[Sherlock BBC] Untitled Porn On a Desk

May 30, 2011 13:05

Titolo: Untitled Porn On a Desk
Fandom: Sherlock BBC
Personaggi: Sherlock Holmes, John Watson
Betareader: mikamikarin 
Rating: NC-17
Avvertimenti: Boh Lemon. Professore/Studente. Studente molto molto troia. Molto. Cioé non molto. Ma abbastanza. Oh insomma, basta. Ah si ecco. PWP. E AU.
Conteggio parole: 2103 ( fiumidiparole )
Riassunto: “Holmes, posso sapere cosa stai facendo?”
John Watson, insegnante di biologia fresco di cattedra, si ritrova a spalleggiare la scrivania per vedere lo studente peggiore del suo corso chiudere la porta della classe e bloccarla con una sedia come se fosse la cosa più naturale del mondo.
“Lo vede anche lei, professor Watson. Non faccia domande inutili, la prego.”
Note: Visto che l'ho scritta per mikamikarin , pretendo che suddetta mikamikarin  mi lasci uno straccio di commento. Che qua se non si chiede la carità non si vede niente. Quindi vale anche per chi altri stia leggendo. Tanto lo so che ci siete. Fatevi passare la pigrizia, pensate a me che commento in inglese quando leggo in inglese, a voi che costa commentare in italiano?*mestruata!Nari is mestruata*
Bon, niente. Questo è un porno fine a se stesso, per la gioia della mia donnina :>. Sherlock ha 18 anni e John sta sui 30, non lo so, comunque è molto più grande. Divertitevi:D


Holmes è sempre stato… strano. Non strano nel senso banale del termine, strano nel senso che qualunque cosa faccia riesce a trovare sempre il modo di farti restare imbambolato come uno stoccafisso per qualche secondo, nell’unico, semplice tentativo di capire.
Oggi non è diverso dalle altre volte.
“Holmes, posso sapere cosa stai facendo?”
John Watson, insegnante di biologia fresco di cattedra, si ritrova a spalleggiare la scrivania per vedere lo studente peggiore del suo corso chiudere la porta della classe e bloccarla con una sedia come se fosse la cosa più naturale del mondo.
“Lo vede anche lei, professor Watson. Non faccia domande inutili, la prego.”
E ritorniamo allo sguardo imbambolato, giusto perché l’ovvietà della domanda a lui non appare per niente ovvia. “Holmes, potresti gentilmente spiegarmi - “
L’altro lo interrompe con uno sbuffo pesante, gli occhi che roteano prima che riprenda a parlare.
“Lei fa davvero troppe domande che non dovrebbero lasciare la sua bocca, professore.”
Il ragazzo fa qualche passo, le mani in tasca e il viso alto - John si sente improvvisamente in imbarazzo, e l’indice della mano destra strattona con un po’ di prepotenza il colletto della camicia, perché si sente decisamente senz’aria.
Quando Sherlock si ferma, il professore riesce a sentire il suo respiro solleticargli il naso. “Se stai cercando di fregarmi i soldi, sappi che ho giusto due sterline per prendere qualcosa ai distributori, non farai un buon affare.”
“Sa benissimo che non ho bisogno delle sue sterline. Né dei suoi buoni pasto, né delle chiavi della sua macchina. Guidare è noioso, i mezzi pubblici esistono per un motivo, quindi non si preoccupi.”
John non può trattenersi dal sospirare di sollievo; il suo stipendio non è esattamente in grado di salvarlo da eventuali furtarelli, quindi che tutto rimanga nella sua borsa può essere solo una cosa positiva. “Bene. Posso sapere allora perché siamo chiusi qui dentro?”
Sherlock sbuffa contrariato, scuotendo la testa e continuando a camminare; poggia il sedere sulla scrivania, divaricando appena le gambe. “Due mesi, quattro giorni e… tredici minuti, più o meno.”
“… come scusa?”
“È il momento in cui si è reso conto di non potermi staccare gli occhi di dosso.”
Non capisce perché, ma improvvisamente la stanza sembra diventare improvvisamente calda. Non calda come può essere una giornata afosa di metà estate, no, calda come stare dentro un forno a duecentoventi gradi.
Vuole scappare, ma si limita a deglutire e poggiare lo sguardo su - oddio, non ha assolutamente idea di dove guardare.
“Non andare avanti, Holmes. Non capisco perché tu voglia prendermi per i fondelli, ma sarà meglio che tu la finisca qua, prima che siano probl-“
“Non dire così, John.” Lo prende in giro; passa un solo secondo e le dita di Sherlock sfilano la cravatta da dentro il suo maglione, attirandolo tra le sue gambe. C’è così poco spazio tra i loro bacini che John non può fare a meno di guardare e a deglutire ancora, rumorosamente. Molto. Rumorosamente. “Non la sto prendendo per i fondelli, sa benissimo che non è nella mia persona fare una cosa del genere.”
“E allora…”
“Se sta in silenzio e la smette di interrompermi, magari riesco ad arrivare al punto, non crede?”
John è pronto a replicare, ma quando Sherlock strattona di nuovo la sua cravatta e il suo equilibrio diventa precario (un po’ come lui, insomma), si chiede se non sia il caso di urlare qualunque cosa, invece di far entrare uno studente neodiciottenne dentro la sua bocca.
Oh Cristo.
Protesta appena, agitando le braccia e aggrappandosi alle sue spalle. Sta per fare qualcosa, sente il suo corpo tendersi e prepararsi a fare qualunque cosa pur di portarsi lontano da lì, pur di non macchiarsi di qualche terribile violazione del regolamento scolastico, o morale, o che diavolo sia.
Però poi Sherlock geme e l’aria calda dei suoi polmoni gli solletica il palato, ed è così giovane, così magro, così bello…
Lo stringe in vita, senza pensarci troppo. In fondo nessuno li vedrà dalla finestra - terzo piano, albero secolare davanti alla finestra piantato lì apposta per impedire agli studenti di distrarsi e farsi inutili viaggi mentali - e la porta è così ben chiusa che in realtà ha paura di restare chiuso lì per sempre. Ma non gli importa. Quello che gli importa adesso, è che la lingua di Sherlock si sta muovendo, ed è così calda che l’aria si fa improvvisamente irrespirabile. Socchiude le labbra intorno alle sue, seguendo i suoi movimenti e sentendosi estasiato e terrorizzato allo stesso tempo.
Sherlock Holmes. Lì sulla scrivania. E lui è tra le sue gambe. Dev’essere un sogno.
“Non abbiamo molto tempo.” Gli sussurra il giovane sulle labbra. “Per oggi dovremo accontentarci, ma se vuole, quando il suo coinquilino non è in casa, posso venire a trovarla. Lei non può venire da me, vivo in una residenza universitaria. Colleghi di mio fratello.”
Sherlock gli cinge la vita con le gambe, obbligandolo ad aderire al suo corpo. John può sentire distintamente il cavallo dei pantaloni gonfio che struscia contro la sua patta, ed è lì che capisce che non c’è salvezza, che tenderà in ogni modo di mandar via di casa Mike per lasciare spazio a Sherlock, e che l’unica cosa che vorrà nella sua inutile esistenza sarà vederlo nudo e sentirlo gemere e Dio solo sa cos’altro.
Gli bacia il collo, stringendo la pelle diafana tra i denti e succhiando piano poco sopra la spalla, sicuro che la camicia abbottonata nasconderà tutto.
“Presto, John, presto…” geme Sherlock nel suo orecchio. Il mondo va improvvisamente a fuoco: le sue dita corrono a sbottonare altri bottoni, e la bocca a mangiare bocconi di pelle candida, la lingua a leccare, gli occhi a guardare, il cervello ad esplodere.
Non capisce cosa lo ecciti di più, se scoparselo in generale o scoparselo su quella dannata cattedra.
“Cristo Holmes, piantala, o-”
O cosa?
“O cosa? Mi sculaccia? Mi ammanetta? Mi dice che sono cattivo? Posso diventare quello che vuole…” sibila, mentre le mani vanno al cavallo dei pantaloni, stringendo l’erezione da sopra i vestiti. “professor Watson.”
Dio, suona così sbagliato e così meraviglioso allo stesso tempo.
Lascia che Sherlock gli sbottoni i pantaloni, che glieli abbassi appena e che lo manipoli come meglio desidera. La sua mano sembra quasi fredda, contro la pelle arrossata della sua erezione. Se la guarda e si lecca le labbra, gemendo appena quando Sherlock muove la mano fino alla punta.
“Mi piacciono quelli come lei, professore… così grossi, così ben piazzati…”
“Cristo, stai zitto!”
“Quando gridi il mio nome, mentre mi sei dentro…” mormora, abbandonando il suo membro per slacciarsi la cinta, “chiamami Sherlock.”
C’è un’esplosione nel suo corpo. È lontana, sorda, ma vibra per tutto il suo corpo. John non è capace di andare oltre, e prima che Sherlock possa abbassarsi i pantaloni, lui gli si avventa contro, riprendendo le sue labbra e concludendo il lavoro per lui. “Tu chiamami come ti pare.” Gli dice, calandogli i pantaloni fino alle ginocchia.
Sherlock sorride, soddisfatto. Gli prende una mano e gioca con le dita appena ruvide, prima di schiudere le labbra ed accoglierle dentro la sua bocca calda. Mentre la sua lingua si infila tra gli spazi vuoti, i suoi occhi freddi studiano ogni singolo mutamento nell’espressione di John.
Circa cinque secondi e…
“Non ce la faccio più, ti prego.”
È così gratificante, far cedere un uomo maturo.
Sherlock lo lascia libero di fare quel che vuole, sporgendo il petto mentre le braccia si flettono all’indietro, cercando appoggio sulla cattedra. Si china appena, sollevando le gambe e flettendole sul petto. “Qui.” Dice, e John sa assolutamente dove guardare.
Dio, la delizia.
L’idea che la campanella di fine intervallo possa suonare da un momento all’altro lo terrorizza, così che l’unica cosa che il cervello gli ordina di fare è spingi spingi spingi, ignorando qualunque altro pensiero. John si piega sopra di lui, lasciando che le dita umide forzino la sua apertura, Sherlock che si morde il labbro e poggia i polpacci sulle spalle dell’altro.
È rovente. Rovente e morbido e meraviglioso. John spinge dentro un dito fin che può, muovendolo velocemente perché non riesce più a trattenersi, perché l’unica cosa che vuole davvero, adesso, è entrargli dentro e scoparselo finché non avrà più fiato in corpo.
“So che vuole entrarmi dentro. Non si faccia problemi, mi sono preparato prima.”
Sherlock è andato in bagno, dieci minuti prima che suonasse la prima campanella. Sherlock è andato a prepararsi. Per lui. Sherlock era in bagno probabilmente a novanta con due dita dentro che spingevano solo per lui. Sherlock è uno schifoso calcolatore e a lui non può fregargliene di meno, cazzo.
Sfila le dita velocemente, appoggiandosi sulla sua entrata e trattenendo il fiato.
Sherlock non gli da il tempo di godersi il momento; lascia scivolare le gambe alla vita dell’uomo, stringendo forte per farlo entrare con un colpo secco.
Il gemito che esce dalle labbra di John è lungo ed estasiato. Sherlock è più che soddisfatto dell’operato.
“Sono il primo vero, professore?” Gli abbraccia il collo, baciandolo sulla mascella mentre l’altro si spinge dentro lui piano, ascoltandolo a tratti. “Lei non ha mai scopato con un uomo, e adesso sta scopando me.”
John si morde un labbro e annuisce, morendo sulla sua spalla. “Le piace vero? Non sono una donna, sono meglio. Più stretto, più caldo, posso farla morire di piacere, se lo vuole.”
Sherlock stringe appena le natiche, e John si blocca, assieme al suo respiro.
“Lo ha sognato così tante volte, vero? Lo hai sognato, John, di mettermi qui sopra e scoparmi come stai facendo ora…”
John protesta nell’unico modo che conosce, i denti che affondano sul collo e premono per fargli male e impedirgli di parlare ancora. Socchiude gli occhi solo per vedere l’erezione perfetta di Sherlock muoversi assieme alle sue spinte, umido appena sulla punta.
“Lo puoi toccare, se vuoi.”
John stringe la stretta sul suo fianco.
“Toccalo, John.”
“Stai… zitto.”
Sherlock ride tra i gemiti bassi, tirando la testa all’indietro per qualche secondo, e John lo odia. Lo odia perché non può permettersi di dargli ordini, lo odia perché cazzo, sì, muore dalla voglia di stringerlo e obbligarlo a venirgli in mano e mille altre cose che la sua testa continua a produrre e di cui ha paura.
Un brivido gli percorre la schiena, quando le labbra morbide dello studente si poggiano sul suo lobo, liberando un gemito acuto, il suo nome mischiato tra i suoni osceni. “Ti prego John, toccamelo…”
E lì non resiste più.
Quando la sua mano avvolge la sua lunghezza, dalle labbra di Sherlock comincia a sgorgare il Paradiso. Lui geme basso, ma è come se fosse dentro una stanza piena di persone che scopano, perché la sua voce penetra nelle orecchie e rimbomba come la pallina di un flipper per tutto il suo corpo, scendendo lungo la spina dorsale per rimbalzare velocemente sul suo dannatissimo pene in quel dannatissimo corpo. “Così, così… è meglio di-“ si interrompe, gemendo sulla bocca. “Meglio di quanto avessi predetto…”
John non vuole sapere da quanto tempo stesse covando questa cosa.
Il resto è totale confusione, Sherlock che chiama John, John che chiama Sherlock e si morde le labbra mentre stringe forte il pugno contro il sesso del più giovane - Cristo, diciotto anni e la pelle liscia e bianca e meravigliosa e gli occhi di ghiaccio e la bocca che prima voleva riempire di pugni e che ora invece riempie solo della sua lingua. John sente i muscoli tendersi, mentre i gemiti si fanno disordinati e la mano libera affonda in quei riccioli neri che ha sognato almeno mille volte.
Gli serve Sherlock, per venire.
Gli serve Sherlock che lo chiama - lo invoca -, stringendosi alle sue spalle con forza mentre riversa il suo orgasmo nella mano del professore; tiene gli occhi aperti, perché mai e poi mai si perderebbe uno spettacolo del genere. “Sei così bravo…” sussurra, leccandogli il lobo dell’orecchio. “Vienimi dentro, vienimi dentro…”
E John obbedisce, perché sente che non sarà mai capace di fare altro da quel giorno in poi.

La mano di John trema appena, mentre cerca di centrare la serratura dell’auto con la chiave. Nel suo cervello c’è un continuo scambiarsi di battute che da una parte spera di non sentire mai più.
La mano sulla spalla gli comunica, invece, esattamente il contrario.
“Il mio indirizzo.”
John si gira e lo vede, perfetto, algido, impeccabile. Tiene un biglietto tra indice e medio, e glielo porge, abbozzando un sorriso storto.
“Sherlock senti…”
“Mio fratello è odioso, ma è abbastanza influente. Domani l’edificio sarà chiuso per una disinfestazione di cui non ha bisogno. Ovviamente lo so solo io. Quindi, il mio indirizzo.”
“No Sherlock, io-“
“Non dica che è stato un errore, sarebbe un banale cliché da film di quarta categoria. E io non sono un attore di quarta categoria. Il mio indirizzo.” Ripete ancora, e John a quel punto si arrende e prende il biglietto, mettendolo subito in tasca.
Quando rialza il viso, Sherlock è già sparito.

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