Sto un po' trascurando questo coso. Volevo postare qualcosa in questi giorni, ma sono stata poco on line, e così stanotte mi rifaccio.
Capitolo. Stavolta si tratta di un capitolo cardine della storia, o almeno, quella era l'idea. Poi c'è Salazar che ha manie di protagonismo, e chiaramente mi è venuto fuori tutto sbilanciato, ma farà lo stesso. E' Salazar, non riesco ad avercela con lui. ^^
Ok, be', dopo la fondamentale premessa, direi buona lettura.
Un Assaggio: "Godric trovò Salazar nelle sue stanze, anche se era solo metà pomeriggio. All'inizio pensò che non ci fosse, perché nessuno gli rispose, quando bussò. Poi, guardando all'interno, vide che Salazar era steso nel suo letto, e sembrava dormire. Il mago si avvicinò al giaciglio, indeciso se svegliarlo o lasciargli godere di quel momento di riposo; ma, osservandolo da vicino, si rese conto che il suo non era un tranquillo sonno ristoratore. "
Capitolo precedente:
Capitolo XIV Sogno a quattro
-...Se orientiamo in questo modo lo scudo, e se ha ragione questo testo, pensi che possiamo riuscire a schermare la strada dalle intrusioni? E' il tuo campo, non il mio. Salazar?-
Stavano lavorando ormai da due ore ai nuovi sistemi di protezione da adottare quella primavera, ed era ormai notte fonda. Era sempre così, e Godric lo sapeva: ogni lavoro che non avesse una priorità immediata finiva per essere rimandato di ora in ora, e potevano discutere a lungo di quel genere di dettagli solo sottraendo tempo al riposo.
Godric era stanco, faticava a mettere a fuoco le scritte che aveva davanti, nella luce insufficiente della candela, e gli doleva la schiena. Salazar, di fronte a lui, aveva gli occhi cerchiati di nero, e lo guardava da sotto le palpebre per metà abbassate, sostenendosi la testa con una mano.
-Salazar?-
Godric non ottenne risposta. L'altro mago non sembrava appisolato, né banalmente distratto. Sembrava, forse, perso in qualche strana visione, o dietro a qualche pensiero così intenso da avergli fatto scordare il lavoro che stavano facendo.
Godric tese una mano attraverso il tavolo ingombro di carte e libri, e gli scosse piano una spalla. Salazar rientrò in sé, sussultando.
-Dormivi?- gli chiese Godric, sorridendo e stiracchiando sonoramente i muscoli contratti dall'immobilità, pensando che tutto sommato quel lavoro poteva aspettare un paio di giorni.
Salazar, scuro in volto, scosse il capo.
-Mi fa male la testa.- rispose.
Godric lo osservò un istante. A parte l'evidente stanchezza, il suo viso era pallido, sotto l'ombra di barba, e per la prima volta si accorse che negli ultimi tempi sembrava dimagrito, appena un poco, ma abbastanza da far risaltare particolarmente gli occhi pesti. Gli tremavano un poco le mani, notò Godric.
-Vai a riposare.- gli disse dolcemente. -Mi sembri molto stanco.-
Salazar sorrise appena, e si sporse a sfiorargli una mano con le dita.
-Come lo siamo tutti. Ma sì, oggi è stata una giornata pesante.-
Si alzò dal tavolo e si diresse verso il proprio letto, lanciando qua e là per la stanza gli abiti, man mano che li toglieva, senza curarsi dell'ordine che in genere amava mantenere nelle sue stanze.
-Preferisci che io vada a dormire di sopra?- gli chiese Godric, incerto. -Non voglio disturbarti.-
Salazar si girò a guardarlo di sfuggita, con una specie di smorfia sul volto che poteva essere il sorriso di una persona molto stanca.
-Non essere sciocco.- rispose, semplicemente.
Godric si svestì rapidamente, e si infilò sotto le coperte, abbracciando il suo amante che sembrava già addormentato, o quasi. Gli sembrava vagamente che Salazar stesse covando qualche malanno, pensò. Ma si addormentò prima che quell'idea gli riempisse la mente di quelle preoccupazioni che, sapeva, avevano il potere di tenerlo sveglio. Scivolò nel sonno rapidamente, prima di potersi abbandonare anche alla più semplice riflessione.
Non dormì a lungo, tuttavia.
Si svegliò, da qualche parte nelle ore più buie della notte, per un grido di Salazar. Non era una cosa inusuale, anche se non capitava troppo di frequente, che uno dei suoi incubi notturni li svegliasse entrambi. Godric lo strinse, come aveva fatto parecchie volte prima di quella notte, e gli accarezzò i capelli e le spalle, confortandolo come poteva, sussurrandogli di stare tranquillo, di dormire.
Lentamente, il respiro di Salazar tornò regolare, e l'espressione di ansioso orrore sul suo viso si rilassò, pian piano. Chiuse gli occhi, dopo poco, sussurrò qualcosa di incomprensibile, e si addormentò, senza parlare con Godric. Spesso capitava dopo i suoi incubi, che crollasse sfinito non appena si allentava la presa della sua paura, evocata da quelle visioni sconosciute.
Per quanto ne sapeva Godric, nelle notti come quelle lui nemmeno ricordava di aver sognato. Senza dubbio, pensò Godric, stanco, risistemandosi al suo fianco, quelle erano notti erano migliori delle altre, in cui gli incubi lo costringevano a vegliare, tremante, per ore.
Ma qualcosa, sotto la stanchezza che lo stava facendo assopire, a Godric sembrava decisamente sinistro. Salazar aveva insistito per lavorare quella notte, e poi si era quasi addormentato sul tavolo. Aveva detto di non sentirsi bene. Potevano essere i suoi sogni, la causa di quel malessere? Oppure, si chiese Godric, che Salazar stesse privandosi del sonno, spaventato dalle sue visioni?
Dovevano parlarne, e presto, decise, arrendendosi al sonno.
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-Fatti dire cosa lo turba. Forse con te ne parlerà.-
Godric sospirò. Da qualche giorno, dall'ultima sera in cui lo aveva svegliato urlando, Salazar sembrava stare decisamente peggio. Era pallido, debole, e spesso non riusciva a terminare i suoi compiti giornalieri; non permetteva più a Godric di fermarsi a dormire nelle sue stanze, e probabilmente questo significava che aveva incubi frequenti, più del solito.
Di giorno era particolarmente scontroso e intrattabile, al punto che Helga si era sentita in dovere di intervenire.
-Non vuole, e tu sai quanto sia difficile fargli dire qualcosa, se non è lui a desiderare di parlarne. Non credo di farcela.-
Helga lo guardò fisso negli occhi per un istante, poi, inspiegabilmente, sorrise.
-Avrei giurato che fosse un osso più duro Rowena, eppure con lei ci sei riuscito.-
Godric accusò il colpo, sussultando appena. Non era stato per nulla indolore convincere Rowena a confidarsi con loro e a raccontare il suo passato. E quell'allusione era decisamente un colpo basso, da parte di Helga, perché nonostante l'effetto ottenuto, Godric per quella storia si sentiva ancora in colpa come un ragazzo sorpreso a commettere qualche marachella.
Ma se Salazar non era malato, almeno fisicamente, al momento, sembrava chiaro che lo sarebbe diventato presto, se continuava così, e tutti erano preoccupati; soprattutto Helga, a cui era affidata la cura di ogni abitante del castello.
-Quella volta mi è bastata.- borbottò Godric, a disagio. Helga, a dispetto di tutto, rise.
-Lo so, amico mio. Ma se non sblocchiamo questa situazione, non farà che peggiorare. Bisogna fermarlo, prima che qualcuno compia un gesto inconsulto e gli faccia del male. E' irritante, insopportabile e inaffidabile. Ieri ha fatto alzare la voce a Rowena.-
Godric non lo sapeva; Salazar non gliene aveva parlato.
-Pensi che possa essere un problema legato ai suoi sogni?- chiese Godric.
-E' più che probabile, da quello che mi hai raccontato.-
Godric era riluttante al pensiero di intromettersi, perché più di una volta Salazar aveva chiarito che non voleva parlare di quanto sognava. Ma più che ogni altra cosa era preoccupato per Salazar. Se Helga davvero pensava che potesse servire...
-Proverò.- capitolò, alla fine. -Ma non ti assicuro nulla.-
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Godric trovò Salazar nelle sue stanze, anche se era solo metà pomeriggio. All'inizio pensò che non ci fosse, perché nessuno gli rispose, quando bussò. Poi, guardando all'interno, vide che Salazar era steso nel suo letto, e sembrava dormire. Il mago si avvicinò al giaciglio, indeciso se svegliarlo o lasciargli godere di quel momento di riposo; ma, osservandolo da vicino, si rese conto che il suo non era un tranquillo sonno ristoratore.
Il giovane mago era steso sulla pancia, sotto le coperte pesanti, e aveva appoggiato le braccia nude sul guanciale. I capelli scomposti gli coprivano quasi completamente il viso, lasciando intravedere appena le palpebre che fremevano. Il suo respiro era accelerato e irregolare, superficiale, e lui si agitava debolmente. Nonostante il freddo, la sua fronte era imperlata di goccioline di sudore.
Godric sapeva che Salazar stava sognando, uno dei suoi sogni, e che si sarebbe svegliato a breve, forse urlando. Sopraffatto dalla pena per lui, si sedette sul bordo del letto ed allungò una mano per spostargli i capelli dal viso. Sfiorandogli la fronte, la sentì umida e calda, come se avesse un poco di febbre. Il suo gesto pratico si trasformò in una carezza leggera.
Salazar sembrò per qualche istante calmarsi. Poi Godric lo sentì respirare profondamente, e lo vide aprire gli occhi.
Si guardarono per un momento, senza che nessuno dei due sentisse il bisogno di parlare. Poi Salazar si girò e si tirò a sedere, posando i gomiti sulle ginocchia e lasciando che le coperte scivolassero, coprendogli solo le gambe, nonostante la stanza fosse fredda. Godric avrebbe voluto dirgli di stare al caldo, se aveva la febbre, ma tacque, sapendo che l'altro si sarebbe arrabbiato.
-Da quanto sei qui?- chiese Salazar, la voce arrochita dal sonno.
-Da poco. Abbastanza per vedere che sognavi.- rispose Godric, sperando di incanalare la conversazione verso quello che era lo scopo della sua visita.
-Davvero? Non me lo ricordo.- mentì Salazar, distogliendo per un attimo gli occhi dai suoi.
Godric sospirò impercettibilmente. Come al solito, Salazar non voleva discutere con lui dei suoi sogni.
-Vuoi parlarmene?- chiese, come aveva fatto decine di volte prima, già sapendo quale sarebbe stata la risposta.
-Ti ho detto che non mi ricordo.- rispose Salazar, stizzito.
Quella volta, Godric si arrabbiò. Lo intristiva la sfiducia che Salazar gli dimostrava, con quell'ennesimo rifiuto; ma in quel momento pensò anche che non era giusto che Salazar potesse fare come gli pareva, tenersi per sé i suoi segreti, quando questi lo turbavano al punto da ripercuotersi su tutti loro.
E odiava con tutto il cuore che lui non gli dicesse la verità.
-Non mentirmi, Salazar.- gli disse, brusco, alzandosi dal letto.
Salazar trasalì, stupito da quella reazione dura, e il suo fastidio si tramutò istantaneamente in ira.
-Non sei mia madre, Godric!- gridò, stingendo i pugni. -Non ho bisogno della balia, né che tu mi ronzi attorno come un calabrone. Non voglio parlarne!-
L'istinto di Godric, davanti a quella reazione, gli diceva di addolcirsi, di provare a spiegarsi con calma, e di riappacificarsi con Salazar. Era quasi un bisogno, quello di non turbarlo con le sue domande. Eppure... Helga mi ha ricordato come mi sono comportato con Rowena pensò. Forse devo metterlo nella condizione di non poter evitare di rispondere.
-Tua madre riuscirebbe a farti ragionare?- gli chiese, ironico. -Riuscirebbe a farti capire che, così come stai ora, sei una minaccia per la sopravvivenza della scuola, più di un esercito accampato nei prati? Saprebbe spiegarti che ci stai sfinendo tutti, e che presto qualcuno si stancherà di aver pazienza con te, e semplicemente ti lascerà perdere? Perché se tua madre ha il potere di farti capire questo, Salazar, ti giuro che farò io stesso il rituale per far tornare la sua ombra dalle terre dei morti, e scopriremo se almeno lei è capace di farti comportare come qualcosa di diverso da un bambino capriccioso!-
Salazar era ammutolito dallo sfogo di Godric, così inusuale, ma fremeva di rabbia.
-Come osi parlarmi così?- sibilò, quando si riprese dallo sbigottimento.
-Pensi di essere l'unico ad avere il privilegio di insultare gli altri?-
Salazar tacque. Godric poteva vedere chiaramente lo stupore sul suo viso, e la rabbia, le guance arrossate e gli occhi lucidi e sgranati. Salazar stava male, e Godric non stava migliorando la situazione, attaccandolo in quel modo; eppure si rendeva conto con chiarezza che nessuno, Salazar per primo, poteva andare avanti così.
Inspirò profondamente, calmandosi con uno sforzo visibile. Non aveva nessun desiderio di ferire il suo amico, ma solo di spingerlo a ragionare.
-Salazar.- riprese, fissandolo negli occhi. -Tu sogni qualcosa che ti sta turbando al punto di farti stare male, e questo ci sta distruggendo tutti. Sono venuto a chiederti di parlarne con me, ma se non vuoi, dovrai risponderne a tutti. Se ti permettessimo di rovinare quello che abbiamo costruito per non volerci intromettere nei tuoi affari, sarebbe come se ti chiedessimo di tradire noi, e tutto quello per cui abbiamo lottato in questi anni.-
Salazar sbiancò, come se qualcosa nelle parole di Godric lo avesse colpito profondamente. Godric attese qualche secondo una risposta, ma quando l'altro rimase muto, si volse e si avviò verso la porta, sospirando.
-Fa' come ti pare. Ti consiglio di vestirti, perché sto andando a chiamare Helga e Rowena, e forse vorrai parlare con loro, se preferisci non farlo con me.-
Fece qualche passo, cercando di non pensare a quanto gli fosse difficile essere così duro con l'uomo che amava.
-Godric...- lo chiamò Salazar sottovoce, quando era già sulla porta. Il mago si fermò un attimo, in attesa. -E' questo.- disse Salazar, in tono appena più deciso.
Godric si voltò. Salazar aveva nascosto la testa tra le mani posate sulle ginocchia, e i capelli lo avvolgevano come un velo nero. Sembrava piangesse, ma la sua voce era ferma, senza esitazioni, quando parlò.
-Hai detto che non parlare è come tradirvi tutti. E' questo che sogno, tutte le notti. Non so quando, o come, e non so perché. Ma sogno le vostre voci che mi chiamano traditore, e mentre le ascolto qualcosa di me sa che avete ragione, che vi ho tradito. Qualche volta tu maledici il giorno in cui ci siamo incontrati. Sogno la guerra, e non so in che modo, ma so di esserne io la causa. E vedo la nostra scuola distrutta, insanguinata, persa per sempre, perché io ho tradito tutti noi.-
Godric rimase senza parole. Sapeva che per la maggior parte degli uomini i sogni erano solo fantasie o paure che per brevi momenti parevano reali. A chiunque altro avrebbe detto che era un sogno senza importanza. Ma sapeva, completamente e con certezza, che quello che Salazar sognava era reale. Non lo credeva capace di tradirli, perché conoscendolo nel profondo, sapeva che avrebbe preferito morire. Ma allo stesso modo, era certo che quello che tormentava Salazar sarebbe accaduto.
Come, non avrebbe saputo dirlo.
Ma le parole di Salazar avevano la consistenza di una profezia.
-No.- gli rispose, sentendo che era la cosa giusta da fare. -Non te lo permetteremo.-
Salazar alzò lo sguardo e lo fissò per un attimo.
-Non è qualcosa che puoi controllare, Godric.- rispose, amaro.
-Il futuro non è immutabile, Salazar. Possiamo fare qualcosa, adesso che sappiamo qual è il problema. So che esiste un rituale di fedeltà, molto antico. Penso che Rowena ne sappia di più. E in ogni caso, ci inventeremo qualcosa.-
Salazar gli sorrise, tendendogli una mano, e Godric tornò al suo fianco, sul bordo del letto, e lo abbracciò.
-Tu pensi sempre di poter migliorare il mondo con la sola volontà.- gli sussurrò Salazar.
Godric rise. -Se non altro ci provo.- rispose.
Salazar si sciolse dal suo abbraccio e lo guardò, serio e determinato.
-Farei qualunque cosa per non distruggere tutto. Proviamoci.-
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-...E' infinitamente lungo, e complesso, e presuppone atti che non sono per nulla convenzionali.- stava dicendo Rowena, nel suo studio privato.
Godric passeggiava su e giù nervosamente per la stanza, cercando di districarsi nell'intrico di pensieri di quei giorni: la quasi malattia di Salazar, il loro litigio, la sua debolezza. Il rituale.
La sua attenzione era concentrata su Rowena, che stava spiegandogli quanto sapeva del tipo di magia che sperava avrebbe aiutato Salazar. Aveva annotato tutti i dettagli del rituale, le pozioni necessarie, i sacrifici indispensabili. Sapeva che era nelle loro capacità eseguirlo.
Scosse la testa.
-Salazar ne ha bisogno.- rispose a Rowena. -So che non farebbe mai del male a nessuno di noi, ma lui non lo sa, e questo lo sta facendo ammalare.-
-Non è un legame da prendere alla leggera, Godric.- rispose lei. -Forse la versione più semplice, solo tra voi due, sarebbe quella più indicata.-
-No.- rispose Godric. -Non farebbe che dividerci, e creare fazioni. Per tutto quel che è sacro, non annullerà la nostra volontà! E' poco più che un giuramento di non nuocerci a vicenda. Perché sei così reticente?-
Rowena sospirò, massaggiandosi le tempie. Aveva ricostruito il procedimento a memoria, parola per parola, senza l'ausilio di libri o pergamene, e sembrava che questo l'avesse stancata. O forse, pensò Godric, come tutti loro semplicemente non riposava abbastanza, in quei giorni.
-Perché non è mai stato pensato per legare quattro persone, ma solo per due. Si può fare, tecnicamente, ma non so esattamente con quali conseguenze.-
-Spiegati meglio.- chiese Helga, che fino a quel momento si era limitata ad ascoltare, comodamente seduta in poltrona.
-Questa magia- cominciò Rowena, -veniva usata per legare le coppie di sposi che, con il matrimonio, ricucivano le faide o cementavano le alleanze. In pratica, nessuno dei due membri della coppia poteva, da quel momento, nuocere alla famiglia che si sarebbe venuta a creare. Non impediva, ad esempio, il tradimento, a meno che questo non fosse così doloroso per uno dei due da distruggere il legame. Ma, a prescindere dall'uso leggero che ne è stato fatto, questo incantesimo lega due anime per tutta la loro vita, e anche per quelle successive, se credi a queste cose. Non è possibile rimuoverlo, o cancellarlo. Pensare di usarlo su quattro persone... potrebbe non funzionare, o funzionare in maniera insufficiente. O potrebbe funzionare fin troppo, e renderci la vita impossibile.-
-Ma tu non credi che lo farà.- puntualizzò Godric. Rowena aveva chiarito prima di non ritenerlo pericoloso, ma solo incauto.
-No.- rispose stancamente la maga. -Rifletti su questo: se tu, dopo il rituale, dovessi compiere una scelta, e questa danneggiasse o me, o Helga? Cosa succederebbe?-
Era un problema complesso, e Godric non sapeva rispondere. -Probabilmente nulla. Non ci sono mai solo due scelte.- disse, alla fine.
Rowena parve rifletterci.
-Questo è vero.- ammise poi. Godric sorrise: era nello stile di lei trasformare tutto in un dibattito filosofico, ma sapeva incassare una stoccata con una grazia notevole. La vide rilassarsi decisamente, appoggiare la schiena allo schienale della sedia, ed espirare.
-Male che vada, non funzionerà.- ammise.
-L'importante è che Salazar pensi che abbia funzionato. Non ci tradirà comunque.-
Helga si mosse sulla poltrona, a disagio, e Rowena abbassò gli occhi, come se si sentisse in colpa per qualcosa. Godric era incredulo.
-Lo credete capace di fare una cosa del genere?- chiese, alzando la voce, alterato.
-No.- si affrettò a dire Helga. -Non volontariamente. Ma sai quanto me che non è affidabile in condizioni di tensione.-
-Questo non ha importanza.- rispose Godric, calmandosi appena, ma risoluto. -L'incantesimo gli impedirà di fare esattamente quello a cui stai pensando, Helga.-
Lei annuì, e Godric si rilassò un altro poco. Ormai era chiaro che l'avrebbero fatto.
-D'accordo.- disse infine Rowena, che era stata la più reticente. -Solo una cosa. La parte finale del rituale...- esitò.
-Ti turba?- chiese Helga, con voce preoccupata.
-Un poco.- ammise Rowena, arrossendo.
Godric non aveva pensato a quell'aspetto. O meglio, non lo aveva considerato un problema, fino a quel momento.
-Oh, Rowena, siamo così legati già adesso, che non pensavo...- iniziò, poi si interruppe. -E' un'idea così disgustosa?-
Rowena lo guardò un attimo, poi rise di gusto.
-Disgustosa? No. Direi fin troppo allettante. Non so perché mi preoccupi, in realtà. E' come se ci fosse qualcosa che non ho calcolato, qualcosa che non ricordo. Ma non credo sia nulla di vitale, Godric.-
Lui le sorrise.
-Allora è deciso.- sentenziò.
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Per dieci giorni tutte le attività della scuola furono sospese. I ragazzi, improvvisamente liberi dai loro doveri più pressanti, si godettero la tranquillità, e se si domandarono cosa i Maestri dovessero fare di così urgente, lo fecero quando Godric non poteva udirli.
I preparativi, intanto, erano complessi e lunghi, ma dividendosi il lavoro in quattro, ciascuno secondo le proprie capacità, il procedimento risultò quasi facile. Godric scortò Helga nella foresta, aiutandola a raccogliere un'erba rara che serviva per la fase finale, e ci misero un intero giorno per racimolarne quanta ne serviva per quattro persone. Salazar poi aiutò la maga a mescere alcune complicate pozioni, e distillò personalmente l'ultima, quella che avrebbero dovuto bere tutti. Rowena versò tanto del proprio sangue per i sacrifici rituali da dover passare un intero giorno a letto, troppo debole per alzarsi.
L'ultima parte del rituale, per la quale erano necessari tanti preparativi, ebbe luogo la successiva notte di luna nuova.
Avevano scelto di operare nelle stanze di Salazar, e quando quella sera vi entrarono, tutti erano tesi e stranamente silenziosi, sebbene Godric avesse ripetuto spesso a se stesso e a tutti loro che quella parte della magia era solo una mera formalità. Era vero, naturalmente. Il legame che in quegli anni meravigliosi e impegnativi si era forgiato tra loro, attraverso l'affetto, il sostegno, la cura, le lacrime e il sangue, era infinitamente più profondo e forte di qualunque altro al mondo; nulla di quello che sarebbe accaduto quella notte avrebbe potuto fare altro che rafforzarlo ulteriormente.
Eppure non potevano fare a meno di essere nervosi, tutti loro. Rowena era pallida e Helga si tormentava costantemente le mani. Salazar tremava un poco.
La pozione li avrebbe aiutati, pensò Godric, avvicinandosi al basso tavolino su cui avevano preparato quattro calici colmi del liquido azzurro. Quella miscela aveva moltissimi usi. Li avrebbe rilassati, abbassando la consapevolezza della loro mente e lasciando spazio alla parte istintiva, quella più legata alla loro magia. Avrebbe messo da parte ogni dubbio secondario, senza intaccare la loro volontà, che serviva al completamento del voto rituale, ma lasciando solo le percezioni essenziali a dominarli. E avrebbe reso più rarefatta la loro consapevolezza della realtà, portandoli per il tempo necessario al confine tra la veglia e il sogno, dove tutto è possibile.
Tenendo bene a mente il significato di tutto quello che stava accadendo e che sarebbe accaduto perché loro lo volevano, Godric levò il proprio calice e accennò un brindisi silenzioso nella direzione dei suoi tre spettatori, prima di chiudere gli occhi e bere d'un fiato il contenuto del bicchiere. La bevanda aveva un gusto gradevole, che somigliava vagamente a quello degli infusi di fiori secchi che Helga preparava con le sue mani: fresco, leggermente amaro, purificante.
Quando Godric riaprì gli occhi, gli altri tre stavano bevendo. Salazar sembrò fare una smorfia al sapore del liquido, e Godric lo fissò, incuriosito da quella reazione; ma un attimo dopo l'immagine tanto cara del giovane mago si fece sfocata, come se lo stesse guardando da una grande distanza, e un lieve formicolio sembrò partire dalla punta delle dita di Godric e risalire per le braccia, un prurito leggerissimo che gli dava l'impressione di aver indossato un tessuto sottile e impalpabile, e che questa veste fatta di nulla di frapponesse tra lui e la realtà, distaccandolo un poco dal mondo.
Poi i pensieri coerenti svanirono.
Nessuno dei quattro avrebbe ricordato con esattezza quanto accadde quella notte, negli anni a venire; e ogni volta che Godric chiese, in seguito, ad uno degli altri un racconto dell'esperienza, ottenne risposte strane e diverse, che non collimavano con le sue.
A lui sembrò che la stanza fosse improvvisamente caldissima, una fornace incandescente, e piena di luce gialla, così intensa che per quasi tutto il tempo dovette tenere gli occhi chiusi; ma Rowena gli disse di aver percepito un'oscurità viva e morbida, scaldata dai loro respiri come lo stretto spazio di una tenda, e di avere udito persino il vento che soffiava. Helga parlò di una grande pace immobile, dove i loro movimenti si confondevano e sembravano piccini e leggeri, incapaci di turbare la quiete di tutto. Salazar si era sentito avvolto da acqua asciutta e fresca, infinitamente cangiante e mutevole, e gli pareva di essere rimasto per ore ad ammirare giochi di luce sulle pareti, pensando di essere finito con tutta la stanza sul fondo del lago.
I ricordi veri e propri erano pochi e distanti tra loro nel tempo: Godric rammentò di aver stretto le braccia attorno alle spalle nude di Salazar, e di averlo chiamato piano per nome; ricordò la risata dolce di Rowena che saturava l'aria, incantandolo, e la morbidezza delle coperte del letto sotto le sue gambe mentre baciava gli occhi chiusi di Helga, e le dita di Salazar strette forte tra le sue; e poi brevi lampi di immagini e sensazioni disarticolate e scollegate tra loro, capelli che gli sfioravano le braccia, baci lunghissimi, le gambe forti e bianche di Rowena strette attorno ai suoi fianchi, il membro di Salazar duro contro la sua coscia, e la morbidezza familiare del seno di Helga sotto le sue labbra; e un'eco lontana di piacere e calore, una spirale di sensazioni confuse, come se si fosse trattato del sogno incerto di un ragazzo, pieno di gemiti estranei e sospiri pesanti; e un amore così forte e totalizzante da non lasciare spazio per altro, diffuso nell'aria come una musica e concentrato in ogni gesto.
Quello che non dimenticò mai, e che tutti ricordarono per sempre, fu il momento culminante, in cui si concluse il rituale: nell'aria sembrò rintoccare una domanda espressa senza parole, una cantilena senza voce nelle loro menti e ancora più in profondità, al centro del loro stesso essere. L'impegno richiesto alla loro volontà.
Per sempre?
E tutti, come una persona sola, risposero. Sì.
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Capitolo XVI