Titolo: Scritto sulla pelle
Fandom: Sherlock BBC
Personaggi: Sherlock Holmes, John Watson
Rating: R
Betareader:
mikamikarinAvvertimenti: Boh, slash.
Conteggio parole: 536 (
fiumidiparole)
Riassunto: Riesce a vedere il suo nome scritto in quel corpo, la traccia indelebile della sua persona impressa con forza nei lividi scuri, nelle tracce dei denti che ora sono soltanto una macchiolina rossastra e informe.
Note: Per il p0rn!fest e per la Sherlock Week, anche se questa è tipo la cosa meno porno che io abbia mai scritto.
Sherlock resta lì a fissare John per qualche secondo, il solco della cicatrice, la linea marcata che divide la sua schiena in due. L’accarezza con un dito, sentendo l’altro mugolare appena - “Vado a dormire un’oretta, se non ti dispiace. Ho le gambe a pezzi,” gli ha detto prima di sparire in camera di Sherlock, troppo stanco per fare le scale, e lui lo ha raggiunto dopo nemmeno cinque minuti, incapace di stargli lontano dopo aver messo in pericolo la sua vita per l’ennesima volta.
Ha resistito per trenta minuti, troppi per non riuscire a soffocare l’urgenza di mettergli le mani addosso, di sentire la sua pelle appena spaccata per il freddo sotto le dita, troppi per qualunque cosa.
In fondo, John può sempre dormire più tardi.
Riesce a vedere il suo nome scritto in quel corpo, la traccia indelebile della sua persona impressa con forza nei lividi scuri, nelle tracce dei denti che ora sono soltanto una macchiolina rossastra e informe. Si china sulla sua schiena e chiude gli occhi, concentrandosi sul suo battito, sul suo respiro regolare; ripensa a ieri e a John che impallidisce davanti a una pistola che preme sulla sua fronte, ripensa a ieri e a John che lo cavalca e stringe forte le mani sulle sue spalle chiamandolo per nome. Il battito muta, nella sua testa, accelera e diventa musica, un ritmo sregolato che dice Sherlock, Sherlock, Sherlock. Lo accarezza su un fianco, lo sente fremere - non vuole svegliarlo, vuole goderselo così, immaginarlo mentre si contorce tra le sue mani, sentirlo chiamare il suo nome mentre lo prepara piano, per farlo gemere più forte, John che non libera mai la voce, John che si trattiene perché si vergogna. Scivola fino a sentire l’osso del bacino spingere contro le sue dita, preme coi polpastrelli sperando di bucargli la pelle, lasciargli un altro segno che diventi indelebile - vuole diventare una cicatrice profonda, di quelle che ogni giorno non puoi evitare di guardare, di quelle che ti ricordano costantemente perché sono lì.
Sherlock vuole essere la sua cicatrice, sovrastare quella alla spalla, far dimenticare a John l’Afghanistan perché nella sua mente occupa troppo spazio; deve esserci solo lui, nella testa, nel cuore, nel corpo. Lascia scivolare una mano sul davanti, accarezza il bordo delle mutande, forza per entrarvi appena, una falange, il tanto giusto per sentire la sua pelle farsi bollente, per sentire i peli ispidi - vorrebbe scendere, afferrarlo, farlo diventare duro mentre gli morde il collo, mentre lo segna ancora, ed affondare nel suo corpo solo per sentirlo chiamare il suo nome, per ritrovarsi con la mano umida del suo sperma e il respiro accelerato, e il cuore impazzito, e la sua testa corre perché Sherlock è sul corpo di John, e John è in circolo nel suo sangue come veleno, un grosso svantaggio, uno svantaggio di cui non può fare a meno.
Sherlock lascia che la sua mano riposi sul ventre del suo coinquilino, tenendo lo sguardo fisso sul suo collo; si avvicina e lo respira, lascia che il suo odore entri nei polmoni e vi si imprima con forza, il tanto giusto per sopravvivere finché non si sveglierà, e allora l’odore lascerà lo spazio alla voce, e a tutto il resto.