Regalo per:
iceriel Titolo: Say My Name
Autore:
mel_kaine Fandom: “Merlin”
Rating: NC-17
Avvertimenti: Nessuno
Personaggi: Merlin, Arthur, Hunith
Pairing: Merlin, Arthur
Prompt: U, Merlin non è mai arrivato a Camelot. Durante una battuta di caccia andata male Arthur perde la memoria e vaga per la foresta, solo e ferito. Presso un villaggio vicino lo accolgono, ignari delle sue origini, e lo curano. Il villaggio è Ealdor ed è Merlin che trova Arthur e se ne prende cura. Segue una romance fra i due, può essere nc-17, ma non necessariamente.
Conteggio parole: 2364
Dedica: Ad Eny (iceriel) fantastica scrittrice e amica spettacolare. Buon Natale tesoro e tanti tanti auguri yaoios
Il soffitto di quel posto era verde e bianco e azzurro e marrone insieme. Una spirale folle di colori intensi, che non avevano nessuna intenzione di smettere di danzare davanti ai suoi occhi.
Si portò una mano alla testa.
Dolore, nausea, bruciore, vertigini.
Cielo misericordioso, dov’era?
Non ricordava da dove era arrivato, non ricordava dove era giunto, non ricordava nemmeno il proprio nome…
Si alzò in piedi ed iniziò a vagare.
Prima o poi sarebbe giunto da qualche parte, no?
*
Merlin si guardò attorno e decise che quella piccola radura avrebbe rappresentato la fine della sua incursione fra i boschi, per quel giorno. Non si era spinto molto a nord, quel tanto che bastava per trovare le ultime bacche e della buona legna per sua madre. Ogni scusa era buona per allontanarsi da Ealdor e dagli sguardi malevoli di alcuni degli uomini del suo villaggio.
Respirò a pieni polmoni l’aria fresca e raccolse qualche ramoscello seccò. Ne radunò alcuni fino a formare un mucchietto che cosparse di foglie secche.
L’estate era arrivata da qualche tempo ed era stata più calda di quanto molti si aspettassero dopo un inverno così rigido.
Felice di essere finalmente solo con i propri pensieri, senza nessuno a giudicare ogni sua stranezza, ad osservare con sospetto ogni sua mossa, Merlin sorrise. Trasse dalla sacca che aveva con sé un piccolo coniglio morto e lo pulì con il coltello che Hunith gli aveva donato per il suo ultimo genetliaco. Dopo essersi guardato attorno, più per abitudine che per necessità, i suoi occhi si tinsero d’oro ed il legno secco prese fuoco.
Merlin cucinò il coniglio fischiettando allegramente un motivetto popolare che aveva sentito alla taverna del villaggio vicino qualche settimana prima, in cuor suo contento di quella giornata.
*
Probabilmente camminare senza meta non aveva giovato al suo malessere. Ancora non aveva incontrato niente di familiare, niente di utile per orientarsi, per dare un senso al vuoto dentro la sua testa. Adesso che anche il vuoto dentro lo stomaco aggiungeva a quella situazione altro disagio egli si trascinò pesantemente fra il fitto fogliame di quell’interminabile foresta.
La testa pulsava ancora, terribilmente, e la vista a tratti lo abbandonava, tanto da costringerlo a sorreggersi contro la corteccia di un albero ad ogni manciata di passi.
In lontananza gli sembrò di scorgere del fumo, potevano essere i suoi occhi annebbiati dal dolore e dalla febbre che lo stava consumando, ma tentare non avrebbe nuociuto, non aveva niente da perdere, tranne la vita che lo stava già lasciando.
Ancora qualche passo…
*
Un suono sordo, dietro di lui interruppe il tranquillo pasto del giovane Merlin. Come qualcosa di pesante che cadeva a terra. Temendo l’attacco di un cinghiale o di un orso Merlin balzò in piedi, una mano stesa davanti a sé, l’altra stretta attorno al coltello.
Ma non accadde niente.
Nessun verso disumano seguì quel rumore, nessun ramo spezzato nella furia della carica, nessun gruppo armato di banditi, nessuna belva.
Silenzio.
Deciso a scoprire cosa si nascondeva dietro la radura Merlin avanzò cautamente, un passo per volta, fino ad essere costretto, per inoltrarsi fra le fronde, a scostarne alcune.
Quello che vide dopo aver spostato l’ultimo ramo lo lasciò interdetto per qualche istante prima di spingerlo a riprendersi ed agire.
Un uomo riverso a terra.
Un uomo ferito, privo di sensi.
O forse morto.
Dannazione!
Eh sì che la giornata era iniziata bene, naturalmente non poteva durare…
Preso coraggio Merlin si avvicinò, inizialmente per constatare se l’uomo fosse vivo o meno.
Lentamente il ragazzo dai capelli scuri si chinò sul corpo dello sconosciuto e allungò un dito per sentire se v’era o meno una qualche sorta di respiro sotto le sue narici …
Sì, respirava, respirava!
Era vivo.
Velocemente Merlin osservò le sue condizioni. Non sembrava essere stato colpito da una freccia né attaccato da un animale, ma Merlin non poteva esserne sicuro senza prima girarlo sulla schiena.
Lo sconosciuto sembrava pesante.
Merlin avrebbe desiderato portarlo accanto al fuoco accesso, esaminare le sue ferite, aiutarlo.
Al tempo stesso la voce della ragione che era in lui gli diceva di andarsene, di badare ai propri affari, di non immischiarsi in brutte faccende solo per il desiderio di rendersi utile per un perfetto sconosciuto. L’uomo poteva essere un ladro, un assassino, un ricercato. E chiunque lo avesse conciato così poteva essere ancora vicino.
Ma la voce della sua coscienza, quella vicina al suo cuore e alle sue emozioni, dissentiva fortemente da quell’egoistica visione.
L’uomo aveva bisogno d’aiuto, magari aveva una famiglia che lo aspettava da qualche parte, magari si era perso ed era stato attaccato. Se lo stesso fosse capitato a Merlin lui avrebbe voluto essere aiutato, magari anche solo accompagnato verso le porte dell’aldilà da una voce gentile, una voce amica, considerato e non lasciato nel bosco come la carcassa di un animale.
No, Merlin non era mai stato così crudele, mai così insensibile.
E non avrebbe certo cominciato adesso.
Lo avrebbe aiutato.
Si guardò freneticamente intorno, il silenzio lo snervava, ma almeno era indice che qualunque cosa o persona responsabile aveva perso le tracce della sua preda. Erano soli e l’uomo era ancora incosciente, quindi Merlin fece l’unica cosa che poteva fare. Lasciò brillare i propri occhi e sollevò da terra lo sconosciuto, lasciandolo fluttuare davanti a sé fino ad adagiarlo a terra davanti al fuoco che aveva acceso.
Si inginocchiò subito accanto a lui e lentamente, facendo attenzione a non aggravare le sue condizioni, lo girò.
Un ragazzo.
Un ragazzo come lui, il viso pallido, i capelli biondi, i lineamenti forti, ma aggraziati. Anche sotto lo sporco ed il sangue Merlin non poté che notare quanto fosse giovane, proprio come lui.
Al solo ricordo di aver pensato di poterlo lasciare lì, come un rifiuto fra le foglie, a marcire con esse, il giovane mago tremò.
Poteva essere lui.
Poteva essere lui, steso lì a terra, ferito, incosciente.
E sopra ogni altra cosa avrebbe desiderato essere aiutato.
Adesso che sapeva cosa gli era richiesto Merlin prese ad interrogarsi su cosa doveva fare.
Dannazione, non lo sapeva.
Non sapeva se cercare prima le possibili ferite o cercare di svegliarlo a tutti i costi o fargli bere dell’acqua.
Non ne aveva idea.
Per il cielo misericordioso, aveva visto tanti abitanti del villaggio ammalarsi o venire feriti, ma non erano mai stati una sua preoccupazione né una sua diretta responsabilità.
Sua madre o le altre donne del villaggio erano solite occuparsi dei malati…
Ma adesso sua madre non era lì e quel ragazzo aveva bisogno d’aiuto.
Aveva bisogno di lui.
Lo sistemò meglio accanto alle fiamme, si sfilò la giacca e lo coprì con essa. Corse al fiume lì dietro e riempì una delle ciotole che aveva portato con sé con dell’acqua fresca. Tornò al suo piccolo, improvvisato, campo e si tolse il pezzo di stoffa che portava sempre al collo. Lo bagnò e lo usò per detergere il sangue e la terra dal viso dello sconosciuto.
Poi, d’un tratto, arrossì.
Non che prima avesse guardato con molta attenzione, ma adesso non poté fare a meno di notarla, la bellezza di quel ragazzo.
Usando tutta la delicatezza di cui era capace Merlin lavò via il sudore, la terra ed il sangue incrostato da quel viso regolare, dalle delicate, sottili labbra, dal mento deciso, dagli zigomi perfetti, da quelle ciglia lunghe, da sotto quei fili dorati come grano maturo.
Non aveva mai visto un uomo così bello.
Aveva sempre, magari scioccamente, pensato che la bellezza, l’avvenenza, fossero caratteristiche nate per accompagnare la vita delle donne ed i pochi stranieri che aveva incontrato, magari di passaggio in Ealdor, erano solo vagabondi o mercenari dai volti pieni di cicatrici ed i denti rotti e storti.
Invece il viso dello sconosciuto davanti a sé poteva reggere il confronto con qualunque donna Merlin avesse mai trovato attraente e le labbra socchiuse lasciavano intravedere denti perfetti e bianchi come la neve. Eppure l’elegante complesso delle linee che componevano la sua faccia, il suo corpo, nulla toglievano alla fermezza dei suoi muscoli o alla costruzione possente del suo aspetto. Persino privo di coscienza e pallido per le ferite quel ragazzo sembrava poter essere un valido opponente per qualsiasi soldato di professione.
Velocemente Merlin portò a termine il suo compito e si allontanò per cercare nel sottobosco alcune foglie curative. Ricordava di averne raccolte molte durante gli anni per sua madre e per la madre di Will, il suo migliore amico. Sapeva che aspetto avevano e sapeva farle bollire per ottenere infusi medicamentosi.
E così fece.
Poco dopo si sedette sui talloni accanto a quel ragazzo e cercò di svegliarlo per convincerlo a bere.
Non conosceva il suo nome, ovviamente, quindi lo scosse con cautela.
Due occhi azzurri si aprirono confusi, lentamente.
Guardando tutto e niente al tempo stesso, poi si posarono su di lui.
E si fecero scuri, tesi. Quel corpo, fino a quel momento rilassato, s’irrigidì sotto le mani del giovane mago.
Merlin cominciò a parlare per calmarlo ben prima di rendersene conto.
“Ti ho trovato nella foresta, privo di sensi. Devi aver preso un brutto colpo alla testa ed i tuoi vestiti sono ancora umidi. Ho preparato questo, ti aiuterà a tenere bassa la febbre. Bevilo”.
Quello sguardo ancora non lo lasciava, lo scrutava come a chiedere silenziosamente quanto potesse fidarsi di quelle parole, quanto potesse lasciarsi andare.
Merlin trattenne il fiato fino a che non vide quelle labbra posarsi sul legno della ciotola e bere avidamente.
Gli sorresse la testa e lo tenne contro di sé poi, quando ebbe finito, lo aiutò ad adagiarsi nuovamente a terra.
Il ragazzo senza nome lo guardò fino a che il sonno non lo portò via ancora una volta.
La nona non era ancora giunta, avevano del tempo prima dell’imbrunire.
Merlin s’interrogò sul da farsi.
Sua madre lo aspettava al villaggio, non poteva allontanarsi per avvertirla e non poteva chiedere aiuto a nessuno degli abitanti.
Presto avrebbe dovuto lasciare i boschi, ma non poteva abbandonare lì quel ragazzo.
L’unica soluzione era la sua magia.
Si passò una mano fra i capelli, scompigliandoli.
Avrebbe atteso il tramonto nella foresta e poi, con l’aiuto dell’oscurità e del suo potere, avrebbe condotto quello sconosciuto al villaggio, fino alla sua casa.
*
Non che ne avesse le forze, ma anche potendo egli decise che non avrebbe aperto gli occhi. Provò a concentrarsi sui suoni attorno a sé e poté udire il crepitio delle fiamme ed il silenzio del bosco. Il sapore amaro delle erbe che sentiva in bocca ed il calmarsi della sensazione di nausea che lo aveva assalito al suo precedente risveglio gli assicurarono che quella macchia indistinta, nera e azzurra e pallida, non era stata un miraggio. La voce che aveva udito, e che gli aveva implicitamente chiesto di fidarsi, non era stata un’allucinazione.
Qualcuno era lì con lui.
Eppure, dopo i primi istanti di agonizzante timore, non avvertì pericolo.
I suoi sensi erano quieti e ben presto egli si fece vincere dal torpore e si assopì.
*
Il sole proseguì nel suo lento migrare, costante e sicuro come le fondamenta della terra. L’orizzonte ben presto si tinse di rosa e poi d’indaco e quindi calò la sera.
Merlin seppe che era il momento di andare.
La vita notturna della foresta sarebbe iniziata presto ed egli, davvero, non avrebbe voluto essere lì fuori quando le bestie avrebbero lasciato le loro tane per cacciare nella notte.
Raccolse le poche cose che aveva portato e gettò via il poco infuso rimasto.
Ad intervalli regolari aveva destato quel ragazzo senza nome e lo aveva convinto a bere.
Spense le braci con della terra e sistemò il coniglio avanzato nella sacca.
Si guardò attorno.
Adesso che era tutto pronto non poteva attendere oltre.
Nella sera appena scesa i suoi occhi brillarono ed egli portò via lo sconosciuto dalla foresta.
*
Hunith si affrettò verso la porta dove qualcuno bussava insistentemente da qualche istante.
Probabilmente era Merlin, di ritorno dai boschi…
Ma quando aprì la porta due teste, una bionda ed una mora, furono tutto quello che vide.
“Presto, aiutami a portarlo dentro” mormorò la voce di suo figlio.
Senza fare domande la donna fece quanto le veniva chiesto.
Sotto il peso del corpo di quel ragazzo ancora senza un nome Merlin arrancò fino al piccolo giaciglio di legno, stoffa e paglia che da sempre era stato il suo letto e lì, con tutta la cautela che riuscì ad esercitare, adagiò il giovane che aveva salvato.
Sospirò e prese fiato.
Sentiva gli occhi di sua madre sulla schiena e sapeva di doverle delle spiegazioni.
Si volse, un sorriso tirato sul viso.
“Non temere, è tutto a posto, madre” disse, senza sapere se con quelle parole tentava di rassicurare lei o se stesso.
Ella, comunque, non sembrava convinta.
“Merlin, posso sapere cosa succede?”
E lui le spiegò quanto accaduto nella foresta fino a quei momenti. Seduti l’uno accanto all’altra davanti al fuoco.
Hunith, nonostante tutto, sorrise quando egli tacque.
Suo figlio non sarebbe mai cambiato.
Lo aveva educato bene e sarebbe sempre stata orgogliosa di lui.
Gli accarezzò il viso con una mano, comunicandogli senza parole la propria approvazione.
In risposta il sorriso di Merlin si fece luminoso come le fiamme.
Poco dopo ella si alzò.
“Lasciami controllare le sue condizioni” disse, quando Merlin fece per raggiungerla.
Hunith si piegò sul corpo esanime del giovane uomo.
Oh cielo misericordioso, avrebbe potuto essere suo figlio…
Lo sistemò comodamente sotto le coperte, non prima di averlo spogliato e di aver esaminato, con occhio esperto e veloce, l’entità delle sue ferite.
Merlin si fece vicino, in silenzio.
Quando ebbe finito ella diede due o tre ordini al figlio e si fece portare quanto le serviva.
“Le sue condizioni non sono disperate… - disse mentre sistemava una benda attorno alle tempie del giovane dai capelli biondi. - Un taglio sulla fronte ed un grosso bernoccolo dietro la testa. Quest’impacco ridurrà il gonfiore. Passami il panno bagnato. La febbre è ancora alta nonostante l’infuso che gli hai dato. Possiamo solo lasciare che faccia il suo corso, poi sono certa che si rimetterà”.
Merlin sorrise, di nuovo, poi le posò delicatamente una mano sulla spalla.
“Vai pure a riposarti, veglierò io su di lui”.
Ella annuì e lo lasciò.
Continua…