Titolo: Nightingales
Fandom: Sherlock BBC
Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Rating: Nc17
Avvertimenti: slash
Conteggio parole: 1144 (
fiumidiparole)
Riassunto: John è lì che prende posto nella sedia e continua a guardarlo. È strano come un semplice pensiero possa suggestionarlo a tal punto da sentire il corpo accaldarsi, il collo tendersi in avanti per permettere alla sua testa di affondare nel cuscino. Quasi senza rendersene conto il suo bacino si è sollevato, e le ginocchia sono piantate contro il materasso mentre ci si muove sopra, lento. Sente un nodo alla gola leggero, cerca di ignorarlo, come cerca di ignorare gli occhi blu di John che registrano il suo movimento sotto le coperte. Preme la faccia contro il cuscino e si lecca le labbra, voltando il viso dalla parte opposta alla porta per evitare alla sua fantasia - odiosa, inutile, noiosa - di sfumare in una nuvola di niente.
Note: Scritta per il prompt 1. "I lineamenti sono stati dati all'uomo come mezzo per esprimere le proprie emozioni, e i suoi la servono fedelmente." dello Sherlothon @
sherlockfest_it e per il prompt Materasso set Roberta del
mmom_italia.
È una di quelle rare notti in cui Sherlock si abbandona sul letto, diventando un sacco troppo pieno di pensieri che non riescono a trovare una via d’uscita. Si rigira nel letto diverse volte, sbuffando contro il cuscino quando la frustrazione è troppa; morde la federa e rotea gli occhi, in quei momenti, sentendo la pulsione irrefrenabile di alzarsi e prendere in mano una pistola, o un violino, e creare rumore, rumore, rumore. Ma è troppo pesante, lui, la sua testa, tutto. L’orologio segna le tre e un quarto, il suo cervello si sforza di pensare senza speranza. Sa che deve chiudere gli occhi e dormire, ma è più forte di lui.
Chissà se John dorme.
Si mette a pancia in giù, abbracciando il cuscino. Cerca la comodità aprendo appena le gambe, lasciando che le lenzuola riempiano il buco tra le sue cosce. Fuori, uccelli notturni cantano già all’alba. Sherlock chiude gli occhi e sospira per l’ennesima volta da quando ha spento la luce, chiedendosi perché l’uomo abbia bisogno di una cosa così inutile come il dormire. La voce di John gli ricorda che senza quella perdita di tempo non sarebbe capace di muovere un passo.
La voce di John gli dice sempre un sacco di cose. Gli piace, è calma, calda. Magari se si concentra, riesce a trovare un minimo di riposo. Riesce quasi a vederlo, adesso, le braccia morbidamente incrociate sul petto, la sua lingua che accarezza le labbra, le fa così lucide che riflettono la luce della luna. Sente il suo sguardo solleticargli il collo, e quasi gli viene da dirgli di smetterla, che gli si stringe lo stomaco. Ma John non è nella stanza, John è in camera sua e se si concentra, tra un cinguettio e l’altro, riesce quasi a sentire il suo leggero russare.
John è lì che prende posto nella sedia e continua a guardarlo. È strano come un semplice pensiero possa suggestionarlo a tal punto da sentire il corpo accaldarsi, il collo tendersi in avanti per permettere alla sua testa di affondare nel cuscino. Quasi senza rendersene conto il suo bacino si è sollevato, e le ginocchia sono piantate contro il materasso mentre ci si muove sopra, lento. Sente un nodo alla gola leggero, cerca di ignorarlo, come cerca di ignorare gli occhi blu di John che registrano il suo movimento sotto le coperte. Preme la faccia contro il cuscino e si lecca le labbra, voltando il viso dalla parte opposta alla porta per evitare alla sua fantasia - odiosa, inutile, noiosa - di sfumare in una nuvola di niente.
Un pollice si incastra tra la sua pelle calda e il pigiama leggero, abbassandolo quel tanto che gli basta per aver più respiro. Geme appena, quando si riappoggia sul materasso, e la carne ancora flaccida si muove libera sul lenzuolo fresco. Non riesce a darsi controllo, e l’unica cosa che può fare è continuare a ondeggiare, a sentirsi diventare duro, a sentire la testa svuotarsi piano, finalmente.
Immagina il rumore umido delle labbra di John, i suoi denti bianchi che mordono la carne morbida per contenere il piacere - quello che sta facendo lui ora, mentre il sedere si alza e si abbassa lento, e il respiro si fa più pesante. Immagina John che sulla sedia si abbassa i pantaloni e rimane lì, con le gambe aperte, ad accarezzarsi mentre lo guarda e se lo mangia con gli occhi. L’immagine gli stringe lo stomaco più forte, obbligandolo a gemere con più forza, stavolta.
Perché John?
Prova a rovistare nei suoi pensieri, ma si rende conto di essere invaso dai suoi occhi blu, dalle borse sotto gli occhi, dalle labbra sottile che Dio, continuano ad essere così umide e così invitanti. Si piega, stringendo il cuscino, premendoci sopra la forte per trattenersi, prima di rilassarsi di nuovo contro il materasso, e ricominciare.
Il rumore umido ora sembra così reale. Non sente più nulla, né gli uccelli, né il suo coinquilino russare, solo quel rumore di saliva ipnotizzante, di carne che si separa e si riunisce. Non gli è mai successo che un suo pensiero diventasse così forte, così vivido.
Gira lentamente il volto, e il suo corpo si blocca di colpo, le orecchie che diventano calde come le guance, come tutto il resto. John lo sta fissando con tanta intensità da non battere le palpebre a una velocità umana, mentre la sua lingua continua a mordere il labbro inferiore, le mani che si aprono a pugno.
“John-“
“Continua. Ti prego, continua.”
Voce roca, mani che non riescono a stare ferme. John è chiaramente eccitato, e Sherlock si chiede da quanto tempo sia lì. Non crede glielo chiederà, comunque. Il medico chiude la porta, appoggiandosi sopra, mentre Sherlock ricomincia a ondeggiare, senza staccargli gli occhi di dosso. Lo osserva mentre lui lo osserva, John che sospira forte quando lo fa lui, che apre le gambe massaggiandosi attraverso il pigiama. Vorrebbe chiedergli cosa prova, cosa lo abbia portato lì, ma poi lo guarda meglio e sa già quale sia la risposta. I lineamenti sono stati dati all'uomo come mezzo per esprimere le proprie emozioni, e quelli di John sono chiari come se avessero il dono della parola. Lo chiama a mezza voce tra i gemiti , e presto Sherlock si rende conto di star facendo la stessa identica cosa. La tensione che si accumula sul suo basso ventre è tanta, insopportabile, così forte che una mano scivola tra le gambe e tenta di dargli sollievo, il palmo che scivola sulla carne bollente e umida. Gli bastano pochi colpi di polso, prima di soffocare un gemito più forte mordendo il cuscino, il corpo che si spinge contro la sua mano come se fosse la sua salvezza. Riesce a vedere John piegarsi sulla propria pancia, a muovere la mano freneticamente, prima di svuotarsi con qualche schizzo sul pavimento.
È un cumulo caldo di respiri che soffoca qualunque altro rumore.
John si rimette dritto, piegando la testa contro la porta. Sherlock è ipnotizzato dal suo pomo d’Adamo che si muove lento ogni volta che deglutisce aria, forse nella speranza di recuperare fiato. Lo guarda passarsi la mano pulita sul viso e sorridere contro il muro, sospirando forte. “Ti ho sentito gemere, pensavo fosse successo qualcosa.”
Sherlock finalmente si rilassa, poco importa che le lenzuola siano sporche, ci penserà domani. “No, sto bene.”
“Ho notato.”
È quasi imbarazzante. John si guarda la mano sporca e Sherlock è sicuro di vederlo arrossire. Sbuffa divertito, facendo un cenno con la testa e girandosi dall’altra parte. “Meglio che tu vada.”
“Meglio che io vada.” ripete l’altro, aprendo la porta. “Buonanotte.”
Sherlock aspetta che esca, prima di emettere un sospiro di sollievo. Deve immaginare John più spesso, se questo vuol dire vederlo apparire magicamente in camera sua.
Allunga la mano sul comodino per prendere dei fazzoletti e pulire alla bene e meglio, prima di sistemarsi sul letto e chiudere gli occhi.
Almeno adesso la sua testa è leggera.