Arcano Numero XV

Mar 07, 2021 18:55


Autore: miharu92

Fandom: Originale, Terra Incognita

Personaggi: Alexander McKendrick, Kyler Lane

Rating: NC17

Conteggio Parole: 4233

Warnings: //

Genere: Introspettivo, Erotico,

Betareaders: knockwave

Note dell’autore: Porca troia, sono millenni che non scrivo porno ed è stata al pari di una delle fatiche di Ercole *si asciuga il sudore dalla fronte*. Nulla di tutto questo ha senso, ma appena inizio a scrivere dal pov di Alexander mi parte l’introspettivo con una forza disarmante e chi sono io per fermarlo???

Questa fanfiction partecipa al COW-T11, per la missione M3, con il prompt del monologo di Achille Lauro a Sanremo.

Disclaimers: I personaggi sono di proprietà intellettuale di chi ne detiene i diritti (quindi io, essendo personaggi originali). Non ricevo alcun profitto dalla stesura e pubblicazione di questa storia (datemi tempo), i fatti narrati non sono intesi a ledere l'immagine di nessuno e qualsiasi similitudine a fatti realmente accaduti è da considerarsi puramente casuale.

Riassunto: Nei tarocchi, il quindicesimo arcano maggiore è il Diavolo: questa carta, specchio oscuro degli Amanti, parla delle nostre dipendenze, della sessualità che ci incatena, del mondo materiale che ci trattiene dal divenire persone migliori.



ARCANO NUMERO XV

È tempo di gioco.

Demonio, divinità.

(Achille Lauro, Sanremo 2021)

Le luci alternate della discoteca facevano sembrare le persone attorno a lui una serie di fotografie, movimenti spezzati e a scatti invece che fluidi e naturali. Come se fossero tutti pupazzi meccanici ormai rotti, erosi dal tempo e dalla pioggia.

La musica gli entrava nelle orecchie con prepotenza, fregandosene se fosse di suo gusto o meno, i bassi che facevano vibrare i suoi polsi e le ossa. Niente era preciso, attorno o dentro di lui, nulla aveva un senso e questo gli riempiva i polmoni di una sostanza simile all’acqua stagnante, la voglia di urlare e lavar via il terribile odore di chiuso. Si sentiva spaesato, senza una meta, e pensò che quei pensieri non gli piacevano per nulla e per questo bevve un lungo sorso del drink nel proprio bicchiere, sentendo la pungente dolcezza della vodka accarezzargli la gola e coccolargli la mente.

Ma c’era una sete che Alexander non era in grado di placare, una fame che nessun banchetto avrebbe potuto attenuare, un bisogno di qualcosa al quale non sapeva dare un nome e che non avrebbe potuto cercare in nessun libro. L’unica cosa di cui era certo era che trovarsi in quel posto, circondato dalle persone, in qualche strano modo placava la bestia nel suo petto, quella creatura assetata e affamata di vibrazioni e magia, di emozioni e reazioni.

I corpi che ballavano sulla pista sembravano muoversi come se appartenessero ad un unico essere, enorme e irrequieto, travolti da una frenesia trasportata dall’alcol e dalla musica incessante, ritmica.

La bestia ne voleva di più, Alexander ne voleva di più, nonostante sapesse che non si sarebbe dovuto trovare in quel luogo, che non avrebbe dovuto scappare dall’associazione, dalla premurosa cura di suo padre e dei Seguaci, per sgattaiolare in un locale che l’uomo avrebbe definito nientemeno che rivoltante. Ma sapeva che lì nessuno gli avrebbe chiesto perché un ragazzo così carino si trovasse da solo, perché qualcuno di così giovane chiedesse un cocktail alcolico, perché un viso così angelico desiderasse solo perdersi in un mare profondo e nero, cadere verso il basso, sempre più in basso, sentendo il calore risalire dalle viscere della terra e avvolgerlo in una stretta pericolosa e confortante.

Alexander bevve ancora, tutto d’un sorso, sentendo l’alcol bruciargli appena la gola e riempirgli la mente di fumo, per poi posare il bicchiere vuoto sulla prima superficie disponibile e avvicinarsi alla pista.

Non si era mai considerato un bravo ballerino, nonostante i complimenti ricevuti durante le lezioni di teatro, ma non era necessaria alcuna bravura per far parte del mostro al centro del locale, per permettere al suo corpo di fondersi con quello degli altri, permettere alle loro cellule di mischiarsi, danzare in un vortice frenetico e sconsiderato; il mostro lo accettò dentro se stesso, cambiandolo e cambiando a sua volta, senza alcuna lamentela, senza nessuna prova di valore, senza che Alexander dovesse dimostrare di essere all’altezza. E questo gli fece amare la sensazione di far parte di quel mostro, l’idea di essere solo una parte di qualcosa di più grande, la libertà di essere piccolo e insignificante, senza il gravoso compito di dover decidere, scegliere, pensare.

Continuò a ballare, assecondando i movimenti dell’immensa e cangiante creatura, seguendo il ritmo della musica, il battere incessante di un cuore che lo faceva sentire più vivo che mai, riuscendo a scorgere le altre persone attorno a lui solo nei momenti in cui le luci brillavano su di loro, aprendo brevissime finestre luminose e alternandole a oscurità colme di liquide ombre che sapevano promettere piaceri e sofferenze.

Alexander le bramava, quelle sofferenze, si sentiva attratto dai profumi che riempivano l’aria, dai sapori che magicamente gli danzavano sulla lingua con lo stesso ritmo della musica su di loro, del cuore le cui vene toccavano ognuno dei loro corpi, attraversandoli e irrorando i loro muscoli di un’energia nuova, un’euforia da far girare la testa. Sentì il suo petto aprirsi, come il cratere di un vulcano, una lunga crepa dalla quale non fuoriusciva lava o calore, bensì un vento freddo, un’oscurità che prese la forma di lunghe mani, dita frenetiche e desiderose di aggrapparsi a qualcosa, qualsiasi cosa.

Alexander si sentiva bene. Con la testa leggera, il corpo in costante movimento, il fiato appena corto, e il petto spalancato per permettere alla bestia di esporsi, sicura di non essere vista, e prendere ciò che desiderava, prendere tutto, prendere senza rimorsi; delusioni d’amore, pensieri erotici da riservare alla notte, paure, desideri, gioie, frustrazioni… tutto divorato dalla bestia, ingoiato senza nemmeno masticare, senza il tempo di assaporare nessuna di quelle emozioni, troppo affamata per potersi dare un tono.

Improvvisamente, qualcuno si appoggiò alla sua schiena, un petto liscio e tonico, un paio di mani che si posarono quasi con possesso sui suoi fianchi.

In un altro momento, in un altro posto, se si fosse trovato in un altro stato mentale, Alexander sarebbe letteralmente saltato fuori dalla sua stessa pelle, si sarebbe voltato per fronteggiare quello sconosciuto e la sua presunzione nel toccarlo senza averne il permesso. Ma in quel locale, l’alcol ad annebbiare il suo giudizio, il mostro nel suo petto ebbro di piacere, la propria pelle disperatamente desiderosa di contatto, Alexander non fece nulla di tutto ciò. Al contrario, si lasciò stringere da quelle mani, si lasciò tirare indietro, contro il corpo di quello sconosciuto, solo un poco più alto di lui, e spostò appena la testa verso l’alto. Fu come se si fosse staccato dalla creatura al centro della pista e si fosse invece unito a quel ragazzo, perché i loro movimenti iniziarono a coordinarsi, seguendo una pulsazione solo loro.

La bestia nel suo petto focalizzò la propria attenzione su quel ragazzo, spingendosi verso di lui come una falena attirata dalla luce, e fu accolta da un piacevole profumo (che Alexander poté identificare solo con l’immagine mentale di una motocicletta nel mezzo di un fitto bosco) e una fortissima energia. La sentì attaccarlo quasi come lo scoppio di un petardo, un’aggressiva lingua di fuoco che ringhiò minacciosa contro di loro. Eppure quel tipo di energia non gli faceva desiderare di andarsene, nonostante percepisse un leggero velo di pericolo, ma al contrario attirava maggiormente verso di lui sia Alexander sia la bestia, chiamandoli come il canto delle sirene.

Lo sconosciuto portò il proprio viso accanto a quello di Alexander, il quale sentì le sue labbra appena dischiuse sfiorargli la guancia, e qualcosa dentro di lui parve accendersi con violenza. Si sentiva in sovraccarico, i muscoli quasi tremanti per il bisogno di sfogare in qualche modo la frustrazione e l’energia accumulata, e per questo si voltò di scatto -facendo trasalire il ragazzo- e gli portò le braccia attorno alla vita, muovendo il bacino contro il suo a ritmo di una musica che, forse, sentiva solo lui.

Se fosse stato totalmente sobrio, e soprattutto lucido, avrebbe riconosciuto il ragazzo che si trovava di fronte, perché si erano incrociati un paio di volte in alcune delle missioni alle quali Alexander aveva avuto il permesso di partecipare, si sarebbe reso conto dell’enorme errore che stava per commettere e se ne sarebbe andato. Invece sorrise, sensuale, aprendo le mani contro il dorso di Kyler, sentendo ognuno dei suoi muscoli al di sotto della maglietta leggera, scendendo verso la zona lombare e seguendo la curva naturale della sua schiena.

Perché nonostante si fossero sempre trovati ai lati opposti della battaglia per la quale i Seguaci si preparavano da anni, per la quale suo padre lo aveva addestrato dalla nascita, Alexander non riusciva a trovare un motivo valido per smettere di toccarlo e di farsi toccare, per non lasciarsi andare sotto alle sue dita, contro il suo corpo, assuefatto dal profumo e dal sapore della sua bollente energia.

Kyler si riprese in fretta, portando un braccio sopra alla sua spalla e l’altro alla sua vita, tirandoselo se possibile ancora più vicino, tanto da rendere difficoltoso capire dove finisse uno e iniziasse l’altro; questo fece infiammare la pelle di Alexander, la bestia che gemette soddisfatta alla sensazione del suo petto contro il proprio, e fu seguendo lo slancio del momento che portò le labbra al suo collo, sostituendole subito dopo con i propri denti.

Sentì il corpo di Kyler irrigidirsi, il flusso rosso e irruento della sua energia venir attraversato da un velocissimo lampo più chiaro prima di scurirsi, ingrossandosi, come una vena che trasporta molto più sangue.

Alexander morse ancora, un po’ più forte, e quando le mani di Kyler si spostarono alle sue spalle, afferrandole per spingerlo via, non gli passò neanche per l’anticamera del cervello che quel gesto fosse dovuto a un suo desiderio di smettere. Lo guardò confuso, nonostante il sorriso ancora stampato sulle labbra, trovandosi a disagio nel non avere più il suo corpo contro, percependo con fastidio la sensazione di vuoto. Era stupido, irrazionale, sbagliato, eppure Alexander bramava con una viscerale necessità il contatto con il suo corpo, quasi potesse dargli la sicurezza di possedere del valore.

Almeno per qualcosa, almeno per qualcuno, almeno per un momento.

Kyler lo guardò negli occhi per un lungo istante, come se stesse combattendo una battaglia silenziosa contro se stesso; Alexander si chiese se anche lui fosse perso nell’alcol, o se fosse semplicemente il bisogno a muovere i suoi muscoli, o se si trattasse di qualcosa di più profondo, qualcosa di nascosto e proibito, debole, fragile.

Non ebbe modo di spingere la propria magia alla scoperta della risposta alle sue domande, perché Kyler gli afferrò il polso e iniziò a incamminarsi a passo spedito lontano dalla folla, lontano dai profumi e dai sapori con i quali la bestia si era sfamata fino a quel momento. Nè a lei né ad Alexander diede davvero fastidio questo allontanamento, perché tutto ciò che riuscivano a pensare era a quanto fosse calda la mano di Kyler, quanto decisa fosse la presa delle sue dita attorno al proprio polso, così stretta da fargli percepire ognuno dei propri battiti, quanto fosse intossicante il profumo della sua eccitazione, il desiderio appena macchiato dalla rabbia e dalla frustrazione; come un animale in gabbia da troppo tempo, desideroso soltanto di spezzare le proprie catene e poter correre via, libero, sfogare i propri istinti e vivere appieno la propria natura.

Svoltarono un angolo, evitarono qualche altra coppia qua e là, e quando Alexander venne spinto con le spalle al muro non ebbe assolutamente paura. Guardò Kyler con occhi infuocati, appena liquidi, con in volto un’espressione che sperò essere in grado di fargli capire quanto grande fosse il bisogno di essere amato, anche solo superficialmente, anche solo per una manciata di minuti, anche solo per essere buttato via una volta finito. Non gli importava, non davvero, non in quel momento. Alexander aveva bisogno di quel piacere, aveva bisogno di restituire qualsiasi cosa Kyler potesse decidere di donargli, aveva bisogno di gettarsi nel baratro delle sue emozioni, sempre più a fondo, raggiungerne il centro e perdercisi dentro.

Le labbra di Kyler aggredirono le sue come una bestia contro la propria preda, come se si volesse sfogare, e Alexander lo lasciò fare. In quel bacio, fra quelle labbra appena ruvide, si sentì nuovamente all’interno di un fitto bosco, l’aria fredda della montagna che scivolava appena minacciosa sul terreno, insieme alla foschia, il rumore di un ruscello poco lontano da loro che sembrava trasportare fra le sue acque storie di morte e rinascita.

Kyler aveva qualcosa di primordiale, nel modo di porsi, le sue mani a stringersi nuovamente ai fianchi di Alexander quasi a volergli ricordare come, in quel momento, lui gli appartenesse. Il ragazzo non trovò nulla da obbiettare, perdendosi nella sua stretta, portando le mani al suo collo e risalendo ai suoi capelli, stringendoli appena, godendo del lieve ringhio che nacque dal fondo della gola di Kyler.

“Di più. Ne voglio di più.”

Lo fece di nuovo. E ancora. Strinse con forza anche quando i denti del ragazzo si strinsero al suo labbro, con un pizzico di cattiveria che fece tremare le gambe di Alexander, per poi allontanarsi per un istante che gli parve infinito, un frammento infinitesimale di eternità, solo per attaccare il suo collo, così come lui aveva fatto poco prima.

Eppure c’era quel persistente  velo di perfidia, nei suoi gesti, c’era il profumo della soddisfazione di averlo soggiogato, di essergli superiore, e Alexander non fece altro che gemere piano, forse troppo per essere sentito al di sopra dell’incessante martellare della musica, spingendo la testa contro al muro e lasciandogli più spazio, arrendendosi alla sua vittoria.

Perché se era quello, ciò che di cui aveva bisogno, chi era lui per esimersi dal donarglielo?

Le mani di Kyler iniziarono a muoversi avide su di lui, risalendo lungo la linea appena spigolosa dei fianchi e strattonando la sua camicia per potersi intrufolare al di sotto, il desiderio di toccarlo che echeggiava melodioso attorno a loro, come una leggera catena, resa rossa dal calore. Oh, com’erano incandescenti le dita di Kyler, solo un poco impacciate, per niente delicate ma infuse di tutto l’istintivo bisogno che sta alla base della ricerca del piacere. Alexander non si lamentò quando Kyler lo graffiò appena con le unghie corte, non seppe se involontariamente o meno, ma si strinse maggiormente a lui, inarcando la schiena, aggrappandosi con una mano ai suoi capelli e con l’altra alla sua spalla, nel vano tentativo di aggrapparsi a qualcosa che gli impedisse di perdere il controllo.

“Stupido.” si disse, “Stupido illuso. Non esiste il controllo. Non ora. Non qui.”

Quando Kyler smise di mordergli il collo, spostando gli occhi all’altezza dei suoi, Alexander si sentì come se il suo sguardo potesse trapassarlo da parte a parte, spogliarlo non solo dei suoi vestiti ma di tutto ciò che con il tempo aveva costruito sulla parte più vera e intima di se stesso; tutte le maschere, tutte le bugie, tutto quanto. C’era solo un’altra persona di fronte alla quale Alexander si era sentito in quel modo, e ci fu un solo istante di profondo imbarazzo, mentre il pensiero di suo padre gli attraversava la mente, prima che Kyler lo afferrasse nuovamente per i fianchi, spingendo i propri contro di lui e facendo incontrare le loro erezioni, ancora coperte dai vestiti.

Scomparve tutto dalla testa di Alexander. Come se il ragazzo avesse fatto scattare un interruttore, come se avesse pronunciato un incantesimo, ogni cosa che non fossero le sensazioni della sua pelle e ciò che la bestia riusciva a sentire perse di importanza. Si ritrovò immerso in un angosciante vuoto, come sospeso fra il niente e il nulla, la sola ancora il corpo caldo di Kyler contro il suo. Ci si aggrappò con tutto se stesso, la bestia allungò la sua strisciante magia per inspirare la sua incandescente eccitazione, bevendone avida.

Il piacere gli correva lungo i nervi, partendo dal proprio inguine e risalendogli lungo il busto, esplodendogli poi nella testa. Si sentiva vittima di Kyler, assediato dalle sue mani, dai suoi morsi, dalle sue spinte, come un sacrificio in nome di una divinità crudele e spietata, completamente in balia dei suoi ritmi e di ciò che poteva decidere di fargli.

Non gli attraversò nemmeno l’anticamera del cervello che Kyler potesse fermarsi, perché una parte di lui -profonda, passionale, più vera di ogni altra cosa- sapeva con assoluta certezza che neanche il ragazzo davanti a lui avrebbe voluto che quel momento di piacere così sbagliato potesse finire.

I movimenti del bacino di Kyler si fecero mano a mano più sconnessi, veloci, mentre le sue labbra alternavano baci bagnati a sadici morsi, che fossero sulle sue labbra o sul suo collo poco sembrava importargli, e quando gli afferrò la spalla per farlo voltare ci fu solo un istante di incoerente paura, un sentimento che sbocciò al centro del vuoto nel quale si trovava per appassire solo un istante dopo.

Non era vergine. Non c’era niente di speciale in quell’incontro, nessun significato più alto, nessuna promessa. Solo il disperato e animalesco bisogno di lasciarsi andare alla lussuria, la ricerca del piacere fine a se stesso, la voglia di perdersi, senza conseguenze.

Alexander appoggiò la fronte alla parete, armeggiando con la cintura prima e con i propri pantaloni poi per poterli aprire il più velocemente possibile. Perché ogni momento passato senza le mani di Kyler addosso significava avvicinarsi di un passo alla lucidità, a quel luogo di terribile coscienza che lo avrebbe torturato nei giorni a seguire. Oh no, lui voleva rimanere nel vuoto, voleva lasciare la bestia nel proprio petto libera di ruggire, di ingozzarsi del piacere del ragazzo alle sue spalle, voleva scrollarsi da dosso fino all’ultima responsabilità che la vita aveva cucito attorno al suo cuore come un sarto ubriaco.

Non ebbe bisogno, una volta abbassati pantaloni e intimo, di voltarsi a controllare se Kyler avesse fatto altrettanto, perché una mano calda si posò sulla parte bassa della sua schiena, facendo appena pressione per aggiustare la sua posizione. Fu un gesto estremamente delicato, rispetto alla ruvidezza che Alexander aveva sperimentato fino a quel momento, e questo lo sorprese, nonostante l’eccitazione e l’alcol. La mano di Kyler rimase ferma, all’altezza dei suoi reni, e il tempo parve dilatarsi come vetro fuso mentre si appoggiava con la propria erezione ad Alexander, premendo appena per entrare in lui.

Se fossero stati due persone diverse, in un momento differente, Alexander gli avrebbe chiesto qualche momento per prepararsi, forse chiedendo con qualche battuta un maggiore livello di intimità, di giocare insieme, per poter rendere quell’amplesso un viaggio da compiere insieme, aspettandosi l’un l’altro. Ma erano lì, erano loro stessi e non qualcun’altro, e per questo Alexander sapeva bene quanto in comune avessero solo la destinazione; come ci sarebbero arrivati, quali strade avrebbero battuto e con quali mezzi, era qualcosa che dovevano gestire da soli.

Per questo respirò solo profondamente, portandosi una mano fra le gambe per stimolare la propria erezione, ringraziando la prontezza di Kyler di indossare un preservativo e affrontando il fastidio che iniziò ad attraversarlo mano a mano che il ragazzo si spingeva contro di lui, una lentezza esasperante che però gli rese più facile il processo.

Non riusciva a capire, perso nelle proprie sensazioni, il motivo che portasse Kyler ad avere una tale premura nei suoi confronti. Si odiavano, sapeva che era così, non avrebbero esitato a pugnalarsi alle spalle se ne avessero avuto l’occasione, eppure nel momento in cui Kyler avrebbe potuto pensare solo a se stesso, e Alexander non si sarebbe sognato di chiedergli di non farlo, il ragazzo aveva deciso invece di rallentare, solo un poco, di muoversi con lentezza, di prendersi il proprio posto dentro di lui senza fretta, riempiendogli il vuoto che sentiva con la propria presenza e il proprio calore, un calore quasi insopportabilmente morbido.

Alexander si ritrovò ad alzare gli occhi al cielo, sentendo una commozione della quale non comprese il motivo cavalcargli imbizzarrita nel petto, calpestando i suoi polmoni e scontrandosi contro la sua cassa toracica, ma per sua fortuna un movimento solo un po’ più deciso di Kyler lo aiutò a distrarsi abbastanza dai propri sentimenti da permettere alla commozione di scivolare via, insieme ai sospiri e ai leggeri gemiti che sfuggivano dalle sue labbra appena dischiuse.

Non aveva idea di quanto tempo passò prima che il suo corpo si rilassasse a sufficienza per permettere a Kyler di muoversi liberamente, ma quando accadde ci fu nuovamente un sostanziale cambiamento nel suo modo di trattarlo; i suoi movimenti tornarono ad essere bruschi, frettolosi, lui tornò a concentrarsi sul proprio piacere, rincorrendolo come una bestia affamata, lasciando ad Alexander il compito di subire, cercando di gestire se stesso e le proprie reazioni. Si sentiva niente più che uno specchio, scuro e vuoto, che non poteva far altro che riflettere ciò che Kyler decideva di mostrargli. Come la luna, che non ha modo di brillare se non grazie ai raggi del sole.

Una mano di Kyler si aggrappò al suo fianco, stringendolo possessivamente, mentre l’altra si intrecciò fra i suoi capelli, trovando così il modo di poterlo manovrare a suo piacimento, tirandogli i capelli qualora volesse la sua schiena maggiormente inarcata, o usando la presa sul suo fianco per aiutarsi nei movimenti.

Alexander smise nuovamente di pensare. C’era qualcosa di straordinariamente irrispettoso nel modo in cui Kyler si stava muovendo al suo interno, qualcosa che stuzzicava la bestia nel suo petto, la riempiva di una profonda soddisfazione e compiaciuta eccitazione. Si sentiva completo, sentiva di aver trovato il proprio posto, di star rispondendo alla chiamata più sincera della propria natura.

Forse avrebbe dovuto mordersi il labbro, chiudere la bocca, cercare di non gemere a quel modo, di non dargli la soddisfazione di aver in qualche modo vinto su di lui, ma Alexander non vedeva il motivo di comportarsi a quel modo. Perché, dopotutto, poteva davvero trattarsi di una sconfitta se si trovava esattamente dove era sua intenzione arrivare, sin dal principio? No, in quel locale aveva avuto luogo una battaglia nella quale non era previsto alcun perdente, la sola cosa ad essere stata obbligata a soccombere era stata la loro morale e questo per lasciare spazio alla perdizione.

Il tempo si dilatò nuovamente, lo spazio che iniziò a muoversi attorno a loro come preda di un’euforica danza, un rituale ancestrale scandito dal suono dei tamburi che rimbombavano nelle sue orecchie, nel suo petto, nel suo stomaco, dentro e fuori di lui, tamburi che facevano solo da sfondo ai propri gemiti e a quelli di Kyler. Lo sentì produrre nuovamente quel suono così simile ad un ringhio, dal fondo della sua gola, e roteò gli occhi all’indietro, sentendo la propria eccitazione subire una poderosa spinta in avanti. In un altro momento gli avrebbe chiesto di farlo ancora, lo avrebbe pregato persino, ma non osò aprire le labbra se non per sospirare, stringendo i pugni contro il muro, talmente sopraffatto da dimenticarsi quasi della propria erezione, che Kyler sembrava intenzionato a ignorare. Non gli fece una colpa di questo, ovviamente, e quando sentì la sua presa sul proprio fianco stringersi maggiormente, Alexander si portò una mano al membro, muovendosi in modo sconnesso, rincorrendo un piacere che sembrava intenzionato a scivolargli via dalle mani come una ninfa dispettosa.

Quando l’orgasmo arrivò fu improvviso, spiazzante, e orribilmente veloce. Il piacere lo attraversò come un fulmine, esplodendogli sotto alla pelle e risalendo lungo la sua spina dorsale come il taglio di una spada, lacerando le catene della bestia e facendola prorompere in un suono che fu il solo a sentire, e che gli fece vibrare le ossa. I movimenti di Kyler, però, non accennarono a diminuire. Alexander lo sentì spingersi dentro di lui, mentre ogni nervo del suo corpo ancora vibrava, con un violento bisogno e un velo di sadismo, totalmente perso all’interno del proprio piacere.

Presto, la sensazione euforica dell’orgasmo venne sostituita dal fastidio, facendogli allargare i palmi contro la parete come se potesse trovare una via di fuga, e nel momento esatto nel quale pensò di chiedergli di fermarsi, di rallentare, di fare qualsiasi cosa, Kyler venne, stringendogli i fianchi con forza e spingendolo con l’intero corpo contro il muro, ansimandogli direttamente nell’orecchio tutto il proprio piacere.

Con lentezza il tempo ritornò a scorrere come aveva sempre fatto, ogni secondo che riprese il proprio legittimo posto, e l’intero universo smise di ruotar loro attorno come se si trovassero nell’occhio del ciclone. I respiri ripresero a susseguirsi più distanziati, gli uni dagli altri, il fiume dirompente dell’eccitazione si ritirò, piano, tornando a scorrere placido nel suo usuale letto.

E, insieme alla leggera spossatezza, Alexander venne aggredito anche dal profondo senso di colpa per quanto avevano appena condiviso. Si rese conto di aver oltrepassato un limite che, temeva, sarebbe potuto essere in grado di cambiare ogni cosa. Alexander non era più in grado di sentire la bestia nel suo petto, non aveva più né fame né sete, una parte orribilmente intima di lui era stata appagata, ma a quale prezzo? Non aveva idea di cosa avrebbe dovuto pagare, per essersi lasciato andare a quell’intenso momento di lussuria, ma era certo che il conto sarebbe arrivato, prima o poi, prepotente come un uragano.

Con gesti impacciati, forse dovuti all’imbarazzo, sentì Kyler ritrarsi e uscire da lui, lasciandogli addosso un’orribile sensazione di vuoto. In qualche modo riuscì a spostarsi per recuperare il proprio intimo e i propri pantaloni, rimasti bloccati rispettivamente alle cosce e attorno alle caviglie, inserendo la cintura all’interno dei passanti con dita tremanti.

«Tutto questo», iniziò Kyler, la voce roca e affannata, che si piantò nella sua nuca come spilli roventi, «non è mai accaduto. Che sia chiaro.» intimò, e la sola cosa che riuscì a sentire Alexander furono i suoi passi sul pavimento, il suono che si affievolì sempre di più.

Posò la fronte al muro, di nuovo, ma questa volta non vi era nessuna traccia del trasporto e della perdizione di cui era stato vittima poco prima, nessuna traccia del calore avvolgente di Kyler. Solo il freddo, e il vuoto, la solitudine e la certezza di come ci dovesse essere qualcosa di rotto, dentro di lui, per portarlo a spingersi in situazioni di quel tipo, ancora e ancora, in una disperata ricerca di qualcosa che forse non sarebbe mai esistito.

Fine.

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