È Difficile Stare Al Mondo

Feb 15, 2021 10:21


Autore: miharu92

Fandom: Originale, Terra Incognita

Personaggi: Laephia, Altri personaggi secondari

Rating: PG15

Conteggio Parole: 3667

Warnings: //

Genere: Introspettivo, Fantasy,

Betareaders:

Note dell’autore: “Per questo prompt scrivo una drabble”, mi sono detto, “La faccio corta che tanto ho già in mente la scena”, mi sono detto. Che clown, signori, che clown.

Questa fanfiction partecipa al COW-T11, per la missione M1, e il titolo viene direttamente dal testo della canzone Soldi, di Mahmood!

Disclaimers: I personaggi sono di proprietà intellettuale di chi ne detiene i diritti (quindi io, essendo personaggi originali). Non ricevo alcun profitto dalla stesura e pubblicazione di questa storia (datemi tempo), i fatti narrati non sono intesi a ledere l'immagine di nessuno e qualsiasi similitudine a fatti realmente accaduti è da considerarsi puramente casuale.

Riassunto: "Fai del denaro il tuo dio e ti tormenterà come il diavolo." - Henry Fielding


È DIFFICILE STARE AL MONDO

Il sole cocente di quel mezzogiorno d’estate, particolarmente caldo, bruciava i suoi occhi e asciugava quel poco sudore che la sua pelle riusciva a produrre. La carovana con la quale Laephia stava viaggiando aveva portato lui e un altro piccolo gruppetto di schiavi fino ad Ak’thar, un'enorme città che si estendeva lungo una vallata circondata dalle colline, il fiume che la attraversava come la venatura di un albero. Laephia sapeva tutto quello perché uno schiavo, un giovane umano dagli occhi brillanti e in volto l'espressione di chi ha sempre un piano in mente, si stava dilungando ormai da parecchio nel raccontare tutto ciò che sapeva su quel piccolo angolo di mondo.

L'elfo era il solo che ancora gli stava prestando attenzione, trovando straordinario e incredibilmente dolce il modo nel quale la sua voce sembrava più ricca mentre si dilungava a raccontare, saltando da un dettaglio all'altro senza un vero ordine o senso logico, lasciandosi guidare dalla memoria, con il solo desiderio di poter condividere il più possibile. Gli sembrava in qualche modo di vedere se stesso, quando ancora si trovava a Qelarth, una manciata di centinaia di anni prima.

Il ragazzo gli raccontò di come quella città fosse divenuta ciò che era grazie al commercio per nave, attraverso il fiume, e di come con il tempo era riuscita a imporsi come punto nevralgico per il sistema commerciale dell'intera regione.

«C'è un detto, da queste parti.» stava raccontando, guardando lontano, «Se non sai dove comprare qualcosa, cerca ad Ak'thar. Qui tutto ha un prezzo. Se puoi pagarlo, puoi averlo.»

Una parte di Laephia lo ascoltava affascinato, quasi pendendo dalle sue labbra, nonostante un'altra grande parte di lui non riuscisse a comprendere quel tipo di ragionamento. Per lui era ancora complicato capire il motivo che portava -alcune razze più di altre- a dare così tanta importanza al denaro, fosse esso rappresentato da grosse monete, pezzi d'oro, o pietre preziose. A Qelarth gli elfi vivevano di tutto ciò che la natura era in grado di donar loro, e il massimo del commercio era rappresentato dagli scambi che avvenivano a ogni cambio stagione con i minotauri sulle montagne, per questo Laephia non era in grado di comprendere perché i soldi avessero una così forte presa su altre creature, così tanto potere.

«Ed è per questo che noi siamo qui.» si intromise un lupo, i muscoli gonfi al di sotto del pelo grigio chiaro, «Siamo qualcosa che può essere comprato.»

«Tu non capisci.» ribatté l'umano, scuotendo la testa, «Questa per noi può essere un'opportunità! Se loro possono comprare la nostra schiavitù, significa che noi possiamo comprare la nostra libertà!» esclamò, gesticolando e cercando di ottenere l'attenzione degli altri schiavi, senza successo, «Dobbiamo solo trovare il modo ma se c'è un posto dove è possibile che questo accada, quel posto è proprio Ak'thar.»

Il lupo lo guardò per un istante, scuotendo poi il capo e voltandosi dall'altra parte, ma nonostante questo l'ottimismo del giovane umano non sembrava intenzionato a lasciarsi scalfire. Continuò ancora per un po' a raccontare ciò che sapeva, fino a quando le imponenti porte della città non spuntarono oltre la linea dell'orizzonte, spegnendo la sua voce e facendogli brillare gli occhi di irremovibile speranza.

Laephia si sentì minuscolo di fronte a quello spettacolo, le porte che mano a mano si facevano più vicine, più grandi, più minacciose. Non sapeva se fosse effettivamente quello l'intento di chi le aveva costruite, ma a lui parve di trovarsi davanti ad un'immensa montagna; gli sembrava quasi di poterne vedere la cima innevata, di poter apprezzare la bellezza degli animali che vi abitavano, di sentire la pungente freschezza sulla punta del naso. Ma, molto più di tutto quello, sentì pesante sulle spalle e nello stomaco la consapevolezza di essere insignificante. Nulla più che un granello di sabbia di fronte all'imponenza della terra stessa.

Il sole cocente di quel mezzogiorno d’estate, particolarmente caldo, bruciava i suoi occhi e asciugava quel poco sudore che la sua pelle riusciva a produrre. La carovana con la quale Laephia stava viaggiando aveva portato lui e un altro piccolo gruppetto di schiavi fino ad Ak’thar, un'enorme città che si estendeva lungo una vallata circondata dalle colline, il fiume che la attraversava come la venatura di un albero. Laephia sapeva tutto quello perché uno schiavo, un giovane umano dagli occhi brillanti e in volto l'espressione di chi ha sempre un piano in mente, si stava dilungando ormai da parecchio nel raccontare tutto ciò che sapeva su quel piccolo angolo di mondo.

L'elfo era il solo che ancora gli stava prestando attenzione, trovando straordinario e incredibilmente dolce il modo nel quale la sua voce sembrava più ricca mentre si dilungava a raccontare, saltando da un dettaglio all'altro senza un vero ordine o senso logico, lasciandosi guidare dalla memoria, con il solo desiderio di poter condividere il più possibile. Gli sembrava in qualche modo di vedere se stesso, quando ancora si trovava a Qelarth, una manciata di centinaia di anni prima.

Il ragazzo gli raccontò di come quella città fosse divenuta ciò che era grazie al commercio per nave, attraverso il fiume, e di come con il tempo era riuscita a imporsi come punto nevralgico per il sistema commerciale dell'intera regione.

«C'è un detto, da queste parti.» stava raccontando, guardando lontano, «Se non sai dove comprare qualcosa, cerca ad Ak'thar. Qui tutto ha un prezzo. Se puoi pagarlo, puoi averlo.»

Una parte di Laephia lo ascoltava affascinato, quasi pendendo dalle sue labbra, nonostante un'altra grande parte di lui non riuscisse a comprendere quel tipo di ragionamento. Per lui era ancora complicato capire il motivo che portava -alcune razze più di altre- a dare così tanta importanza al denaro, fosse esso rappresentato da grosse monete, pezzi d'oro, o pietre preziose. A Qelarth gli elfi vivevano di tutto ciò che la natura era in grado di donar loro, e il massimo del commercio era rappresentato dagli scambi che avvenivano a ogni cambio stagione con i minotauri sulle montagne, per questo Laephia non era in grado di comprendere perché i soldi avessero una così forte presa su altre creature, così tanto potere.

«Ed è per questo che noi siamo qui.» si intromise un lupo, i muscoli gonfi al di sotto del pelo grigio chiaro, «Siamo qualcosa che può essere comprato.»

«Tu non capisci.» ribatté l'umano, scuotendo la testa, «Questa per noi può essere un'opportunità! Se loro possono comprare la nostra schiavitù, significa che noi possiamo comprare la nostra libertà!» esclamò, gesticolando e cercando di ottenere l'attenzione degli altri schiavi, senza successo, «Dobbiamo solo trovare il modo ma se c'è un posto dove è possibile che questo accada, quel posto è proprio Ak'thar.»

Il lupo lo guardò per un istante, scuotendo poi il capo e voltandosi dall'altra parte, ma nonostante questo l'ottimismo del giovane umano non sembrava intenzionato a lasciarsi scalfire. Continuò ancora per un po' a raccontare ciò che sapeva, fino a quando le imponenti porte della città non spuntarono oltre la linea dell'orizzonte, spegnendo la sua voce e facendogli brillare gli occhi di irremovibile speranza.

Laephia si sentì minuscolo di fronte a quello spettacolo, le porte che mano a mano si facevano più vicine, più grandi, più minacciose. Non sapeva se fosse effettivamente quello l'intento di chi le aveva costruite, ma a lui parve di trovarsi davanti a un'immensa montagna; gli sembrava quasi di poterne vedere la cima innevata, di poter apprezzare la bellezza degli animali che vi abitavano, di sentire la pungente freschezza sulla punta del naso. Ma, molto più di tutto quello, sentì pesante sulle spalle e nello stomaco la consapevolezza di essere insignificante. Nulla più che un granello di sabbia di fronte all'imponenza della terra stessa.

L’entrata nella città fu lenta, principalmente a causa degli altri mercanti che con il loro seguito si avvicinavano come falene al fuoco, e questo non fece altro che aumentare il senso di impotenza che si allargava nel suo petto come acqua, riempiendone ogni più piccolo anfratto. Non aveva mai visto costruzioni così grandi, colonne talmente alte da dare l’impressione che potessero toccare il cielo, o che fossero state messe lì per poterlo sorreggere.

Le ruote del carro sul quale gli schiavi erano stati messi cigolavano ritmiche ad ogni sasso incontrato e ogni leggero dislivello nel terreno, ma quando superarono le immense porte, incontrando la pavimentazione più regolare della città, il cigolio smise improvvisamente, sostituito dal vociare brulicante che sembrava arrivare da ovunque, nelle strade. Nessuno di loro fu in grado di non affacciarsi, guardandosi intorno chi con pacata curiosità e chi con infantile meraviglia. Laephia apparteneva senza dubbio a quest’ultima categoria, facendo scivolare il proprio sguardo su tutto ciò che lo circondava con un’avarizia di particolari e una fame di dettagli che lo fece sentire più vivo che mai.

C’erano creature di ogni tipo, per le strade, alcune delle quali Laephia non sapeva assolutamente nulla, e la maggior parte di loro vestiva con indumenti leggeri ed estremamente colorati, sicuramente per contrastare il caldo afoso. Ma fu quando raggiunsero la piazza del mercato che la vera natura di Ak'thar si rivelò a loro in tutto il suo splendore.

La prima parola che quasi assalì l'elfo, alla vista della piazza, fu enorme. Per raggiungerla avevano attraversato una via piuttosto stretta, i centauri che trainavano il carro che avevano dovuto districarsi fra i vari passanti, e questo aveva reso il contrasto con l'ampia piazza ancora maggiore. Al centro troneggiava una stupenda fontana in quello che a Laephia sembrava una pietra molto chiara, attraversata da morbide venature più scure, e l'acqua creava dei giochi con i raggi del sole semplicemente fantastici. Tutto attorno, non vi era un solo angolo rimasto libero, quasi era impossibile scorgere la pavimentazione sotto ai piedi o agli zoccoli dei vari abitanti. Bancarelle grandi e piccole facevano bella mostra della loro mercanzia, oggetti che Laephia mai avrebbe potuto neanche solo immaginare nei suoi sogni più fervidi, i mercanti che a gran voce cercavano in ogni modo di attirare l'attenzione di chi si aggirava, quasi fiutando le tasche piene di monete.

«Ecco la Ak'thar che conosco...» mormorò il giovane umano, riportando l'elfo alla realtà della loro situazione. Affascinato da tutti quei colori, quei profumi, da tutta l'energia che vorticava in ogni angolo della piazza con una forza che raramente era stato in grado di percepire, Laephia si era quasi dimenticato di essere uno schiavo, giunto in quella vibrante città per essere venduto.

I centauri portarono il loro carro fino ad un angolo della piazza, dove un gruppo di persone si era già riunito davanti ad un palco in legno, leggermente rialzato per permettere a tutti loro di vedere con più facilità ciò che vi era sopra. Vennero fatti scendere e portati in una piccola tenda alle spalle del palco, all'interno della quale vennero immediatamente divisi e ognuno di loro fu affidato ad una creatura.

Laephia si ritrovò quindi sotto alle mani grandi e incredibilmente morbide di un'orchessa, la pelle di una brillante tonalità di verde e le piccole zanne ad abbellire un paio di labbra perennemente piegate in un caldo sorriso.

«Vieni qui, che sei tutto sporco.» stava dicendo, passandogli i polpastrelli sotto agli occhi e guardandolo con la fronte corrucciata, «E così magro! Se solo potessi prendermi cura io di te...» sospirò, scuotendo poi la testa, come a scacciare quel pensiero, per poi iniziare a passargli un panno umido su tutto il corpo, chiedendogli con estrema dolcezza di alzare le braccia, piegare la schiena o voltarsi. La sensazione di freschezza che quel gesto gli donò, non solo alla sua pelle ma anche al di sotto, più nel profondo, fu qualcosa che rischiò davvero di far commuovere Laephia; da quanto tempo non riceveva un gesto di tenerezza come quello? Da quanto si trovava circondato dalla durezza del mondo, dal suo aspetto più grezzo, da trovare bello in un modo quasi doloroso la gentilezza di un'altra creatura?

Decise di non pensarci. Non poteva e non voleva farsi del male a quel modo. Per questo si beò semplicemente di quel trattamento, sorridendole e ringraziandola per ogni passata di acqua fresca sulla sua pelle, per ogni movimento di spazzola fra i suoi capelli, per la meticolosa cura con la quale l'orchessa gli colorò il viso e le labbra con pigmenti profumati. La ringraziò anche se non doveva farlo, anche se lei scuoteva la testa dopo ogni "ti ringrazio", con un sorriso appena malinconico sul viso. Perché gli sembrava il minimo poter ricambiare la gentilezza con altra gentilezza.

Quando finalmente l'orchessa ritenne che Laephia fosse pronto, lei gli accarezzò dolcemente i capelli, prendendogli poi il viso fra le mani, quasi facendolo sparire, e sospirando lentamente.

«Mi auguro davvero che tu possa trovare un padrone che sappia prendersi cura di te.» gli mormorò, mentre al di fuori della tenda le voci delle creature si sovrapponevano le une alle altre, in un miscuglio di lingue e dialetti che Laephia non fu in grado di districare, «Che gli dèi ti proteggano, piccolo. Buona fortuna.»

Avrebbe voluto ringraziarla un'ultima volta, dirle quanto la sua tenerezza fosse stata un balsamo per la sua anima ferita, avrebbe voluto farle capire quanto forte fosse la sua speranza che lei non perdesse mai questo suo atteggiamento, ma non ne ebbe il tempo. Una creatura che Laephia non riconobbe, dalla pelle color fumo e gli occhi senza pupilla, gli prese il braccio, sospingendolo verso l'esterno.

«Ed eccoci arrivati ad una piccola perla, fra la mercanzia di oggi!»

La voce di un nano, possente come un ruggito, accompagnò lui e la creatura senza nome sul palco, permettendogli di scorgere il mare di volti e occhi ai piedi del palco, tutti puntati su di lui.

Improvvisamente, le creature fecero silenzio e un agitato brusio sembrò attraversare la folla come un fulmine. La creatura dagli occhi liquidi lo lasciò al centro del palco, facendo qualche passo indietro, lasciando Laephia al centro di un'attenzione che non riusciva a comprendere appieno. Non si sentiva propriamente a disagio, perché sapeva di non aver motivo di vergognarsi di qualcosa, ma nonostante questo era comunque in grado di percepire l'energia degli sguardi su di lui toccarlo in modo sgradevole, scivolargli addosso con la consistenza del miele.

Il nano, avvicinandosi, colse l'occasione di quel momentaneo silenzio per riprendere a parlare, consapevole che avrebbe avuto tutta l'attenzione rivolta alle proprie parole.

«Quello che avete davanti a voi, miei cari signori e mie care signore, è esattamente ciò che pensate: si tratta nientemeno che di un elfo, proveniente dalla lontana ed esotica regione di Uqorus.»

Laephia non riusciva a comprendere il motivo di quelle parole, ma vide le creature guardarlo con occhi di fuoco, il calore dei loro sguardi che sembrava intenzionato a volerlo divorare, come una bestia famelica pronta a saltargli addosso per tentare di placare la propria fame. Era un desiderio che aveva, suo malgrado, sperimentato altre volte ma che mai sarebbe riuscito a comprendere. Non aveva idea di come potesse apparire ai loro occhi, di cosa effettivamente vedessero, ma sapeva bene di come non fosse ciò che vedeva lui. Perché laddove lui vedeva un essere antico, risultato di secoli di magia e cultura, molte di quelle creature vedevano solo qualcosa di piccolo, debole, fragile; un giocattolo con il quale divertirsi, sul quale poter esercitare il proprio potere, per poi buttare via quando non diverte più.

«Ciò che avete di fronte ai vostri occhi, miei ospiti, è niente meno che un piccolo gioiello. Nemmeno le più prolifiche fucine di Moboud avrebbero potuto produrre di meglio.» continuò il nano, camminandogli attorno, spostandosi da una parte all'altra del palco con passo lento e calcolato, «Non solo per la sua esotica e rara bellezza, ma soprattutto per le numerose qualità che possiede!»

Il brusio della folla si fece più intenso, l'energia dei loro occhi più famelica.

«Nonostante le numerose esperienze alle sue spalle, avendo prestato servizio in alcune tra le migliori case di piacere della regione, questo schiavo rimane avvolto da un’aura di perenne verginità e innocenza, possedendo inoltre un’indole particolarmente docile! Non dovrete avere paura che si possa ribellare a voi, che i vostri desideri siano troppo arditi, o che il vostro impeto possa danneggiarlo; no, miei cari, potrete stare certi che questo schiavo saprà plasmarsi ad ogni vostro bisogno, rendendovi le creature più fortunate che abbiano mai posato piede su questa terra.»

«Il prezzo, nano! Dicci quanto vale!» lo interruppe una voce, che eruttò dalla folla come un vulcano e alla quale Laephia non fu in grado di dare un volto, e questo fece ridere di gusto la creatura accanto a lui.

«Noto con piacere che ho stuzzicato la vostra curiosità! Molto bene, vista la rarità di questa gemma della terra, il suo valore di base è stato fissato a 150 monete d'oro, o beni equivalenti.»

Laephia credeva di essere confuso, di essere in balia degli eventi e di non riuscire a seguire i discorsi del nano, ma tutto ciò che aveva percepito fino a quel momento non era nemmeno paragonabile a ciò che accadde appena la creatura terminò di parlare.

Un boato esplose dalla folla, un frastuono di voci che tentavano invano di sovrapporsi le une alle altre, nel quasi disperato tentativo di ottenere per primi l'attenzione del nano, il quale dal canto suo sembrava trovarsi totalmente a proprio agio in quella confusione. Una dopo l'altra, le offerte di denaro e di beni preziosi iniziarono a riversarsi su di lui, per un valore via via sempre più alto, un'esplosione di energia in una sorta di frenesia e eccitazione. Ci fu persino chi cercò di offrire i propri schiavi, ricevendo una risposta negativa dal nano.

Laephia era disorientato, trovandosi a fare involontariamente qualche passo indietro come se questo potesse aiutarlo in qualche modo, e cercò di proteggersi dalla loro insaziabile fame ritirandosi dentro se stesso, cercando di estraniarsi dall'ambiente circostante. Lentamente le voci iniziarono ad affievolirsi, le immagini a divenire sempre meno nitide, come terra gettata nell'acqua, e questo distacco gli diede la possibilità di vedere le proprie emozioni con maggior chiarezza. Si ritrovò davanti un mare scuro, in tempesta, minaccioso e ferito. Era il proprio sconforto, la propria profonda tristezza per le numerose lacerazioni che le creature erano solite farsi l’una con l’altra. Aveva visto il denaro essere usato per poter acquistare oggetti, materiali, pezzi di terra, persino essere scambiati con favori e servizi; ma mai si era trovato nella situazione di assistere al denaro, al freddo concetto così lontano dalla normalità della natura, venir usato per acquistare un essere vivente. E lui era vivo, vivo, aveva desideri, speranze, paure, riflessioni, qualità negative e positive, aveva tutto questo e anche di più! Come poteva qualcuno decidere quale fosse il proprio valore, confinarlo all’interno di un numero? Al di fuori del suo campo di concentrazione, al di fuori di se stesso, le voci si susseguivano, in modo leggermente più ordinato, e le cifre continuavano a salire.

Ma a Laephia non importava. Cosa avrebbe avuto di diverso, la creatura che avrebbe scambiato qualcosa di valore per poterlo avere, da tutte le alte che lo hanno posseduto? Il desolante spettacolo di vedere qualcun altro affannarsi a quel modo per poter dare qualcosa in più degli altri, anche solo una moneta in più, per riuscire a mettere le mani su di lui era quasi peggiore dell’essere venduto con un prezzo già stabilito. Laephia non era in grado di spiegarsi il motivo, ma ciò che stava accadendo su quel palco lo stava facendo sentire molto peggio.

Lo stava facendo sentire meno vivo.

Una mano si strinse al suo braccio, una stretta decisa ma non invadente, e l’elfo tornò immediatamente cosciente e di nuovo in contatto con la realtà, riconoscendo il tocco della creatura senza nome, dai bellissimi occhi grigi. La vide osservarlo senza una vera espressione, indicando poi la folla davanti a loro.

«Grazie per la sua offerta, è stato davvero generoso... » stava dicendo il nano, stringendo la mano ad un uomo dai capelli scuri, il vestiario radicalmente differente da quelli degli altri attorno a lui, facendo intendere come arrivasse da molto lontano.

La creatura senza nome spinse Laephia verso l’uomo, che lo guardava con un’espressione morbida che, però, non raggiungeva assolutamente i suoi occhi. Qualcosa in quell’umano lo agitava profondamente, facendogli venire una gran voglia di scappare. La sua mano gli strinse la spalla, con forza, un gesto che parve toccarlo molto al di sotto della pelle, come se fosse in grado di stringere fra le sue dita il centro esatto della propria esistenza, e questo riempì di un viscerale terrore la mente di Laephia, che si annebbiò.

Aveva di fronte qualcuno di gran lunga più pericoloso di altre creature incontrate in precedenza, di questo poteva esserne certo. Percepiva la sua magia vibrare ritmica, come un cuore pulsante, un organo avvolto da una sostanza come resina scura.

«È stato un piacere, nano.» rispose l’uomo, la voce divertita e pacata, una calma che fece sprofondare Laephia ancora di più all’interno della propria paura, per poi guardarlo direttamente negli occhi, piegando le proprie labbra in un freddo sorriso, «Sarà anche un piacere fare la tua conoscenza, elfo.»

Il sole cocente brillava con forza sulla piazza, nemmeno un filo d’aria a rinfrescare la sua pelle, ma Laephia non ne aveva bisogno. Una parte di lui, viscerale e antica, iniziò a sudare freddo mentre l’uomo lo attirava a sé, scendendo dal palco e lasciando al successivo schiavo lo spazio per poter essere acquistato.

E mentre attraversavano il mercato, facendosi spazio fra venditori e acquirenti, Laephia alzò gli occhi al cielo limpido, lasciando che il sole gli seccasse gli occhi e li facesse bruciare appena, e pregò, con una devozione e sincerità profonde, che la propria magia fosse forte abbastanza da farlo sopravvivere.

Fine.

laephia, terra incognita, fanfiction

Previous post Next post
Up