Ok, questa fic ha assolutamente ZERO editing, nel senso che l'ho finita nemmeno mezz'ora fa. Per rendere l'idea di quante boiate ci troverete dentro. Mi dispiace, negli ultimi giorni sto facendo fatica a scrivere, e mi sono ridotta all'ultimo per buttare giù questa fic, che è utile per la seconda missione del
COW-T di questa settimana, su
maridichallenge, che scade puntuale a mezzanotte.
Quindi be', agli errori metterò mano in un secondo momento, a mente fredda, tra qualche giorno. Oh, e sarà meglio che avvisi che in genere se ho scritto una boiata lo vedo qualche giorno dopo aver terminato la prima stesura, quindi se è una boiata ancora non lo so. Ma, insomma, parole per i vampiri = Buona cosa. XDD
Questa fic utilizza quattro prompt del Regenbogen Challenge di
grindeldore_ita , ovvero:
Roma, Berlino e Londra (Riga verde);
Fluff (Riga Blu).
Fandom: HP
Rating: PG-13
Personaggi: Albus/Gellert, Aberforth e Ariana en passant
Avvisi: Slash, volendo Characters Death, ma niente di che
Disclaimer: I personaggi appartengono a JKR e le città a loro stesse.
Riassunto: Gellert non ha mai visto una grande città, e ce n'è una che alla fine non vedrà mai, in questa vita.
Un assaggio: "-E dove vorresti andare?- chiede, sforzandosi di non perdere di vista la conversazione per stare dietro al vagare della sua mente.
-Ovunque- risponde Gellert."
Le città dei ricordi
(Roma, Berlino, Londra, Fluff)
1. Godric's Hollow
-Sai cosa mi piacerebbe?-
Albus si gira a guardare Gellert. Sono stesi sul prato vicino al cimitero di Godric's Hollow; hanno parlato per ore dei Doni, prima che Gellert si perdesse a scrutare chissà cosa nel movimento delle nuvole in cielo, e Albus dimenticasse ogni discorso nel suono del suo respiro e nel frinire delle cicale.
Gellert abbassa gli occhi e guarda prima il viso di Albus, poi le loro dita intrecciate sull'erba tra di loro. Stringe un poco la mano di Albus, come se dovesse accertarsi, ancora dopo dieci giorni, che quel contatto così personale sia reale.
-Dimmi- risponde piano Albus.
-Mi piacerebbe viaggiare- dice Gellert, con gli occhi ancora fissi sulle loro mani.
Lontano un cane abbaia; la campagna è tranquilla e sonnolenta, nel pomeriggio estivo. Il paesaggio familiare risveglia lo stesso desiderio in Albus, giorno dopo giorno. Viaggiare e conoscere il mondo è qualcosa che ha sempre desiderato, prima di incontrare Gellert e di spostare molto più avanti i suoi orizzonti.
-Viaggeremo- dice, sicuro. -Godric's Hollow è solo l'inizio. Quando mio fratello si sarà diplomato ci metteremo in cerca dei Doni-.
Gellert scuote piano la testa, con un piccolo accenno di sorriso sulle labbra e gli occhi nuvolosi ancora fissi tra loro.
-Quello è lavoro- dice. -Io stavo pensando ad una vacanza- aggiunge.
Albus non lo capisce, quando parla in quel modo. Sembra che si diverta a spezzargli un discorso in piccole briciole confuse, lasciandolo ad annaspare per capirne il significato reale. Ci si diverte, questo è chiaro; un po' lo prende in giro, un po' lo sfida a seguirlo, a comprenderlo. A volte sembra quasi che anche a lui piaccia semplicemente protrarre all'infinito quelle conversazioni, ed il pensiero scalda Albus più del sole cocente dell'estate.
-Tu sei in vacanza, Gellert- gli fa notare, sorridendo.
-Una vacanza con te, sciocco- risponde Gellert, alzando gli occhi su di lui. Albus chiude un istante i suoi. La frase l'ha colpito profondamente: c'è differenza tra progettare insieme un nuovo ordine per il mondo e progettare una semplice vacanza da fare insieme. C'è una differenza infinita per Albus, che sa di non essere mai riuscito a nascondere a Gellert la sua attrazione, che sa quando Gellert sia disposto a fare per i suoi sogni, e che in fondo teme ancora di non essere corrisposto.
-E dove vorresti andare?- chiede, sforzandosi di non perdere di vista la conversazione per stare dietro al vagare della sua mente.
-Ovunque- risponde Gellert. -Mi attirano le grandi città. Roma, Istanbul, Vienna... persino Londra, o Berlino. Non sono mai stato in una grande capitale- aggiunge.
-Nemmeno a Berlino?- chiede Albus, stupito. -Non sei nato in Germania?-
Gellert ride, divertito e un po' amaro insieme. -Non tutti i tedeschi sono nati a Berlino, Albus- dice, e Albus arrossisce un poco per la frase inappropriata. Gellert gli sorride, come fa sempre quando lo mette in imbarazzo. -Sono nato a Staufen, in piena Foresta Nera- aggiunge. -Berlino è lontana-.
Albus annuisce. -Non ci sei mai stato nemmeno per una vacanza?- chiede di nuovo. Lo affascina ogni cosa che scopre di Gellert, anche la più piccola.
-Troppi Babbani- dice Gellert storcendo il naso. -La zona magica è piccola e la città è pericolosa-.
Albus annuisce. -E' vero- conferma, e Gellert lo guarda stupito.
-Tu ci sei stato?- chiede.
-Quando avevo dieci anni- racconta. -C'è un ospedale magico molto famoso. Mia madre sperava potessero curare Ariana. Io sono andato un po' in giro-.
Gellert lo guarda, avido e un po' invidioso. -Com'è?-
-Più ordinata di Londra e più fredda di Roma- dice Albus. Una vaga idea sta prendendo corpo nella sua mente. Chissà se sua madre ha conservato...
-Sei stato in molti posti- gli dice Gellert. C'è un po' di invidia nel suo tono, ma sorride ancora ad Albus.
-Solo queste città, però- dice piano. -E per poco tempo-, aggiunge, come se volesse scusarsi.
-Un giorno ci andremo insieme- gli promette Gellert, quasi senza pensarci. -Raccontami- aggiunge.
Albus scuote la testa. Si è ricordato improvvisamente di una vecchia scatola in soffitta.
-Domani a casa mia- dice, sorridendo a Gellert. -Devo solo studiare una cosa...- Si alza e scuote l'erba che è rimasta appiccicata ai vestiti. Gellert lo imita, con l'espressione un po' contrariata.
-Un nuovo incantesimo?- chiede.
-Qualcosa del genere- taglia corto Albus, e si sporge in avanti per baciarlo sulla bocca.
Gellert ricambia il bacio dolcemente, sfiorandogli la schiena. Poi Albus si allontana un poco.
-Tra poco sarà ora di cena, mi devo sbrigare- dice. -Ti mando un gufo appena ho finito. Domattina dopo colazione vieni da me-.
Gellert è incuriosito. Si avvicina di nuovo per avere un altro bacio e Albus non glielo nega; ma dopo quell'ennesimo saluto si gira per tornare a casa. Gli secca sempre salutarlo, ma è attirato dalla prospettiva dell'idea che gli è entrata nella mente.
-Domattina!- ricorda a Gellert, correndo verso casa.
-Per fare cosa?- chiede lui, a giudicare dal tono vagamente irritato per il brusco commiato.
-Un piccolo viaggio!- grida Albus in risposta, prima di girarsi e correre a casa, senza rendersi nemmeno conto che rientra puntuale per la prima volta da quando ha incontrato Gellert.
2. Roma
Gellert bussa alla porta di casa Dumbledore l'indomani mattina, con la colazione ancora sullo stomaco e un po' di nervosismo che non riesce a nascondere.
La notte precedente ha dormito veramente poco: fino a tardi lui ed Albus si sono scambiati gufi su gufi, scrivendosi dei Doni e pianificando le loro future leggi nel dettaglio. Ma nemmeno una delle lettere di Albus conteneva indizi sull'appuntamento di quel giorno, per quanto Gellert ne chiedesse.
Un po' lo irrita sentirsi all'oscuro di quello che passa per la testa del suo amico; un po' lo incuriosisce e lo riempie di una vaga eccitazione, come per la verità fa quasi tutto quello che riguarda Albus.
Se non fosse così incredibilmente attratto e affascinato dall'altro ragazzo, Gellert dubita che si sarebbe alzato ore prima del solito per presentarsi a casa di un amico; sicuramente non avrebbe sfidato il rischio di farsi aprire da Aberforth per essere lì il prima possibile.
Invece è Ariana che gli apre la porta, per fortuna.
Gellert la saluta con un educato buongiorno, a cui naturalmente la ragazzina non risponde. Ariana gli fa solo un piccolo sorriso e poi corre via, sparendo in fondo al corridoio dietro la porta della cucina. Vagamente incerto, Gellert entra in casa e si chiude la porta alle spalle.
Si chiede dove si sia cacciato Albus per lasciare sua sorella ad aprire la porta, rischiando che corra in strada invece che in casa, fuori controllo com'è.
Sta per chiamare a gran voce l'amico, quando lo vede affacciarsi in cima alle scale che portano alle camere da letto.
-Gellert? Sali- gli dice, e Gellert lo raggiunge velocemente, incuriosito dal suo tono allegro ed entusiasta.
Albus lo fa entrare nella sua stanza. Gellert non ci è mai stato prima, ma l'ha immaginata spesso, ogni volta che Albus deve tornare a casa e lui vede la sua finestra illuminarsi. Più o meno è come la pensava: piccola e ordinata, con un'intera parete coperta di scaffali ingombri di libri, fin sopra la testata del letto, e una piccola scrivania sotto la finestra aperta, un po' traballante e sporca di inchiostro.
Quello che non immaginava di certo è il grosso bacile di pietra posato sulla scrivania. E' un oggetto bizzarro, troppo grande e pesante per servire solo per lavarsi.
-Ti piace?- gli chiede Albus, con gli occhi che splendono dietro le lenti degli occhiali. -Era di mio padre-.
Gellert annuisce un poco, di riflesso. -Che cos'è?- chiede. Albus sorride con l'aria del gatto che ha mangiato il canarino.
-Questo è un Pensatoio- dice, semplicemente.
Gellert sgrana gli occhi: ha sentito parlare di quegli oggetti; sono piuttosto rari e molto costosi.
-A cosa serve?- chiede Gellert, sfiorando istintivamente con le dita la superficie di liscia pietra, percependo decisamente la magia che contiene.
-A riversare i ricordi, e poterli vedere dall'esterno- risponde Albus, accademico come suo solito. Da una tasca della veste da casa estrae tre piccole fialette da pozioni, piene di una sorta di fumo perlaceo che non fa che agitarsi.
-Questo lo so- risponde Gellert, appena seccato che l'amico lo creda così ingenuo, dopo tutto. -A cosa serve a noi- aggiunge, guardando Albus e scaldandosi un poco al suo sorriso.
-A fare un piccolo viaggio- risponde Albus, porgendogli le fialette. -Questi sono i miei ricordi di Londra, Roma e Berlino. Dove vuoi andare, Gellert?-
Gellert lo guarda, incredulo e sconcertato. E' una proposta strana, quella di Albus: visitare una città in un ricordo è qualcosa che Gellert non aveva mai pensato di poter fare. Un modo assurdo di viaggiare, forse. Però l'idea lo tenta, come lo tenta, sempre, fare qualcosa con Albus, anche una semplice passeggiata nella brughiera.
E vedere finalmente qualcosa di diverso dalla provincia in cui è sempre stato confinato lo attira; probabilmente non sarà come esserci veramente, in quei luoghi affascinanti. Ma c'è tempo per visitare qualsiasi città, e ci sarà un tempo in cui le capitali di tutta l'Europa si inchineranno a loro e apriranno le loro porte ai nuovi padroni del mondo. Per il momento, Albus gli sta offrendo un piccolo viaggio nella sua mente, e Gellert sorride, tendendo una mano verso quella di Albus e le fialette dei suoi ricordi.
-Roma- dice, d'istinto. La città più lontana, più antica ed affascinante in cui Albus sia stato. -Quando l'hai visitata?-
Albus sorride, posando due fialette sulla scrivania e stappando la terza.
-L'estate scorsa- risponde Albus. -Un corso estivo al Dipartimento di Cooperazione Internazionale- spiega, versando nel Pensatoio il ricordo fumoso. Nel bacile si disperde una sostanza argentea, e Gellert la osserva, chiedendosi se sia liquida o solida, in realtà. Pensieri concreti, pensa vagamente, misurabili, manipolabili... La sua mente si distrae nelle possibilità di utilizzare qualcosa del genere, come sempre, finché Albus non gli prende la mano, e la sua attenzione ritorna prepotentemente a concentrarsi sull'amico.
-Sei pronto?- chiede Albus.
Gellert esita un istante. -Non troveremo ricordi di te con un bell'italiano, lì dentro?- chiede.
Albus ride. -Ho selezionato i ricordi con cura- dice, ironicamente. -Non c'è nulla del genere. E ti ho risparmiato anche le ore di noiose conferenze e i miei crampi alla mano a furia di prendere appunti. E' solo una passeggiata per la città, fatta in un momento libero- spiega.
Gellert lo guarda negli occhi. Albus lo sta prendendo in giro, che è qualcosa che Gellert Grindelwald non permetterebbe mai a nessun altro di fare. Si sorridono per un istante.
-Prontissimo- risponde Gellert, emozionato dalla prospettiva del finto viaggio quasi quanto dalla mano di Albus nella sua.
-Andiamo, allora-.
Roma è splendida.
Il ricordo inizia nel tardo pomeriggio, ma l'estate è piena e la città deve essere stata insopportabilmente calda, a giudicare dall'aria sconvolta e sudata di cittadini, turisti e cavalli.
Gellert si guarda intorno estasiato fin dal primo istante.
Sono sulla riva del Tevere, circondati da uomini e donne elegantemente vestiti che sfruttano l'ombra degli alberi per trovare un po' di frescura al riparo dalla canicola. Nessuno dei presenti fa caso ai ragazzi che sono improvvisamente spuntati sul marciapiede affollato, tenendosi per mano in maniera disdicevole. Nessuno li vede, in quel ricordo.
Invisibili in mezzo alla gente; Gellert è affascinato dall'idea.
Albus gli tira la manica, leggermente, e quando Gellert si volta verso di lui indica qualcuno poco più avanti.
In mezzo alle giacche degli uomini e alle sottane fruscianti delle donne imbellettate, gli abiti scuri e semplici di un altro Albus, appena un anno più giovane, spiccano come fuori posto. Nessuno sta guardando loro; ma più di una persona osserva incuriosita il ragazzo con i capelli rossi, chiaramente straniero, giovane ed eccentrico.
-Ti fai notare- commenta Gellert.
Albus ridacchia. -Mi sono mimetizzato anche abbastanza bene- risponde. -Guarda lì-.
Un uomo alto si avvicina ad Albus e gli parla brevemente. E' vestito da Babbano, ma tutte le teste si girano comunque verso di lui visto che, sopra il panciotto e la giacca ineccepibili, indossa un buffo copricapo di lana gialla e rosa.
-Quello era il mio capo- dice Albus, e Gellert scoppia a ridere.
Vede l'Albus più giovane dire qualcosa sottovoce all'uomo, che arrossisce e si toglie il berretto, sorridendo vago ad una signora che lo guarda sbigottita.
L'Albus più giovane sorride, e tutto intorno la folla, lentamente, torna ad i propri affari e alle conversazioni nella lingua dolce e musicale che Gellert non capisce.
-Andiamo,- dice Albus a Gellert. -Seguiamolo-.
Indica se stesso, ed è un po' sconcertante.
-Stiamo seguendo te- commenta Gellert, divertito dall'equivoco linguistico, mentre si incamminano.
Albus lo prende a braccetto e ride. -Hai ragione, naturalmente- dice. -Non ero mai stato in un ricordo. Ma possiamo guardarci in giro, Gellert. Non succederà niente di interessante, a parte me che vago per la città-.
Gellert annuisce e si rilassa, pronto a godersi le vie eleganti del centro ed ogni dettaglio di quella città carica di arte e storia. Senza altra meta che seguire la loro inconsapevole guida, Albus e Gellert si addentrano del cuore di Roma. Alcune strade sono larghe e luminose; altre sono strette, quasi vicoli, con le imposte aperte sulla strada e le massaie che si scambiano pettegolezzi dalle finestre spalancate, senza sapere che Gellert lancia un'occhiata in ogni casa, curioso ed interessato.
Il giovane Albus girovaga per quasi due ore per la città. Con la curiosità che è sempre stata tipicamente sua, Albus si ferma ad ammirare ogni residuo dell'antico impero, con grande gioia di Gellert che non chiede altro che poter fare altrettanto. Davanti a loro si svelano le meraviglie in rovina dell'antica città, così come i Caffé gremiti di giovani intellettuali e gli occasionali musicisti agli angoli delle strade. Gellert osserva ogni dettaglio, desiderando poter infrangere il limite magico di quell'esperienza e godersi anche i profumi e la consistenza della città, anche a costo di dover sopportare l'afa a cui lui ed Albus sono immuni.
La passeggiata si conclude infine sul prato di fronte all'imponente Colosseo. Gellert stringe la mano di Albus mentre il ricordo di lui si siede sull'erba, abbracciandosi le ginocchia e sbirciando il famosissimo monumento, pensieroso.
La sera è quasi calata e sono stati accesi i primi lampioni; le carrozze passano nella via e c'è in giro meno gente di prima.
-Possiamo entrare?- chiede Gellert, affascinato dalla costruzione imponente di cui ha tanto sentito parlare.
Albus però scuote la testa. -Il ricordo sta per finire- dice, con un pizzico di rammarico. -Non ci sono entrato- ammette.
C'è qualcosa di vagamente triste nel suo sguardo e anche nel sorriso allegro che rivolge a Gellert.
-Come mai?-
Albus scuote la testa. -Forse aspettavo il momento di visitarlo con te- risponde Albus, scherzando.
Gellert gli accarezza una guancia. -Non è che lì dentro hai incontrato il bell'italiano che mi tieni nascosto, vero?- lo provoca. Albus ride.
-Come ti viene in mente?-.
Per tutta risposta Gellert lo bacia sulla bocca. Gli tira piano una ciocca di capelli per fargli abbassare il capo e poter approfondire il bacio; Roma e le sue meraviglie scompaiono in quella sensazione inebriante che ormai collega immediatamente alla bocca di Albus. -E' un posto molto romantico- dice, quando si separano, e Albus lo bacia di nuovo, più dolcemente e leggermente.
-Non lo era senza di te- dice, e Gellert non può evitare che gli si formi un sorriso sciocco sulla faccia.
E il ricordo finisce improvvisamente, catapultandoli di nuovo nella stanza di Albus.
3. Berlino
-Accidenti- esclama Gellert, senza fiato dopo il brusco atterraggio maldestro sul pavimento di legno.
Albus lo afferra per un braccio e lo tira in piedi. E' come se fossero riemersi da un tuffo, improvvisamente. La sua stanzetta a Godric's Hollow sembra minuscola e fredda, dopo la luce del tramonto sul Colosseo e la calura che ricorda in quel giorno a Roma.
E' stato un viaggio breve, pensa, ma è comunque estremamente soddisfatto della sua idea, e compiaciuto dell'espressione incantata ed assorta che è fiorita sul viso di Gellert man mano che il ricordo di Roma si svelava davanti a lui. Albus vuole rifare quel viaggio con Gellert, veramente. Eppure apprezza la libertà della passeggiata nel ricordo, mano nella mano, come non potrebbero fare al di fuori dei confini di pietra del pensatoio.
Gellert si siede sul letto di Albus, quasi senza fiato per il brusco ritorno a Godric's Hollow; ad Albus in quel momento sembra di poter leggere i suoi pensieri, anche senza la Legimanzia ad aiutarlo. Una parte di Gellert sta assaporando l'esperienza che hanno appena fatto, cercando di trattenere i dettagli di ogni paesaggio e monumento che hanno visto anche solo di sfuggita; un'altra parte di lui si proietta già verso la successiva avventura.
La mattinata è ormai inoltrata. Albus esita un attimo, pensando fugacemente al pranzo e ai suoi doveri; ma la curiosità con cui Gellert osserva le due fialette rimaste sulla scrivania lo induce a pensare che dopotutto Aberforth può ben arrangiarsi per una mattina.
-Londra o Berlino?- chiede all'amico.
Gellert lo guarda un istante.
-Scegli tu, questa volta- dice.
Albus sorride. -Berlino, allora- decide. -Teniamo il meglio per ultimo- aggiunge.
Gellert si alza, pronto al nuovo viaggio.
Albus ripone con cura nella fialetta il ricordo di Roma, e riversa quello più antico e confuso di Berlino nel Pensatoio.
Poi tende la mano a Gellert e insieme si chinano verso la nuova avventura che gli attende.
Forse la sensazione è acuita dal contrasto con la luce calda di Roma al tramonto, ma la mattina a Berlino dà ad Albus una sensazione di freddo che non ricordava. E' passato parecchio tempo; lui si guarda intorno, incuriosito quanto Gellert dall'ambiente e da tutte le cose che da bambino non aveva notato della città.
Si trovano fuori da una baracca poco raccomandabile ed anonima, alle porte del Ghetto, che in quella città rappresenta l'ingresso nascosto al quartiere magico, come a Londra fa il Paiolo Magico. Sulla soglia Albus vede se stesso bambino ascoltare controvoglia le raccomandazioni di sua madre, prima che lei, Aberforth e Ariana si rechino all'appuntamento con il guaritore tedesco che sperano possa curare la bambina. Albus ricorda di essersi impuntato, quel giorno, per poter fare una passeggiata da solo, e di aver strappato il permesso alla madre dopo un lungo capriccio; ricorda anche la sensazione di indipendenza infinita provata in quel momento: girovagare per Berlino non è certo la stessa cosa che andare dove vuole a Godric's Hollow. Albus sorride di se stesso, della propria antica ingenuità.
Eppure, guardando Gellert che guarda la scena con interesse, si chiede quanto sia veramente cambiato da quel bambino curioso: continua a desiderare spingersi oltre i limiti della vita di campagna da cui proviene, così come Gellert desidera sfidare le leggi comuni per creare qualcosa di più grande. Quella similitudine lo fa sentire incredibilmente vicino all'amico, e molto meno egoista: i loro scopi sono più grandi, semplicemente, di quelli chi sta loro intorno.
Il piccolo Albus rimane finalmente solo; l'Albus più adulto e Gellert lo seguono.
Se a Roma Gellert si era perso ad osservare ogni dettaglio, Albus nota che ora, nella sua Germania, il suo atteggiamento è diverso.
Gellert guarda la gente, ed Albus ci mette poco a capire perché: sta ascoltando.
La città è rigida ed imponente come le sillabe aspre che Albus non capisce se non a sprazzi sporadici; decisamente, pensa, deve imparare il tedesco, prima o poi.
Ma Gellert ascolta le voci. Albus non ricordava di averlo fatto, e si sorprende quando il bambino che fa loro da guida si ferma ad osservare incuriosito un gruppo di uomini sporchi e laceri che discute a gran voce vicino ad una fontana pubblica. Nessuno dei due Albus comprende la discussione; ma quello più adulto nota la rabbia sul viso di diversi degli uomini, e la sua maggiore esperienza gli fa intuire una decisa connotazione politica nel loro modo di fare.
-Sfruttati, massacrati di lavoro- borbotta Gellert, che non sta perdendo una sillaba della conversazione.
Albus lo guarda, incuriosito.
-Stanno parlando dell'Impero- spiega Gellert. -Qui sta succedendo qualcosa- aggiunge.
Ed in effetti gli animi degli uomini si stanno scaldando. Qualcuno alza minaccioso i pugni nella discussione, un uomo con un accento diverso interviene e viene zittito dai vicini.
Gellert osserva la scena con grande interesse, la mente probabilmente proiettata nelle dispute politiche locali, che sembrano affascinarlo nonostante chiaramente siano interamente babbane; tuttavia l'Albus decenne che stanno seguendo prudentemente si allontana dalla folla che si sta radunando, e l'Albus adulto tira per una manica Gellert, che lo segue dietro al bambino.
E' pensieroso per tutto il resto della breve visita in città; Albus se ne accorge quando degna di un'occhiata appena l'imponente forma della Porta di Brandeburgo che si erge davanti a loro e che, ricorda bene, da bambino gli aveva fatto dimenticare quasi completamente l'incomprensibile discussione a cui aveva assistito poco prima.
Il viaggio nella memoria di Albus prosegue ancora per poco, mentre il bambino, visibilmente rattristato, si affretta a tornare indietro dopo la breve visita alla città.
Loro lo seguono, tenendosi per mano come se ormai fosse diventata una cosa normale e permessa; Albus vede Gellert allungare il collo quando ripassano dalla piazzetta in cui si sono fermati durante il percorso all'andata, ma la folla ormai si è dispersa e non c'è da vedere nulla di più interessante di una vecchia che attinge l'acqua con un secchio sbeccato.
Infine, proprio quando l'Albus bambino si ferma a bussare alla catapecchia che lo riporterà nel mondo magico, il ricordo finisce bruscamente ed i profili distanti dei tetti del Ghetto si trasformano improvvisamente nei mobili della stanza di Albus.
4. Londra
Dalla faccia di Albus si direbbe che Berlino per lui sia stata una delusione. Ed in effetti è stato un viaggio breve, ma Gellert l'ha trovato anche straordinariamente istruttivo, da un punto di vista molto diverso da quello di un comune turista.
La città innegabilmente tedesca non l'ha particolarmente colpito; ma lo spirito di cambiamento che ha avvertito nella gente gli ha dato da pensare. Comincia a chiedersi se, debitamente sfruttati, i Babbani non possano rappresentare un aiuto anziché un ostacolo per i suoi piani. L'idea è interessante, soprattutto perché coincide incredibilmente con certi discorsi ricorrenti nelle lettere di Albus. Quell'ora scarsa in giro per Berlino ha fornito a Gellert diverse idee che potrebbero in futuro rivelarsi vincenti.
Vorrebbe parlarne subito con Albus; nell'impazienza di realizzare il grande disegno che vede davanti a loro è distratto quasi al punto di scordarsi della terza fialetta in attesa sulla scrivania.
Guarda Albus e fa per parlare; ma qualcosa nel suo sorriso gli dice di aspettare ad affrontare quel discorso. Dopotutto Albus ha organizzato quella giornata per lui, e sarebbe un peccato rovinargli il divertimento della vacanza.
C'è tempo, pensa. Hanno tutto il tempo del mondo, perché Albus non lo lascerà come capita in alcuni dei suoi incubi: hanno trovato l'uno nell'altro ciò che li completa, e da quell'unione possono solo nascere meraviglie.
Così sorride ad Albus ed indica l'ultima fiala. Londra li attende.
Ma naturalmente Aberforth sceglie esattamente quel momento per disturbarli.
Quando spalanca la porta e comincia a sbraitare per ricordare ad Albus i suoi stupidi doveri Gellert sente, non per la prima volta, il bisogno di Schiantarlo in maniera quasi fisica. Non sopporta Aberforth: è un marmocchio arrogante ed ignorante, privo della grazia e della genialità del fratello. Non sarà mai nemmeno lontanamente utile per i loro piani; Gellert sa che non farà altro che mettere loro i bastoni tra le ruote, almeno finché Albus non sarà pronto a tagliare definitivamente i ponti.
Gellert non vede l'ora.
Albus è irritato per l'interruzione, ma una volta richiamato seccamente ai suoi doveri, non può ignorarli, e Gellert lo sa e si arrende all'idea che dovranno rimandare il viaggio a Londra a quel pomeriggio, mentre Albus si occupa dei suoi fratelli.
Quando Aberforth esce, velocemente e con la stessa espressione disgustata di quando è entrato, dalla stanza di suo fratello, Albus si gira verso Gellert, rivolgendogli un piccolo sorriso, come a volersi scusare per la brusca interruzione. Gellert lo vede sfiorare con le dita la fialetta rimasta, quella che contiene i ricordi di Londra.
-E' quella che volevo farti vedere più di tutte- mormora Albus, quasi tra sé. -Forse è il mio sangue inglese, ma Londra è la mia città-.
Gellert annuisce. L'aveva capito da solo.
-Com'è?- chiede.
Albus lo guarda con un enorme sorriso sulla bocca e negli occhi azzurri. -Grandissima, intelligente e caotica- risponde. -Più o meno come te- aggiunge, imporporandosi un poco.
Gellert ride e gli si avvicina per baciarlo. Albus ricambia il bacio con intensità, incorniciando il viso di Gellert con le dita e scivolando più vicino. Gellert gli sfiora la schiena e i fianchi, di nuovo perso nel suo odore e nella sensazione della sua pelle.
Con un pizzico di rammarico si separano.
-Mi sarebbe piaciuto poter vedere Londra con te- bisbiglia Albus, con gli occhi ancora chiusi.
-Oggi pomeriggio- gli promette Gellert. -E poi ci andremo davvero, Albus-.
Albus annuisce, e Gellert si sente sicuro, in quel momento, che vedrà Londra per la prima volta con Albus. Semplicemente, non quella mattina.
-Ci vediamo nel pomeriggio?- chiede Gellert. -Oppure vuoi far venire un colpo a tuo fratello ed invitarmi a pranzo?- scherza.
Albus però lo prende sul serio.
-Puoi fermarti davvero- gli dice.
Gellert è tentato, ma teme che l'astio di Aberforth provochi qualche sgradevole litigio. Albus però sembra deciso.
-E' assurdo che in casa mia non possa ricevere chi mi pare- dice, ancora visibilmente irritato dal comportamento del fratello. -Fermati a pranzo-.
Gellert scuote la testa. E' difficile dire di no quando Albus è così convinto, e deve ammettere di condividere la vena provocatoria dell'amico, ma gli sembra stupido rischiare una stupida discussione e rovinarsi la giornata per qualcosa di così sciocco come una ripicca da poco. Anche se Albus ci tiene davvero.
-Potremmo parlare di Londra- gli dice lui, tentandolo con un sorriso.
-Oh, perché no?- cede Gellert alla fine, più per gli occhi di Albus che per qualsiasi altro motivo.
Insieme, mano nella mano come se fossero ancora a spasso tra i ricordi, scendono le scale scricchiolanti ed entrano in cucina. Ariana li accoglie con un sorriso vago, solo marginalmente consapevole della loro presenza. Aberforth avvampa di rabbia, con gli occhi puntati sulle loro mani, e immediatamente comincia a sbraitare contro suo fratello. Difficile ricordare quello che dice davvero, dopo. Difficile ricostruire quanto succede, così in fretta da lasciare tutti storditi e sconvolti.
Solo, improvvisamente un insulto è di troppo, troppo pesante o troppo stonato, e Gellert sfodera la bacchetta, per spaventare o minacciare, non lo sa nemmeno lui.
Quello che segue cambia tutto.
Il ricordo di Londra viene completamente dimenticato.
5. Nurmengard
La maggior parte degli effetti personali di Gellert Grindelwald, i suoi libri, la sua scarsa corrispondenza privata, i ninnoli di poco valore che decoravano il suo studio, gli sono stati consegnati nella sua cella a Nurmengard.
Albus è stato consultato sulla decisione, e le sue parole sono state ascoltate, come in quei giorni vengono ascoltate da chiunque. Che senso avrebbe, ha spiegato pazientemente agli Auror zelanti, privarlo di quelle cose innocue? Più un uomo odia la sua prigione, più ha interesse a fuggirne.
Tuttavia è stata riempita una scatola con quegli oggetti di Grindelwald considerati troppo pericolosi per tornare in suo possesso; le autorità, concordi, affidano ad Albus Dumbledore quello di cui non sanno come disporre.
E' tutto molto semplice, logico e doloroso: nessuno tranne Albus, che l'ha sconfitto, ha diritti sulle cose private del dittatore; ed è necessaria la garanzia che alcuni oggetti non diventino reliquie per i suoi fedelissimi ancora sparsi per l'Europa.
Albus, stanco e provato dagli ultimi giorni, vorrebbe accettare la scatola, relegarla in qualche angolo di casa sua e dimenticarsene per sempre. Sarebbe la cosa più saggia da fare; tornarsene in Inghilterra e semplicemente dimenticare tutto quello che è accaduto, e Nurmengard e Gellert allo stesso tempo.
Ma non è mai stato il suo modo di agire.
Lasciarsi quel capitolo alle spalle somiglia ad un lutto, e per farlo non può evitare di provare tutto il dolore che deve, che merita, anche, per lasciarlo spurgare.
Così apre la scatola quando ancora è a Nurmengard, due piani sotto la cella dove Gellert vivrà da quel momento e per sempre.
Dentro ci sono poche cose. Una Mano della Gloria, raccapricciante ed utilissima; un orologio da taschino, innocuo di per sé, ma fatto per segnare non l'ora, bensì la situazione politica di ciascuno stato dell'Europa; poi quaderni su quaderni scritti nella grafia sbilenca di Gellert, pieni di appunti, tattiche e bozze di lettere. Su ciascuna copertina, il simbolo dei Doni prende in giro Albus con i ricordi che si porta dietro.
E infine, la scatola contiene il grosso diario di Gellert, quello in cui, giorno dopo giorno, lui annotava i suoi progressi e i suoi successi. E' chiuso da una stringa magica, incantata, e gli Auror evidentemente non sono riusciti ad aprirlo. Albus lo prende in mano, pensieroso. Riflette un attimo, poi tocca il complicato nodo con la punta della Bacchetta di Sambuco.
-Per il bene superiore- mormora, e il nodo si scioglie come fosse dotato di vita propria.
Albus sfoglia le pagine, soffermandosi ogni tanto ad osservare un'annotazione interessante; quel libro sarà estremamente utile agli Auror per rintracciare ed abbattere anche le ultime sacche di resistenza che adesso impazzano in Europa, prive della guida del loro capo, ma non certo meno pericolose.
Sta per chiudere il volume e consegnarlo ai due Auror di guardia, quando qualcosa attira la sua attenzione.
In cima ad una delle ultime pagine c'è il suo nome, scritto come la sua vecchia firma di ragazzo, con il triangolo del Doni al posto della A e gli svolazzi di cui la riempiva quando scriveva a Gellert. Imitata molto bene, pensa Albus, con un pizzico vago di nostalgia che sceglie di ignorare.
La pagina è magicamente incollata a quella successiva, a formare una sorta di busta mimetizzata perfettamente tra le pagine del libro stesso. La carta è spessa, ma ugualmente Albus sente che all'interno c'è qualcosa; altri fogli, sembra, piccoli e rigidi, come fotografie.
Incuriosito tenta di separare le due pagine, ma non è così semplice. Un incantesimo protegge l'integrità della busta. Albus sfiora con la bacchetta la carta, esitando un attimo, cercando di ricordare come funziona la mente di Gellert abbastanza da trovare anche quella parola d'ordine; dovrebbe riuscirci, perché dopotutto sembra che quella busta sia lì per lui. Un ricordo gli passa vagamente per la mente, poco più di una vaga intuizione.
-Godric's Hollow- sussurra alla fine.
La busta si apre.
All'interno ci sono solo tre cartoline babbane, vecchie ed ingiallite.
La prima ritrae il Colosseo, la seconda la Porta di Brandeburgo. Sul retro di entrambe Gellert ha scritto le stesse parole.
Albus ha voglia di piangere quando legge Non è la stessa cosa senza di te, scritto di suo pugno da Gellert con il vecchio inchiostro blu che Albus gli aveva regalato, mezzo secolo prima. Per qualche minuto guarda le cartoline, ricordando il viaggio dentro un ricordo, poco prima che finisse tutto in tragedia.
L'ultima cartolina è rovinata come se fosse stata maneggiata molto più spesso delle altre due. L'immagine vagamente sfocata è del Tamigi, presa da un angolo che Albus conosce bene e in cui ama fermarsi quando si trova a Londra, sforzandosi di non immaginare un vecchio ricordo che non ha mai più visitato.
Sul retro c'è di nuovo una scritta. Dice Un giorno ci andremo insieme.
Albus la fissa per un lungo momento, lasciando che la sera cali su Nurmengard senza disturbarlo.
Poi mette in tasca le cartoline, chiude la scatola ed esce dalla fortezza senza guardarsi indietro, salutando educatamente le guardie ed allontanandosi in fretta verso i confini oltre i quali potrà Smaterializzarsi.
Non andranno insieme a Londra, in quella vita, ed Albus lo sa benissimo.
Tuttavia quei vecchi ricordi, insignificanti davanti a tutto quello che è successo nei giorni e negli anni che hanno seguito quel pomeriggio tranquillo, gli hanno dimostrato che forse, in fondo, in Gellert c'era davvero altro oltre alla mera ambizione del conquistatore. E che forse non è finita.
Forse non in quella vita, ma Albus sente che lui e Gellert hanno ancora qualcosa da dirsi.
6. King's Cross
Gellert lo vede immediatamente, e non poteva essere diversamente.
Si sono scritti fino al giorno in cui lui era morto. Si sono promessi di ritrovarsi, dopo. Si sono aspettati per anni.
E finalmente ci sono.
-King's Cross- dice come prima cosa Gellert, e Albus gli sorride.
-Un buon punto di partenza- risponde.
-Possiamo...?- chiede Gellert.
Albus annuisce. -Possiamo fare tutto quello che vogliamo-.
Gellert gli prende la mano, giovane come quell'estate lontana nel tempo ed ormai anche nello spazio, probabilmente.
-Dove andiamo?- chiede.
-Ricominciamo da dove ci siamo interrotti- risponde Albus. -Londra ci aspetta-.
Gellert si stringe di più a lui e si incamminano insieme, lasciandosi alle spalle la stazione, verso una nuova, grande avventura.