre percorre un senso unico al contrario - cosa che il taxi, per sua immensa gioia, visto che allunga la strada di svariati chilometri per aggirare il problema, non può fare.
Esce di casa con addosso la fantomatica maglia di Hawkeye, e al diavolo le battute sarcastiche di Dwalin sul suo vestire - lui si veste benissimo, è la gente a non capire nulla. Imbocca la via lasciandosi accarezzare dal vento fresco di un’alba che fatica a sorgere, con le mani in tasca e la testa bassa sul marciapiede grigio come il suo umore.
*
Thorin è già seduto alla sua scrivania, quando Bilbo entra nel suo ufficio. Si schiarisce la voce per annunciare la sua presenza ma, come al solito, l’altro non sembra avere intenzione di dare rilevanza alla sua presenza. “Buongiorno.” esclama, forzandosi di sorridere nonostante sappia che Thorin non ne vedrà nemmeno l’ombra, e poi va al suo posto, sospirando.
Si chiede quanto tempo passerà prima che gli chieda il primo caffè della giornata. Guardando l’orologio, probabilmente cinque minuti. Eppure, le sue aspettative sfumano quando Thorin alza lo sguardo appena un minuto dopo il suo pensiero, e forse per la prima volta da quando ha firmato la sua condanna lo guarda dritto negli occhi.
“Baggins.”
“Sì, signor Oakenshield.”
Caffè. Dai, dillo. Lo so che lo stai per dire.
“Bombur mi ha mandato questo preventivo da una delle aziende fornitrici. Dagli un’occhiata e poi manda la conferma via fax. Il numero è segnato in fondo alla pagina.” dice con voce atona, prendendo il foglio in questione in mano e allungandolo perché Bilbo si alzi e vada a prenderselo.
Bilbo è senza parole. Sul serio. Forse è la prima volta che dice qualcosa di più del suo cognome o della solita parola magica. Si alza con gli occhi sgranati, strizza le palpebre un paio di volte per cercare di capire se è sveglio o se sta ancora sognando e prende il foglio senza smettere di fissare Thorin, che intanto è tornato a dedicarsi alle sue faccende. Esce dalla stanza con una sensazione strana addosso, una senso di incredulità che si porterà dietro per tutta la giornata, ne è sicuro. Si appoggia alla porta e guarda il foglio diverse volte, senza vedere nulla di sbagliato, senza vedere nulla e basta, scuotendo poi la testa perché non può certo sconvolgersi ogni volta che Thorin Sguardotruce deciderà di guardarlo negli occhi e rivolgergli la parola.
Come se fosse poi qualcosa degno di rilevanza. Sospira, dandosi una spinta e imboccando il corridoio, scendendo le scale due gradini alla volta col rischio di cadere e farsi davvero male.
Magari risalendo potrebbe portargli un caffè.
*
Sperare di essere ringraziato era, ovviamente, sperare troppo. Thorin ha guardato il suo caffè inaspettato con un sopracciglio alzato, e lo ha lasciato lì per una decina di minuti scarsa, senza dire niente al suo tirocinante. Bilbo si è rassegnato a restare seduto per un’ora buona a ripassare gli appunti di gestione aziendale, così, giusto per tenere la sua mente allenata, finché Bofur non è passato a rapirlo per una chiacchierata in sala relax.
“Non migliora?”
“No,” sospira, quando la porta si chiude alle loro spalle e lui può appoggiarvisi sopra. “ma almeno oggi mi ha chiesto di faxare qualcosa, suppongo sia un gran passo avanti?” continua, e la sua voce prende l’inclinazione di una domanda, più che di un’affermazione. Bofur scuote la testa, tirando fuori dalla tasca un sacchetto di biscotti glassati e porgendolo a Bilbo.
“Forse. Magari si sta abituando.”
È il magari, il problema. È l’incertezza costante che gli accarezza sempre i pensieri con mano pesante che lo fa vivere con l’ansia.
Bilbo apre il sacchetto e prende un biscotto con due dita, portandoselo alla bocca mentre chiude gli occhi e si chiede se non abbia fatto qualcosa di sbagliato, durante la sua prima settimana di lavoro. Non è abituato ad avere attorno persone che non sopportino la sua presenza - bene o male, è sempre risultato simpatico a tutti, e se ci fosse anche stato qualcuno che non lo sopportava beh, di certo non sono andati a dirlo a lui. Thorin è un enigma, la causa di un mal di testa sottile che gli tiene compagnia ormai da sette giorni.
Un cubetto di ghiaccio sarebbe meno freddo.
“Certo. Forse per la fine del tirocinio mi chiederà addirittura di mettere una firma per continuare a lavorare qua dicendomi che non ha mai avuto tirocinante migliore attorno. Magari mi offre pure una cena.”
In fondo alla stanza, sdraiati sul tavolo, Kili e Fili sbuffano divertiti, voltando la testa verso i due. “Non sognerai troppo in grande?”
“Lo zio non ha mai offerto una cena nemmeno a noi.”
“E non fatico a capire perché.”risponde Bofur, avvicinandosi a loro. Affonda le dita di entrambe le mani in quel punto delicato tra collo e spalla, facendo rizzare i due fratelli a sedere per il dolore. “Ultimamente poltrite troppo.”
“Come se fosse colpa nostra!”
“Prendiamo quello che c’è, mica possiamo inventarcelo, il lavoro.”
Bilbo mette un altro biscotto in bocca e decide di ignorare i loro discorsi, troppo impegnato a preoccuparsi di Thorin per poter pensare anche alla crisi del mercato. Sente la glassa sciogliersi sulla lingua, mentre poggia il pacchetto accanto alla macchina del caffè e ne prepara due - immagina che anche Bofur avrà bisogno di ricaricare le batterie, ogni tanto.
Mentre manda giù il dolce, si chiede se ci sia qualche modo per ingraziarsi il presidente e rendere la sua presenza in azienda un po’ più piacevole.
La risposta è un leggero ronzio nelle orecchie e il rumore della macchina del caffè che si spegne.
*
Quando Bilbo arriva in ufficio, di solito Thorin è già chino sul computer, intento a leggere qualche documento, o tiene una penna in mano e traccia sui fogli segni di cui lui non ne conoscerà mai la natura.
Non gli è mai capitato di entrare e non trovare nessuno se non la sua giacca appena all’appendiabiti e, non ha bene idea del perché, la cosa gli provoca una sorta di confusione, ammortizzata semplicemente dal fatto che non dovrà avere a che fare con quello sguardo inquietante fin dal suo primo minuto in ufficio.
Ridicolmente, si sente solo.
Fa un giro dell’ufficio, controllando che non ci sia un post-it da qualche parte con su scritta qualche direttiva - anche se è difficile, quando il suo unico scopo è assicurarsi che il proprio superiore vada quotidianamente in overdose da caffeina - e appurato che non ci sa niente per lui si lascia scivolare sulla sedia alla scrivania, braccia dietro la testa e un sospiro disperato sulle labbra. Non sa cosa fare, se stare lì in attesa che Thorin torni o se fare un giro per cercarlo; sa che è in azienda, la sua giacca abbandonata non può certo essere arrivata qua da sola, ma non ha idea di dove cercarlo.
Dopo qualche momento di riflessione, decide che in fondo può godersi i suoi dieci minuti di tranquillità. Stira le braccia sulla sua testa, sbadigliando sonoramente. Per quanto gli riguarda, potrebbe anche addormentarsi sulla scrivania e star così fino a sera. Ed è quello che prova fare, in ogni caso, solo che non dura troppo.
C’è un leggero odore di vernice che aleggia nell’aria, ma non fa nemmeno in tempo a chiedersi da dove provenga che la porta si apre e Thorin entra, con le maniche della camicia rimboccate mentre si gratta le mani.
“Buon…”
Thorin nemmeno lo guarda, passando davanti a lui senza salutarlo ed entrando nel bagno dell’ufficio.
“… giorno.”
Okay.
No, davvero. Okay.
Okay un cazzo.
Non aspetta nemmeno che esca dal bagno. Si alza di scatto dalla sedia, facendola deliberatamente strisciare contro il pavimento, ed esce dalla stanza facendo sbattere la porta. Percorre le scale coi pugni stretti e i denti serrati, gli occhi stretti per la rabbia mentre arriva al piano terra e quasi molla un calcio al distributore, e grazie a Dio non c’è nessuno a vedere questa meravigliosa dimostrazione pratica di perdita della dignità. Infila la chiavetta dopo vari tentativi andati a vuoto, digita il codice per il caffè più nero che possa avere e si schiaffa le mani sulla faccia, respirando a piccoli sbuffi e pregando ogni santo che gli viene in mente di liberarlo dalla condanna in cui lui stesso s’è cacciato.
Prende il bicchiere di plastica tra le dita e nemmeno si rende conto di quanto è bollente. Non ha intenzione di farsi vedere se non richiamato. Tanto non serve a niente. Il suo caffè? Eccolo, sbattuto sulla scrivania sotto lo sguardo stranito del suo presidente, che in ogni caso non apre bocca, e questo a Bilbo fa davvero, davvero saltare i nervi.
“Il suo caffè, signor presidente.” sibila a denti stretti, e nemmeno aspetta una risposta, perché tanto che diavolo di risposta dovrebbe dargli?
*

“Tu. Tu sei pazzo.” Kili non riesce a chiudere la bocca. Bilbo lo sta osservando, non chiude le palpebre da quasi un minuto. “Tu. Tu sei davvero pazzo.”
“No, è diverso, sono stufo.” Bilbo va avanti e indietro per lo studio senza smettere di agitare le braccia - se potesse, stringerebbe le mani attorno al collo del primo malcapitato e davvero, nessuno vorrebbe trovarsi nella situazione. “Nemmeno ci avessi sputato, dentro quel cazzo di caffè.”
Non ha idea di cosa sia successo. Forse è colpa di sua madre. Sì, probabile. Colpa sua e del suo ripetergli costantemente che ”No, Bilbo, se qualcuno ti fa un torto tu non devi essere scortese. Ricordati sempre l’educazione, anche con il più cafone degli uomini.” Fanculo l’educazione - cinque minuti di improperi se li può permettere anche lui, una volta tanto.
“Bilbo, lo sappiamo che è difficile stare nella stessa stanza con lo zio…”
“… ma non c’è molto da fare, purtroppo. Abbi pazienza-“
“Pazienza.” Bilbo si ferma e guarda i due come se avessero appena, che ne sa, riso della sua maglietta preferita. Alza un sopracciglio, palesemente stanco, e lascia cadere le braccia lungo i fianchi. “Come posso portare pazienza? Non porto pazienza verso una persona che nemmeno saluta al mattino!”
Si passa una mano sulla bocca e sospira. “È colpa di tutto quel caffè. Mi fa diventare isterico.” sbotta infine, dopo una pausa che gli sembra infinita.
“Pensavo che il caffè fosse per Thorin.” esclama Fili, perplesso.
“Infatti.”
*
C’è il sole, alto nel cielo, che brilla cosi tanto da fargli male agli occhi. È in mezzo a un prato che gli pare infinito, il vento che accarezza i fili d’erba e ne porta l’odore fino alle sue narici. Ha un odore insolito, innaturale.
L’odore di vernice sosta sulla punta della sua lingua. Chiude gli occhi, aprendo e chiudendo la bocca un paio di volte, tentando di capire perché. Non ha mangiato, se ne ricorderebbe.
Sicuramente, in ogni caso, non ha mangiato nulla con quel sapore.
Respira più a fondo, mentre si lascia cadere a terra. L’erba è morbida come un materasso, quasi rimbalza sul tappeto verde senza farsi male. Se piega un po’ indietro la testa, può vedere il laboratorio di restauro che brilla sotto la luce del sole. Sorride, gli piace quel posto. Appena fuori dall’ingresso, lui e sua madre sono seduti a terra e colorano, Bilbo imbronciato che agita il pennarello come se servisse a farlo funzionare di nuovo.
Ora che ci pensa, i suoi pennarelli non hanno assolutamente lo stesso odore.
Chiude gli occhi, un altro respiro. Quando li riapre, Bilbo non c’è più, Belladonna non c’è più. L’odore di vernice sembra attenuarsi quasi di colpo, sopraffatto da un altro diverso, meno insolito, che gli stringe lo stomaco. Non respira più.
C’è Thorin, all’ingresso del fabbricato. Ha le maniche rimboccate, la fronte sudata. Lo guarda, e lui ricomincia a respirare, come se i suoi occhi gli avessero dato il permesso, come se la sua vita dipendesse soltanto dall’attenzione che gli rivolge.
“Tu non mi guardi mai.” e la sua voce è cristallina, ma lui è certo di non aver aperto bocca. “Non mi ascolti mai, non mi parli mai. Solo il tuo stupido caffè e la tua stupida rabbia.”
Ecco, l’odore. Lo sente più forte, ora che ha capito di cosa si tratta. Thorin si avvicina così piano da risultare snervante - perché lo tormenta in questo modo? È una persona normale lui, un Baggins che non vuole avere problemi con nessuno, men che meno con un suo superiore. Insomma, ha sempre vissuto una vita relativamente tranquilla, fino a questo momento, perché le cose dovrebbero cambiare proprio adesso?
Non ne ha davvero le forze.
Gli occhi di Thorin hanno lo stesso colore del cielo. È una profonda ingiustizia che non splendano altrettanto.
Il nodo è così stretto che, di nuovo, non respira. Thorin non parla, Thorin non lo ascolta.
Ma lo guarda. È già un passo avanti. E forse l’unica cosa che avrà da lui, perché il sole si spegne, come se qualcuno avesse premuto un interruttore, e Thorin sparisce, e l’erba diventa cotone, e l’aria non sa più di niente.
Bilbo stringe gli occhi diverse volte, prima di rendersi conto di essere nel suo letto, sotto le coperte, a fissare la luce del sole che filtra dalle piccole fessure della serranda.
Si passa una mano sul viso, grugnando per il troppo sonno. Sbadiglia, mentre con la mano libera cerca il cellulare perso sul letto.
Sono appena le quattro del mattino. Scuote la testa e si risistema sotto le coperte, sentendo il ricordo di ciò che ha appena sognato svanire nel momento stesso in cui si sforza di imprimerlo nella mente. Poco importa.
Sulle labbra, il sapore di caffè.
*
È un giovedì particolarmente uggioso, l’inverno che avanza inesorabile mentre aprile si consuma rapido, senza dare a Bilbo possibilità di rendersi conto del tempo che passa troppo in fretta.
Non che gli dispiaccia.
Insomma, prima passa il tempo, prima finirà quest’incubo.
La pioggia lo spegne mentalmente: è perso a guardare fuori dalla finestra da non sa bene quanti minuti - una decina, forse, oppure un’ora, sarebbe bello averne idea - e ci sarebbe restato ancora per molto, se qualcuno non avesse bussato alla porta interrompendo il suo stato di trance.
Thorin dà il permesso con voce ferma, pulita, e la porta si apre lasciando entrare un Bifur sorridente, quasi un pugno in faccia rispetto al grigiore della giornata.
“Thorin posso rubarti Bilbo? Gli altri sono tutti occupati.”
La totale indifferenza dell’uomo nei confronti della sua persona fa prudere le mani a un povero Bilbo che, a un cenno del capo del presidente, lascia la sua sedia con un sospiro e si sforza di sorridere a Bifur per non rovinare a nessuno la giornata.
Fuori dalla stanza, Bilbo si sente quasi in dovere di dover sospirare di sollievo. “Grazie.” dice soltanto, abbassando la testa e grattandosi dietro la nuca. Bifur ride, scuotendo la testa.”
“Non ringraziarmi adesso. Magari non ti piacerà, lavorare con me.”
La parlata di Bifur ha una cadenza strana, trascina le lettere mentre parla. Parte della sua bocca non si muove più - un incidente, gli ha raccontato una volta Bofur, ”robe brutte che hanno creato traumi cranici altrettanto brutti e mandato al diavolo qualche muscolo, ma almeno è vivo e ancora autonomo. È una persona forte” - ma i suoi occhi sono così pieni di entusiasmo da portarti a dimenticare i suoi difetti fisici.
“Tutto è meglio che stare chiuso lì dentro.” e arrossisce appena, perché forse dovrebbe pensarci due volte prima di esprimere il suo disappunto verso il padrone di casa con chiunque gli capiti a tiro. “Ad ogni modo, in cosa posso essere utile?”
Bifur gli passa un foglio pieno di pastrocchi totalmente incomprensibili, almeno ai suoi occhi.
“Nel fine settimana presentiamo la nuova collezione, che al momento è sotto test nel reparto qualità. Pensavamo di aprire la sala esposizione sabato mattina, ma il mio collega è di permesso questo fine settimana così mi chiedevo se potessi darmi una mano a organizzare la mostra.”
Bilbo solleva lo sguardo e cerca gli occhi di Bifur, che invece guardano davanti a sé. Sorride, annuendo senza essere visto, prima di tornare a guardare il foglio e sforzarsi di capire davvero cosa ci sia scritto sopra. “Mi farebbe davvero piacere dare una mano.”
Finalmente Bifur lo sguarda e sorride. È una sensazione meravigliosa, sentirsi calcolato.
Improvvisamente si ricorda cosa ha sognato qualche giorno fa, e non è assolutamente piacevole. Quando scuote la testa per tornare nel mondo reale, Bifur gli sta porgendo una chiavetta USB mentre gli sorride storto.
“Ti faccio fare un giro della sala, poi potresti gentilmente portare questa a Smeagol? È per la… nus…”
“Newsletter?”
“Sì, quello.”
Bilbo prende la chiavetta e se la infila in tasca, annuendo. “Comunque certo, gliela porto io.”
“Grazie. Sei bravo, signor Baggins.”
A farsi chiamare Bilbo s’è arreso due giorni dopo aver messo piede in quel posto. “Lo faccio volentieri. Almeno mi rendo utile a qualcuno.”
Si morde l’interno della guancia, mentre Bifur lo porta fuori dall’edificio principale e lungo un viale di ciottoli. Forse dovrebbe smettere di riferirsi a Thorin in ogni momento, non è sano, e di certo non lo aiuta a far meglio il suo lavoro. Tanto più che si sta praticamente dando la zappa sui piedi da solo…
“Ti rendi utile a molti, non devi preoccupartene.” esclama Bifur del tutto inaspettatamente. “C’è un po’ di movimento da quando sei arrivato, è una buona cosa. Bofur è felice di averti tra i piedi, me lo ripete spesso.” Si volta a guardarlo, prima di rovistare nelle tasche per cercare le chiavi del piccolo edificio davanti a loro. “In verità avrei dovuto a chiedere a Kili e Fili, di aiutarmi, ma Bofur mi ha pregato di prendere te, perché dice che ogni tanto hai bisogno di qualcosa da fare.”
Bilbo sente distintamente la sua faccia prendere fuoco. È evidente che le sue lamentele nei confronti di mister Sguardotruce siano di dominio pubblico - questo potrebbe anche spiegare il comportamento di Thorin, se solo tutto non fosse cominciato il primo giorno. Bifur ridacchia, mentre apre finalmente la porta. “In ogni caso, sicuramente sei una persona più affidabile di quei mascalzoni. Sarebbero andati su e giù per le stanze senza darmi una mano a fare niente, figuriamoci. Vieni, entra.”
Bilbo si guarda attorno meravigliato. Il tetto dell’edificio è un mosaico di vetri dai colori tenui e caldi che riflettono la luce del sole sulle pareti di un nocciola pallido senza dar fastidio alcuno. Bilbo conta dieci passi tra un faretto e l’altro, piantati sul muro come un doccino. Cammina senza sapere dove guardare, se al soffitto lucido o al pavimento, perché è un tripudio di giochi di colori che tuttavia non sono fastidiosi, e che rimarrebbe a guardare per ore, se solo potesse. Immagina la sala piena di mobili e di gente che ammira il risultato di mesi di lavoro con occhi estasiati e sorride, sentendo la sensazione costante di disagio attenuarsi nel suo petto.
“Ci stiamo lavorando da tanto. È una bella linea, vedrai, rimarrai a bocca aperta.” Bifur accende le luci, e incrocia poi le mani dietro la schiena, annuendo mentre osserva i faretti accendersi. “Nocciola, stavolta. È un bel colore, piace alle donne. Se piace alle donne, fai sempre centro, così diceva mio nonno.” Sospira, scuotendo la testa. Bilbo lo osserva affascinato. “Speriamo porti qualcosa di buono.”
Bilbo flette la testa di lato, alzando appena un sopracciglio. Il tono della voce dell’uomo si è incrinata appena, ma per quanto si sforzi di capire non riesce ad intuire perché. Non ha tempo di chiedere spiegazioni, in ogni caso.
“Nel pomeriggio cominceremo con la sistemazione dei mobili,” riprende Bifur subito dopo, facendogli da guida - l’edificio è diviso in quattro stanze, ognuna delimitata da un arco che dà sull’andito principale. “Dopo pranzo Bofur e Dwalin portano i mobili, posso contarti nei nostri?”
“Ovviamente.”
Bilbo annuisce, e il sorriso storto di Bifur gli sembra la cosa più dolce che abbia mai visto negli ultimi dieci giorni. “Bene. Allora direi che possiamo incontrarci qui dopo la pausa pranzo, d’accordo? E ricorda la chiavetta.”
“Certo,” e Bilbo gli dà le spalle, uscendo dallo stabile e infilando le mani in tasca per giocare con la chiavetta mentre percorre il viale a ritroso, l’entusiasmo che si fa rapidamente spazio dentro di sé.
*
Il resto della settimana passa così rapido che Bilbo riesce addirittura ad ignorare la freddezza di Thorin. A turno, Bifur o Bofur vengono a chiamarlo per lavorare nella sala esposizioni, e Bilbo è più che felice della cosa. Tenere la mente occupata fa passare il tempo in modo molto più piacevole, oltre che più veloce. Ogni tanto torna nel suo ufficio per assicurarsi che Thorin non abbia bisogno di lui - in fondo, è quello il suo posto, non tra i colori caldi del soffitto riflessi sul pavimento, non tra i mobili e il loro buono odore - ma ogni volta l’unica cosa che l’altro fa è ordinargli di portargli un caffè, e così lui obbedisce per poi scomparire prima che l’indifferenza possa scalfire il suo umore.
C’è quasi un’aria di festa che coinvolge tutti, chi più chi meno. Kili e Fili schizzano da un ufficio all’altro propinando a tutti il meraviglioso lavoro di grafica che hanno obbligato Smeagol a fare qualche settimana prima, già allegramente sparso per tutta Auckland pochi giorni prima e che tutti avevano già visto, in ogni caso. Balin si sente così gonfio d’orgoglio da apparire addirittura ringiovanito, e Bombur ne ha approfittato per riuscire a mangiare i suoi amati pasticcini anche fuori dal cantuccio caldo e protettivo del suo ufficio.
Persino Thorin sorride. Bilbo lo guarda da lontano e si chiede perché non possa essere sempre così.
Non l’aria di festa, Thorin che sorride. Sarebbe un toccasana per tutti - soprattutto per lui. Bilbo storce il naso e trova supporto in una parete su cui si appoggia per mandare giù l’ennesimo bignè che Bombur gli ha messo in mano - “Vanno finiti, mia moglie si offende, sennò!”
Dà un’ultima occhiata al presidente, sperando che l’altro non decida di alzare lo sguardo nello stesso momento.
Non sa perché tutti si augurino momenti migliori per l’azienda, ma al momento, segue la linea di pensiero degli altri, e se lo augura anche lui.

fandom: the hobbit (2012), pg13, longfic: varnish, personaggio: thorin scudodiquercia, !fanfiction, personaggio: bilbo baggins, 2013

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