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L’amore furtivo
“Doubt that the stars are fire,
doubt that the sun doth move,
doubt truth to be a liar,
but never doubt I love.”
William Shakespeare
Si sorrisero senza separarsi, complici e innamorati.
Poi lui la sollevò per i fianchi e, girando su se stesso, la posò sulla vecchia cassettiera, cosicché i loro visi si trovassero alla stessa altezza. La gonna divenne una cascata di tulle nero sul legno intarsiato, appena brillante nel buio.
«Zero…» sospirò lei, accettando la sua carezza.
La mano del ragazzo era piacevolmente tiepida a contatto con la sua guancia arrossata, così emozionata per il momento segreto. La mansarda del collegio Cross era sempre deserta, la finestra celata da pesanti tendaggi; nessuno sarebbe venuto a visitare quelle stanze fredde a mezzanotte, soprattutto in una notte di nebbia. I dormitori apparivano una meta molto più ragionevole, confortevole e accogliente.
Nessuno, pertanto, li avrebbe sorpresi.
«Il ballo sarà finito, ormai» disse Zero, baciandola sul collo ― proprio là dove, pochi attimi prima, l’aveva morsa. «Dovremmo controllare che rientrino tutti.»
«Non m’importa. Ah…»
Come avrebbe potuto importarle, mentre era lì con lui, vicina a lui, e la sua mano inesperta ma dolce risaliva lentamente sotto il vestito?
Una breve risata.
«Cosa?» mormorò nel suo petto.
«Yuuki, sei dannosa al mio senso di responsabilità… perché non importa neanche a me.»
E quando lei, raddrizzatasi un poco, vide il divertimento nei suoi occhi malinconici, non ebbe affatto paura dell’ombra rossa che ancora vi aleggiava. Non l’avrebbe temuta mai più. Ormai, la prova che Zero era un vampiro…
…per lei, rappresentava la prova che era vivo.
Sopraffatta dal pensiero del futuro, pregò di poter vedere quegli occhi ancora per molti, molti anni. E in loro, l’ancor più preziosa, insostituibile anima di Zero.
Prese il suo volto fra le mani, lo baciò e si lasciò trarre sull’orlo della cassettiera, racchiudendolo nel proprio abbraccio.
Ti amo.
***
Allora diventerò donna
“Non arrendersi prima che sia finita, non dubitare.”
Vincent Van Gogh
Quell’uomo… cosa devo pensare di lui? Il maestro di Zero… una persona importante, senza dubbio.
Anche se in questi quattro anni non s’è mai fatto vedere.
Anche se non ne ho mai sentito parlare.
Lo osservo in lontananza, corrugando la fronte.
Immagino che Zero abbia imparato da lui tutto ciò che sa dei vampiri e della caccia. E magari anche qualche abitudine, qualche modo di dire, chi lo sa? Sarebbe bello scoprirlo. Vedere cosa è veramente di Zero e cosa delle persone che ha incontrato, che lo hanno cresciuto, conosciuto in quel tempo di cui io non so niente.
Come lui ha rielaborato nel suo modo inconfondibile quelle nozioni.
Ma non ora.
Perché quest’uomo ― questo Yagari Toga ― gli ha sparato.
Ha puntato il fucile, così, contro la sua schiena, e premuto il grilletto. Senza batter ciglio.
«Muori portandomi rancore, vampiro!»
Dirgli una cosa simile…
Poi―
«L’ho isolato.»
E ora, supplente di etica per la Night Class? Lo faranno a pezzi. Che cosa sarà passato per la testa del preside? Far venire qui al collegio un tipo del genere… fargli fare una cosa del genere.
Permettergli di trattare Zero in questo modo.
Le gambe mi tremano dalla stanchezza. E’ piacevole il muro contro la schiena: mi appoggerò un poco, solo un attimo, mentre aspetto che quell’uomo esca dalla classe. Allora, quando lo farà, mi dirà dov’e Zero; e finalmente potrò andare.
Zero si trova chissà dove, solo.
Ha bisogno di me.
Io andrò, sempre.
All’improvviso la porta si apre e Yagari Toga esce, rapido e sicuro, apparentemente incolume. Sembra sorpreso di vedermi.
Me lo fa notare, asciutto.
«Come guardian, non posso permettermi di far finta di non vedere… ciò che non voglio» gli rispondo, evitando i suoi occhi.
E’ così. Come guardian del Collegio Cross, non posso permettermi di ignorare che c’è un vampiro assetato nell’area della scuola; un vampiro affamato e disperato, pressoché libero. Come amica… non posso dimenticare il volto rassegnato di Zero.
«Sei una brava bambina» mi dice quell’uomo, sorridendo.
Ma quel che vuole dirmi non mi piacerà.
«Però, ormai non c’è più niente che una brava bambina come te possa fare.»
Ah, è così? Allora… allora…
«Se hai lo stesso intenzione di vederlo, vai! E’ nella stanza degli ospiti, nell’area privata del direttore.»
I miei piedi volano.
Zero, se non c’è nulla che io possa fare per te, così―
―allora diventerò donna.
***
L'incanto dei loro sospiri
“L’amore è, anzitutto,
il dono di se stessi.”
Jean Anouilh
La vecchia pendola batté le otto, invadente nella piccola sala da pranzo.
L’atmosfera ne fu non poco scossa, poiché la tensione, quella sera, aveva raggiunto altezze sorprendenti; morta era la conversazione sul nascere e i commensali gettati in uno stato di catatonica allerta. Zero era ormai sicuro d’aver esaurito domande, spiegazioni, autoconvincimenti e occhiate interrogative. E anche la pazienza, forse.
Il problema era Yuuki.
Ironia a parte, il ragazzo non riusciva a ricordare un periodo tanto penoso tra loro. Neanche i primi giorni del suo arrivo l’avevano messa così in soggezione… o forse era lui a non ricordare, il che era anche possibile.
Prese il telecomando e alzò il volume, cercando di distrarsi con le previsioni del tempo.
Perché? Perché così silenziosa? In tutta la sera non aveva detto che poche parole e ora, meccanica, si spalmava del burro su una fetta di pane, fissando caparbiamente il tavolo ― senza nemmeno commentare la stupida musichetta del programma, come amava fare da anni sapendo di irritarlo.
Che stesse poco bene?
Oppure… aveva paura?
No, questo no. Ormai Yuuki non temeva più.
L’aveva saputo subito, quel giorno, bevendo dal suo fragile polso senza staccare gli occhi dai suoi. L’aveva appreso nel silenzio, senza bisogno di dichiarazioni. Non rabbrividiva più al contatto.
E sebbene lo Zero cacciatore di vampiri trovasse la scelta assai discutibile, lo Zero vampiro ne dipendeva come e forse di più che dallo stesso sangue. Per questo, dopo tale scoperta ― e alla luce di tutte le intime, esaltanti esperienze dei morsi, quando la stringeva a sé o la guardava dritta negli occhi, spaventato ma anche affascinato dalla possibilità che lei capisse ― non avrebbe mai creduto di poterla ritrovare così.
All’improvviso, un’intuizione.
Kuran.
Che quel purosangue… le avesse parlato?
Che le avesse detto quel che aveva già esternato piuttosto chiaramente anche a lui, Zero Kiryuu, la notte dopo la cacciata degli emissari del Senato? Cioè che teneva a lei… e la desiderava.
Che la voleva per sé e per nessun altro.
Per sempre accanto…
Sì, doveva essere andata così. Da questa prospettiva molti avvenimenti acquisivano senso ― il fatto che Yuuki arrossisse spesso, che balbettasse e rispondesse alle domande con monosillabi o, del tutto all’opposto, con discorsi senza capo né coda.
Si portò una mano alla bocca, fingendo di appoggiarsi.
Il pensiero di quanto in realtà lei dovesse esser felice gli provocò un eccesso di bile.
Zap.
«Uh?»
«Oh, s’è spento» osservò Yuuki, guardando il televisore. «Avrai toccato qualcosa.»
«Per niente» rispose, premendo il tasto d’accensione sul telecomando.
Bip.
…
Bzzz.
Lei addentò il pane e non commentò oltre, affascinata dalle bizze del televisore. Fu allora che Zero cominciò a spazientirsi.
S’alzò bruscamente da tavola e abbandonò il telecomando, per cingere d’assedio il televisore insorto.
Al diavolo, che glielo dicesse e basta. Non avevano sempre parlato di tutto? Anche della sua pietosa cotta per quel vampiro? E allora che problema c’era a metter la ciliegina sulla torta… almeno l’avrebbero piantata con quella commedia.
Controllò i cavi sul retro della tv, dando poi al catorcio una sana manata.
«Maledizione. Dirà che gliel’abbiamo rotto noi.»
E, gettate momentaneamente le armi, s’accaparrò la sedia più vicina per studiare una nuova strategia.
«Sai se ha ancora le istruzioni?»
«Nhnh.»
Un sospiro.
Fu in quel momento, fissando lo schermo, che poté ammirare il preciso riflesso della stanza.
E quello di Yuuki, che leccava la punta di un coltello, sporco di marmellata.
Guardando lui.
«Smettila. Ti farai male.»
Yuuki sobbalzò, interrompendo il contatto visivo.
E si fece male.
«Ahi!» gemette, toccandosi il labbro inferiore.
Vide Zero passarsi una mano tra i capelli, esasperato. Accidenti a lui.
Posò il coltello sul piatto e, sempre con la mano sulla bocca, cominciò a perquisirsi le tasche per rintracciare un fazzoletto. Sarebbe stato tutto più facile se l’ora della ronda fosse suonata. E se il preside non fosse andato fuori città, anche, insistendo perché cenassero ugualmente insieme, con la scusa del suo benedetto “spezzatino delizioso, fatto con amore, suo stile, da non perdere assolutamente”.
Sospirò.
A dispetto di tutti i suoi desideri, sapeva benissimo che né la ronda né il preside avrebbero anticipato il loro categorico orario d’arrivo; e, soprattutto, che né Zero né lei si sarebbero mai sognati di disertare uno spezzatino offerto in quel modo ― non ne avrebbero più sentito la fine.
Era un invito-capestro.
Così, quella sera eran piantati lì e basta, sin dalla conclusione delle lezioni. Yuuki avrebbe dato qualsiasi cosa per poter scappare.
E per restare tutta la notte.
Non aveva la più pallida idea di come comportarsi.
Strinse le labbra, facendosi ancor più male.
«Che cosa sono io per te?»
Ora sapeva la risposta a quella domanda. La sapeva… ed era confusa.
Com’è possibile ― pensò, osservando Zero di nascosto ― che non me ne sia mai accorta? Dopo tutto questo tempo…
Distolse lo sguardo, timorosa che in qualche modo lui potesse sentirla. Quel che più di tutto la gettava nel panico, alla fine, era sapere di dovergli una risposta.
Come reagirebbe? …Sorriderebbe? Riderebbe? Mi darebbe… della stupida? Era spaventata da quel “dopo” ignoto, imperscrutabile, che avrebbe potuto rovinare per sempre ciò che era riuscita a salvare persino dalla vera natura di Zero. Ma, alla fine, potrei fingere di non sapere, di non ricordare, e lasciare che il tempo finisca?
Il respiro le si mozzò. No. Sapeva di non poterlo fare.
Ma che cosa sono io per Zero?
Fu allora che si accorse di quanto la sua schiena, così vicina, fosse rigida.
Mosse la mano senza pensarci, per chiamarlo, mentre il suo sguardo veniva attratto dal riflesso del movimento sullo schermo. Quella superficie nera le rimandò anche l’immagine del suo viso, distorto e per nulla femminile. E del suo mento…
…un mento imbrattato di sangue.
Accanto, spalancati, c’erano gli occhi di Zero.
Ah…
Tu-tum.
«…»
Subito, quasi le avesse letto nel pensiero, il ragazzo s’alzò per andarsene. E altrettanto rapidamente Yuuki lo fermò, tenendolo per il retro della felpa ― un movimento rozzo, incoerente, che fece ruzzolare in terra la sedia.
«No!» disse, rauca. «Non andartene!»
Se possibile, Zero divenne ancor più teso.
Tu-tum.
Era abbastanza chiaro che aveva capito; e Yuuki non sapeva se fosse più terribile il suo rifiuto o il fatto che, nonostante tutto, avrebbe dovuto chiederglielo.
Cercando di calmarsi e dominare il cuore impazzito, guardò alcune gocce di sangue precipitare fra loro.
Che cosa sto…?
Il rumore della dolce collisione accelerò il respiro di Zero. E lei si chiese se ne aveva il coraggio.
«Zero…»
«Yuuki» il suo tono era urgente, «mollami.»
«No.»
«Perché mi fai questo?»
«Zero, sul serio, non… non importa, io―» Non importava? Dio, cosa stava dicendo? «Fallo e basta―»
Ma lui si mosse bruscamente per liberarsi e, nel tentativo di farlo voltare, Yuuki gli poggiò la mano sporca di sangue sul viso. Il ragazzo s’immobilizzò. Poi, all’improvviso, dopo un istante infinito, si girò e la spinse contro il tavolo, impossessandosi del suo polso.
«Perché? Perché vuoi spezzare del tutto il mio controllo?»
«Perché non chiedi mai, se hai bisogno?»
Il suo sguardo divenne duro.
«Smettila. A che gioco stai giocando?»
Yuuki sentì la stanza gelare. Senza lasciare i suoi occhi, paralizzata, levò la mano libera per toccargli l’avambraccio.
«Nessun gioco» rispose con un filo di voce. «Credi che potrei…?»
«Allora» ribatté Zero dopo qualche istante, avvicinando l’altra mano della ragazza al viso, il palmo sollevato. «Spiegami tutte queste coincidenze.» E, lento, languido, mentre i suoi occhi scolorivano nel brillante colore del sangue, chinò il capo sino a posarvi le labbra, tracciando ogni più piccola linea della pelle.
Yuuki abbassò le palpebre all’istante.
Non si aspettava una resa tanto rapida da parte sua, e questo confermava i suoi timori ― Zero s’era nuovamente spinto ai limiti.
Avrebbe voluto parlarne, rimproverarlo, ma non era questo ad importare, ora. Non questo. Perché entrambi erano rientrati in quel mondo che era loro soltanto, privato, insostituibile, irresistibile; e non si tornava indietro.
Non voleva tornare indietro.
Che cosa sono i vampiri? Possono capire i sentimenti dal sangue?
Quando lo sentì staccarsi dalla mano, che non aveva morso, rimase com’era.
In quei pochi attimi il mondo s’era trasformato. La mera solidità del tavolo, il calore della bocca di Zero, un pulsare doloroso al labbro… soltanto quello esisteva. Né la stanza dove si trovavano, né il collegio, né il mondo che li divideva e li perseguitava vivevano più. E quante volte era successo! Tante, senza che lei si accorgesse di nulla.
Ma ora non più, non più.
Pertanto, non avrebbe accettato la sofferenza sul volto di Zero. Amandolo cancellava la colpa che sempre, costantemente lo schiacciava.
Sì, ne era convinta.
«Fallo» sussurrò.
«Yuuki…»
«Finisci ciò che hai iniziato quella sera.»
Non aggiunse altro.
Gliel’avrebbe taciuto, ancora un poco.
Ma come avrebbe potuto, Dio, spezzare l’incanto dei loro sospiri?
Mentre Zero chiudeva la distanza che li separava e le suggeva con dolcezza il mento, tenendola per le braccia, fermo ma gentile ― non la stretta convulsa ed erotica del bisogno, quanto piuttosto il tocco del desiderio appassionato ― si sentì morire. Seppe che lui era il primo e l’unico. Nessuno l’avrebbe mai sostituito. Nulla l’avrebbe mai risarcita della sua perdita.
E giurò a se stessa che l’avrebbe salvato.
Perché io, Zero…
Dall’interno della sua gola, dove una goccia di sangue ribelle era scesa, al contorno del suo viso… insieme a quei baci salirono i battiti del suo cuore, l’intensità di ciò che entrambi provavano.
Giunto alla meta, Zero indugiò baciando la curva del mento, sconvolto per quanto stava facendo senza il minimo controllo, ansioso, desideroso, follemente innamorato.
…ti amo.
Priva ormai della parola, Yuuki si aggrappò a lui con tutte le sue forze.
I suoi occhi erano ancora chiusi quando le loro fronti si toccarono.
Ti amo!
***
Straordinario ed emozionante
“I give my heart for you to break.
I give my final breath.
When nothing lasts forever see
what we can turn eternity into.
And I just want to get closer than close to you.”
Bee Gees
Era venuta a lui con passo tranquillo, quella notte, mentre il grande incendio sferzava le terre boschive del collegio; e gli aveva rivolto le parole più belle che lui avesse mai udito.
Da quel giorno era iniziato un sogno.
Zero Kiryu non voleva essere spensierato ― portava male e, comunque, non se ne credeva fisicamente capace ― ma poche cose nella sua vita gli erano parse difficili come resistere a quell’euforia, quell’esilarante completezza.
Scorgere i suoi rossori da lontano, e sapere che erano per lui; camminare al suo fianco o semplicemente avvicinarla, per sentire subito il tocco della sua mano sul braccio; stringerla e attirarla in un bacio, anche se di rado, un gesto tuttora straordinario ed emozionante…
Poi, studiare insieme ad ogni occasione. Andare in città per il preside e trasformare le commissioni in uno svago continuo, sebbene lui cercasse di fare l’indifferente, di mantenere una qualche specie di decoro.
Un comportamento ridicolo.
Una sensazione legata al “prima”, quando facevano cose assai simili, ma con spirito diverso ― quanto diverso!
Oppure, ancora… dopo la ronda notturna, finite le lezioni della Night Class… quando ancora la sagoma di Kuran doveva scomparire oltre i cancelli del dormitorio, sollevarla da terra; porre fine a quella normale vicinanza, alle parole di tutti i giorni, e tenerla stretta contro di sé. Portarla senza fretta al loro posto segreto, ascoltando prima le sue imbarazzate proteste, poi un respiro tremulo sul collo, infine la frase che cancellava qualsiasi senso di colpa: “ti voglio”.
Come adesso.
Chiudere entrambi a due passi dal mondo.
Lasciarsi dietro una scia di vestiti; inciampare, rapiti, nelle loro stesse gambe e cadere sul letto.
E poi… le sue mani. Sul viso, nei capelli, sulla schiena, tremanti ma coraggiose.
La sua voce, dolcemente disperata.
«Zero.»
Tutto questo…
La baciò.
Ah― stava ricevendo troppo, la stava amando troppo. Non avrebbe dovuto amarla così.
Né avrebbe dovuto essere amato così tanto.
Un gemito. Strinse i pugni, cercando di non soccombere.
Yuuki rispondeva, toccava i suoi canini ― un’abitudine che gli toglieva il fiato, l’orientamento, qualsiasi controllo. E lei lo sapeva. Le zanne che tante volte l’avevano morsa, adesso lei le carezzava con naturalezza un po’ ritrosa, ricambiando le sue attenzioni col più intimo dei gesti; emettendo quei suoni; strappandogli quei suoni.
E Zero era vinto.
Per quel poco che rimaneva, quel purgatorio improvvisamente depurato dagli orrori, non avrebbe più taciuto, concedendosi di desiderarla e di essere desiderato.
Di baciarla, sino a lasciarla senza fiato.
Di toccarla.
Di farla gridare…
E di stringerla mentre si addormentava esausta nel suo letto, portandolo con sé.
Tutto questo ― più di quanto avesse mai osato sognare, in realtà. Tutto questo… qualcosa che non poteva né voleva più rifiutare.
E quando infine fosse giunto il tempo del risarcimento, del regolamento di conti, privo di una qualsiasi speranza cui aggrapparsi, l’avrebbe accettato senza rimpianti.
Conteggio parole: 469.
Traduzione citazione: “Ti offro il mio cuore da spezzare./Mando il mio ultimo respiro./Quando nulla dura per sempre, vedi/cosa possiamo trasformare in eternità./ E voglio solo venirti vicino, più vicino.” (Bee Gees, Closer than close) Letteralmente “closer than close” si dovrebbe tradurre “più vicino di vicino” (aww <3), ma suona maluccio in italiano… quindi l’ho reso in modo libero.
***
I prigionieri
"La solitudine, unendosi alle anime semplici, le complica."
Victor Hugo
Nevica. Una cortina fitta, densa, ma non sferzante ricopre il bosco, in una marcia fredda e dolente. Come le dita morse dal gelo, come il fiato che sale ― perdendosi ― verso la grigia volta celeste, la notte si muove senza rumore.
Si accendono alcune luci nella casa: suoni di passi, suoni di voci, suoni di primi approcci.
E, fuori, sul fianco della collina, Kaname Kuran ricorda.
Ricorda un’altra notte, scesa sei anni prima, mentre nevicava in modo non molto diverso da adesso; la notte in cui, tempestivo assassino, ha salvato la vita a una bambina, “Yuuki Cross”. Una cosetta piccola, intirizzita e indifesa.
Soprattutto davanti a uno spettacolo come quello.
Poi un’orfana accolta in casa dal direttore. E, dopo ancora, l’unica oasi di pace per un ingabbiato come lui.
Allora chiude gli occhi e ascolta pacificamente il proprio respiro, indifferente al ghiaccio.
Vuole vederla. Vuole parlarle e assicurarsi che stia bene.
Gli basterebbe anche avvicinarsi a una finestra, per controllare da lontano. Lo ha fatto tante volte.
Vorrebbe sentirsi meno solo, anche soltanto per un attimo.
Ma sa che stasera non deve.
Non può, perché nel loro cerchio è entrato un nuovo prigioniero ― una figuretta pallida e amara, guidata con cura dal direttore lungo il sentiero cosparso di sale, e dotata ormai, per osservare il mondo, di occhi che hanno visto la morte.
Si somigliano, lui e Zero Kiryu.
Si somigliano molto, più di quanto desidererebbe, ma anche più di quanto possa ignorare; poiché la prigionia è un mostro bifronte che Kaname conosce bene. Può essere fisica, può essere mentale… e loro possiedono entrambe.
Oscure catene ai loro piedi; un pugnale per sempre conficcato nel petto. La parola che si rifiuta di uscire.
Fratelli nella sventura, dunque?
Spezza un ramo di pino.
Ah no, questo no. Questo mai.
Perché oggi Kiryu riceve lei.
Oggi quel ragazzo prende il posto che Kaname ha sognato per tanti, tanti anni ― un letto e una sedia e una parola sincera nella casa senza inferriate, senza occhi che scrutano dalle tele dei quadri, senza traccia d’atmosfera formale. Potrà muoversi e respirare e magari anche addormentarsi accanto a Yuuki, tranquillo, davanti a uno schermo spento… due bambini non dimenticati, ma custoditi in silenzio dalle premure di un padre.
In questo momento, Kaname sa di far torto a un altro prigioniero. Certo questi è ancora sveglio, stanco ma in vigile attesa del suo ritorno, preoccupato che il nonno o qualcun altro li scopra.
Sì, sa benissimo di avere un amico fidato, fedele e fratello che lo aspetta.
Ma stanotte vuole solo essere invidioso.
Scruta ancora le finestre, rigate dal gelo.
Sarebbe davvero una disgrazia morire giovani, dopo aver tanto ricevuto? Non crede. No.
E, alzandosi per far ritorno a una casa molto meno desiderata, nel cogliere oltre le tende illuminate due sagome familiari, già vicine, si chiede se un po’ del calore di quella famiglia filtrerà ancora a lui.
Ancora una volta, ancora per poco.
Prima della grande parata dei prigionieri.