[Sherlock BBC] Turn-ups

Dec 20, 2011 19:53

Titolo: Turn-ups
Fandom: Sherlock BBC
Personaggi: Sherlock Holmes, John Watson
Rating: Nc-17
Betareader: il mio corazón espinado.
Avvertimenti: Au, Set scolastico, differenza d'età, non lo so, il mio culo.
Conteggio parole: 2867 (fiumidiparole)
Riassunto:  Sente i muscoli di John tendersi, e lui ne è estremamente deliziato. Non gli ci vuole tanto, prima di prendere il libro e buttarlo pericolosamente vicino al camino per mettersi al suo posto, divaricando le gambe di John per stare in mezzo. “La aiuterò io a rilassarsi.” continua, prima di poggiare le labbra sulle sue, la lingua che lo accarezza per chiedergli di entrare.
Note: Questa è per la waitingforlive, anche se molti apprezzano. Non è il mio porno migliore, ma so che lo amerete comunque. Inoltre partecipa sia alla Maritombola, prompt 88, sia al Come ti trombo il prof! <3

Sherlock mastica la penna con insistenza, la plastica trasparente che scricchiola pericolosamente tra i suoi denti. Non ha alcuna intenzione di seguire la lezione, oggi, e per una volta non è nemmeno colpa sua.
John Watson, a suo parere, è figlio del Diavolo. Un Diavolo che ha deciso di rendere il suo sedere eccessivamente attraente, quella mattina più d’ogni altro giorno.
Si toglie la penna dalla bocca, leccandosi le labbra. Non ha idea di come farà a tornare a casa con quel chiodo fisso in testa - vorrebbe prendergli le natiche e strizzarle e premerlo contro il muro solo per sentire quella voce così ferma diventare un cumulo di brividi bollenti sotto i suoi tocchi.
Il professore si volta per osservare le facce dei suoi studenti, per capire se sono riusciti a cogliere almeno vagamente qualunque cosa lui abbia detto, e Sherlock ne approfitta immediatamente, agganciando il suo sguardo, sorridendo felino ed ammiccando appena. L’altro si blocca, arrossisce sulla punta delle orecchie, e si rigira.
Perfetto.

“Professore.” dice quando ormai tutti sono fuggiti dall’aula, avvicinandosi con un libro sottomano - prima regola, mostrarsi totalmente disinteressato all’approccio sessuale. La preda non deve sentirsi minacciata, deve sentirsi a proprio agio nel suo habitat.
Come se quell’uomo non lo conoscesse abbastanza, comunque.
“Dimmi, Sherlock.” dice lui, lo sguardo chino sulla sua borsa mentre mette in ordine i libri, gli appunti, gli occhiali da vista. Sherlock vorrebbe dirgli “Mi guardi, grazie.”, ma si limita a schiarire la voce e a prendere una posizione rilassata.
Seconda regola, non fare pressione. Scappano sempre, altrimenti.
“Ho perso un passaggio nella sua ultima spiegazione.”
Ecco, questa è un’ottima tecnica per attirare l’attenzione. Watson solleva un momento il viso, guardandolo e passandosi la lingua tra le labbra secche come fa sempre, sempre, semprissimamente sempre.
“Quale passaggio?”
“Se mi ricordassi, mi affiderei a internet piuttosto che disturbarla, professore.” Sorride, mostrando appena i denti, il libro stretto attorno alla mano. Terza regola, mostrarsi disponibile. “Volevo chiederle se può darmi una lezione privata. Ovviamente la pagherò, non è un problema. Stasera.”
Sherlock vede distintamente le sue pupille farsi appena più dilatate, la lingua che passa di nuovo tra le labbra. Paura? Eccitazione? Probabilmente il caro professore sa a cosa sta per andare incontro.
In fondo non può dirgli di no.
E infatti, quello deglutisce, tornando a sistemare la sua roba. “Stasera dici? Stasera non è un po’-“
“Professore, il trimestre sta finendo. Ho seriamente bisogno che lei mi spieghi meglio le malattie cromosomiche al più presto, perché ho un cervello potente, ma che ha bisogno di tempo.”
Tutte palle.
Tuttavia, John sospira e chiude la borsa con un clic. “D’accordo”, e la sua voce ha una nota di rassegnazione che fa correre un brivido di piacere lungo la schiena del ragazzo. “Stasera sia. Ricordi dove-“
“Non potrei mai dimenticare dove abita, professore.”
Quarta regola, mai tradire l’emozione con la voce tremolante di qualunque cosa possa mettere la preda in crisi. Le orecchie di John si fanno scarlatte e ops, Sherlock si è lasciato scappare un tono un po’ troppo alludente, ma insomma, la regola quattro è la classica regola a cui tutti trasgrediscono sempre.
“Beh, oh. Bene. Allora a stasera.”
È così impacciato che fa fatica a trattenersi. Sherlock osserva il professor Watson afferrare il manico della sua borsa e uscire di fretta dalla stanza, e sul suo volto si allarga un sorriso che non preannuncia assolutamente nulla di buono.
Non per il caro professor Watson, almeno.

Sherlock decide che non ha bisogno di dare al suo professore preferito un qualche preavviso, uno stupido sms per dirgli che arriverà in dieci, venti, trenta minuti, no. Suona direttamente al campanello, a un orario improponibile - in lontananza, il terzo rintocco delle diciannove si sperde nell’aria con una eco sfumata.
Il professor Watson non è molto rilassato, quando gli apre la porta, anzi.
“Ti sembrava brutto darmi un colpo di telefono?”
“Sapeva che sarei arrivato,” risponde con lo sguardo basso e la borsa su una spalla, “perché sprecare dei soldi per avvisarla? Mi faccia entrare, fa freddo.”
John si scosta, facendogli spazio. L’indice di Sherlock si aggrappa alla cravatta rossa, allentando il nodo mentre comincia a salire le scale verso l’appartamento.
Il piano sta andando alla perfezione.
Il ragazzo poggia la borsa e la giacca sul pavimento, correndo al caminetto. Tende subito le mani avanti per scaldarsi, battendo i piedi velocemente per riattivare la circolazione dove il freddo s’è mangiato le dita. Watson entra pochi secondi dopo, sbuffando mentre gli occhi cadono a terra. “Potresti almeno avere la decenza di non disseminare la tua roba per casa mia.”
“Suvvia, professore, non se la prenda. Non le fa bene alla salute.”
Il sospiro rassegnato alle sue spalle gli fa segnare un altro punto sul suo ipotetico tabellone.
Sente l’uomo trafficare con della cartaccia che non gli servirà mai, e sorride nel pregustarsi il momento. Si volta con le mani dietro la schiena, fregandole tra di loro per scaldarle.
Deve avere ancora un po’ di pazienza.
“Tu, non mi fai bene alla salute.” risponde l’altro, prendendo i libri sotto il braccio e portandoli sul pavimento. “Su, siediti. Cominciamo a vedere cosa non hai capito, altrimenti non riesci a tornare a casa, poi.”
“Veramente ho detto che sarei rimasto qui, per la notte. Ai miei va bene, andrà bene per forza anche a lei.” Sherlock osserva la faccia dell’altro impallidire, e per un attimo prova a indovinare se il motivo sia la sua presenza in casa fino al giorno successivo o l’idea di contraddire i suoi genitori.
In ogni caso, a lui va di lusso. In verità i suoi genitori non sanno niente, ma questo è un dettaglio trascurabile.
“… mi dicevi, le malattie cromosomiche.” sospira alla fine, sedendosi sul tappeto.
Sherlock gli lascia credere di avere campo libero; John prende il libro e lo sfoglia lentamente, indicando i disegni esplicativi con l’indice, senza osare guardarlo. Sherlock annuisce, affianco a lui, ma non gli presta particolare attenzione. Insomma, non ha bisogno di ripetizioni, sapeva tutto prima ancora di mettere piede in classe.
Lo sta solo facendo sentire a suo agio.
Il ragazzo lascia scivolare ancora il nodo della cravatta, finché non ha più sento che esista. Con uno strattone lo fa sciogliere del tutto, per ritrovarsi a giocare poi con uno dei due lembi. Sorride, avvicinandosi ancora un poco. Poggia la testa sulla sua spalla, sfiorandogli il braccio, e il suo amato professore si blocca per un secondo. Lo guarda, uno, due, tre, quattro, e poi si dedica nuovamente al libro, anche se la sua voce ora trema un po’.
Sherlock gli accarezza il polso, soddisfatto. Sente chiaramente i pensieri del professore roteare senza sosta nella sua testa - c’è un “Non dovevo dargli retta”, un “Dannato ragazzino”, un “Mio dio, smettila di toccarmi”, forse un “vattene, vattene, vattene” che si sta facendo però sempre più debole.
Sherlock sorride.
“Cosa mi sa dire sulla sindrome di Turner?”
John si massaggia la fronte, sospirando. “Non ne ho ancora parlato, Sherlock. Una cosa alla volta.”
Una cosa alla volta.
La cravatta scivola dal suo collo, e Sherlock ringrazia il professore per non volerlo guardare in faccia, perché così può lavorare senza essere disturbato. Ama sentire la voce dell’adulto incrinarsi ad ogni minimo tocco, ama vederlo allontanare il braccio per poi lasciarsi recuperare senza troppa fatica. Sherlock si attorciglia un momento la cravatta attorno al polso, decidendo che forse ora può anche smettere di recitare la parte dell’imbecille e passare all’azione.
La presa sul braccio dell’uomo si fa più decisa, il sorriso che si allarga mentre allunga il viso sul libro. “Mh. Questo non l’ho capito bene.” esclama, puntando l’indice su un diagramma. Ma prima che John possa aprire bocca, Sherlock muove il dito sulla pagina, e poi sulla coscia, fermandosi vicino all’inguine. Il professore fa per parlare, ma Sherlock lo zittisce all’istante. “Non si sforzi di spiegarmelo. La vedo stanca, credo abbia bisogno di riposare un momento.”
E non sono passati nemmeno venti minuti.
Sente i muscoli di John tendersi, e lui ne è estremamente deliziato. Non gli ci vuole tanto, prima di prendere il libro e buttarlo pericolosamente vicino al camino per mettersi al suo posto, divaricando le gambe di John per stare in mezzo. “La aiuterò io a rilassarsi.” continua, prima di poggiare le labbra sulle sue, la lingua che lo accarezza per chiedergli di entrare.
“Sherlock, Sher-“ tenta di protestare l’altro, ma l’altro ne approfitta, aggrappandosi alle sue spalle e spingendolo contro la sua bocca - Dio, quanto gli piace. Sente un brivido di piacere, mentre John tenta di divincolarsi, di allontanarlo per riprendere fiato; gli morde il labbro piano e la lingua continua ad accarezzarlo, mentre con le mani scivola dietro le braccia, gioca con le sue mani, avvicinandole.
“S-Sherlock, smettila.”
La voce del professore è ferma, o almeno, è quello che lui spera. Sherlock sorride come un gatto, facendo cenno di no con la testa, prima di baciargli la mascella, l’orecchio, il collo. Lo mordicchia e lo lecca, le dita che intanto si aggrappano alla cravatta e la sciolgono dal braccio, facendola passare piano tra i polsi dell’uomo. “Non si preoccupi professore, è solo una piccola pausa.”
Quando John si accorge che qualcosa lo stringe sui polsi, è già troppo tardi. Sherlock ha già fatto due, forse tre giri, e annoda la cravatta senza troppa fatica, premendogli sul corpo per non farlo muovere troppo. Fa niente se non è d’accordo, a Sherlock i pantaloni sono stretti da quando s’è seduto affianco all’uomo (o forse da prima, non ne è davvero sicuro), e ora sentire la sua erezione sfregare contro la pancia del suo professore preferito lo sta facendo diventare impaziente.
Ci fantastica su da tutto il giorno, e internet chiaramente dice che non ascoltare il proprio corpo fa sempre male, per cui…
“Dio, lei è fantastico.” Dice Sherlock sulla pelle calda dell’altro. Si rimette dritto sulla schiena, leccandosi le labbra mentre lo studia - il viso rosso, gli occhi lucidi, le gambe meravigliosamente divaricate mentre le braccia si dimenano per liberarsi. “Non ci provi. Ho imparato sui libri. Nodi che lei non sa neppure che esistono.”
“Sherlock, liberami subito o-“
“O cosa? Mi mette una nota? Non sia stupido, professore, non siamo a scuola, non può punirmi con questi modi subdoli.” John si morde il labbro e Sherlock incassa un’altra vittoria. “Non si preoccupi, le piacerà.”
Un altro brivido che scuote entrambi per motivi diversi. La lingua che scorre sul collo del professore è bollente, lascia una scia umida fino al colletto della camicia - i bottoni saltano dalle asole come niente, come se l’indumento volesse assecondare le voglie di Sherlock, dar spazio alla sua bocca. John si inarca, mentre Sherlock prosegue ancora, tracciando percorsi caldi fino al petto, quando la bocca si chiude attorno a un capezzolo e lo lecca amorevolmente, l’altra mano impegnata ad accarezzargli la pancia morbida. Sorride felino, Sherlock, ogni volta che John china la testa e geme piano, ogni volta che tenta di soffocare il piacere che via via si fa più forte tenendo il labbro tra i denti. Lascia che una mano scivoli tra le gambe del professore, a premere lentamente sul rigonfiamento ancora un po’ molle. “Lo so che sta apprezzando, professore. Non si deve trattenere.”
“T-Tu non entrerai mai più in questa casa.” ringhia appena John. Entrambi sanno che non terrà fede alla sua parola.
Sherlock abbandona il petto dell’uomo per appoggiarsi alle sue spalle, spingendolo appena contro il divano. “Un momento.” dice mentre l’altro, ripresosi un attimo, ricomincia ad agitare le mani per cercare di sciogliere il nodo che sta permettendo il compimento di quello scempio. Sherlock ride ancora, a labbra strette, mentre gioca con la cintura dei pantaloni di lui. “E la smetta di agitarsi per nulla, quanto rumore.” L’elastico delle mutande del professore è spaventosamente tirato, la punta del suo sesso che sbuca appena dall’intimo. “E poi è palese che le piaccia, quindi si goda il momento.”
Non gli da il tempo di rispondere che con un gesto veloce scarpe e calze sono già vicino al povero libro, i pantaloni e l’intimo bloccati alle ginocchia. John geme frustrato, premendo la schiena contro la pelle del divano, e quasi grida quando Sherlock, senza preavviso, butta via gli ultimi indumenti e gli prende le gambe aprendogliele, facendolo scivolare verso di lui. Il professore arrossisce di botto, imbarazzato dalla posizione - sente la sua erezione accarezzargli la pancia nuda, la punta appena umida che lo accarezza sopra l’ombelico. Le braccia si tendono, si agitano, e lui spalanca gli occhi quando vede la nuvola di riccioli neri abbassarsi velocemente sul suo basso ventre. Sherlock avvolge il suo sesso con la mano, dando uno, due colpi di polso, e John mormora qualcosa tra i mugolii sommessi. Ma non ci vuole tanto, prima che l’aria scappi via dai suoi polmoni, lasciando spazio a un gemito strozzato e alla testa che cerca supporto nel divano, mentre Sherlock gli spalanca di più le gambe, facendolo scivolare ancora un poco, facendolo poggiare sulle sue spalle. Un respiro profondo, e Sherlock poggia le labbra tra le sue natiche, la lingua che spinge piano dentro di lui - potrebbe registrarlo, fargli un video, imprimere la sua voce nel telefono.
Il giorno in cui Sherlock Holmes è riuscito a capovolgere il mondo - e tutto il resto.
Sente il corpo del professore tendersi, le cosce farsi dure; sente che lui vorrebbe aggrapparsi a qualcosa e invece no, non può, perché è più bello così, più bello vederlo rosso e inerme imprecare di tanto in tanto con la lingua tra i denti. E il ragazzo spinge e l’altro urla, e così per minuti, tempo che scorre troppo in fretta per Sherlock, troppo lento per John.
Mentre si intrufola più in fondo con la lingua, Sherlock comincia a slacciarsi i pantaloni per darsi un po’ di respiro. Gioca con l’apertura del professore, allargandola con le dita, accompagnando la lingua. Si sente già pulsante tra le gambe, e per quanto vorrebbe trattenersi per sempre tra le gambe di John, decide che non può continuare, o esploderà senza essersi goduto il momento. Sollevandosi appena, continua a tenere le gambe di John sulle sue spalle, e abbozza un sorriso - l’ennesimo sorriso che a John fa venire i brividi (che poi siano di orrore o piacere, ormai non ne tiene più conto).
“Si rilassi, professore.” ordina, sollevandosi col busto e rendendo la posizione di John, se è possibile, ancor più indecente; gli accarezza la coscia piano, mentre con la mano libera si posiziona, la punta del suo sesso che preme contro l’apertura umida del suo professore. John si morde il labbro, mentre Sherlock scivola in lui, respirando forte mentre scivola lentamente dentro di lui.
Aveva pensato sarebbe stato fantastico, ma non fino a quel punto. John cede bene sotto la sua spinta - non è la prima volta che sta sotto, perché quando c’è stato lui, la prima volta, non era stato così facile per John farsi spazio nel suo corpo - e sospira ad ogni piccolo movimento, le mani dietro la schiena che si stringono a pugno, rendendo le nocche pallide. Sherlock gli da il tempo di abituarsi, abbassa lo sguardo per guardare tra le gambe di entrambi, il suo sesso che scompare quasi completamente dentro il corpo del professore. Lo guarda, leccandosi le labbra. “Dio, dovrebbe vedersi.” dice, e per un momento è di nuovo tentato di prendere il telefono e immortalare il momento.
Per fortuna di John, Sherlock sa che non è il momento di fare qualunque cosa che non sia cominciare a muovere il bacino, aggrapparsi alle gambe di John e stringersele attorno al collo. C’è il rumore umido dei loro corpi che si scontrano a riempire i buchi lasciati dai loro respiri rapidi, dai gemiti sommessi di John e quelli più acuti di Sherlock, c’è il rumore umido dei baci che il più giovane lascia vicino alla bocca dell’altro, mentre si piega di più, mentre lo apre per affondare totalmente e ripetutamente in lui.
Dovrebbe farlo più spesso. È una sensazione di totale onnipotenza, meravigliosa. Guarda il professore in volto e legge i suoi pensieri sugli occhi stretti, sulle guance arrossate e la fronte appena sudata; sa che sta ripetendo mentalmente, mille volte, che è già tanto quello che fanno di solito, mentre questo va troppo oltre, troppo, troppo, ”Mi sto facendo inculare da un ragazzino, Dio santissimo.” o qualcosa del genere.
Sherlock comincia a sentire la sua erezione pulsare, quando la bocca diventa incapace di restare chiusa, obbligata ad emettere gemiti e sospiri profondi. Si china sulle labbra di John e lo bacia con forza, la lingua che struscia contro l’altra e il ritmo delle spinte che si fa sempre più forte, più veloce, e Sherlock non riesce più a far niente, solo a vedere bianco, solo a soffocare un gemito alto sulla spalla dell’altro, mentre il suo orgasmo si riversa dentro John, caldo, violento.

Quando Sherlock lo libera, John vorrebbe strozzarlo, riesce a leggerglielo chiaramente negli occhi. Il ragazzo gli offre una mano per aiutarlo ad alzarsi, ma lui la snobba, senza guardarlo.
“Si vergogna?” chiede all’improvviso, sedendosi dietro di lui, prendendoselo tra le gambe. John non risponde. “Non sia stupido. È stato meraviglioso per entrambi.” e sorride, abbassando lo sguardo sulla maglia sporca, cachemire che sarà costretto a buttare, se la macchia non se ne andrà subito. Sherlock si china sull’uomo, baciandolo dietro all’orecchio. “Sinceramente non vedo l’ora di rifarlo.” e John vibra sotto le sue mani, deglutendo sonoramente - il suo professore stupido.
“Sei un idiota.” gli risponde soltanto, chiudendo gli occhi. Come se avesse voglia di combattere ancora contro un demonio del genere.
Un’altra spunta sul solito, ipotetico tabellone della vittoria.

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