La regina che ha aspettato - Daenerys/Drogo [ASOIAF]

Feb 05, 2015 19:34


La regina che ha aspettato

“Quando il sole sorgerà a occidente e tramonterà ad oriente. Quando i mari si seccheranno e le montagne voleranno via nel vento come foglie morte. Quando il tuo grembo sarà di nuovo fecondo e tu darai vita a un figlio vivo. Allora, e solo allora, lui farà ritorno.”

Il Trono di Spade era freddo, duro e tagliente; non aveva niente in comune con i cuscini di seta e i comodi scranni di legno che aveva posseduto a Essos. Daenerys cercò di trovare una posizione migliore, comprendendo bene - dopo settimane e diversi vestiti di Myr strappati in più punti - come mai i re dell’ovest, i suoi antenati, avessero sempre prediletto abiti pesanti, pur avendo il fuoco nelle vene.
Nobili e questuanti occupavano gran parte della sala: c’era stato molto da fare in quelle settimane, con la guerra finita da poco e una primavera che finalmente aveva deciso di affacciarsi su Westeros; i suoi nuovi sudditi venivano a chiedere aiuto per le case che i draghi avevano distrutto mentre combattevano gli Estranei, i cavalieri reclamavano le terre che erano state promesse loro al termine degli scontri e i mercanti imploravano di consentire alle navi di riprendere il largo. Come in Oriente, Dany ascoltava ogni richiesta, cercando di soddisfare quelle più semplici e immediate e promettendo di trovare una soluzione alle altre. Tuttavia quando, oltre le vetrate colorate, il sole divenne una grande sfera rosso fuoco, la regina invitò gli astanti a tornare la mattina seguente.
Qualche lamentela, tutto nella norma: non era la prima città in cui Daenerys Targaryen, prima del suo nome, aveva regnato, comprendeva la frustrazione di coloro che invano avevano atteso ore di ricevere udienza, ma sapeva anche che doveva mostrarsi inflessibile, di tanto in tanto. Lo doveva anche alla propria condizione fisica, non solo a quella di sovrana.
«Vostra Maestà, vuoi che ti aiuti ad alzarti?»
Non appena la sala rimase vuota, Varys si avvicinò al trono, le mani giunte sotto le maniche della larga veste. Daenerys notò che non aveva neppure allungato un braccio verso di lei, consapevole che la regina non avrebbe accettato. Come aveva imparato presto, una volta giunta a Occidente, il suo consigliere era in grado di intuire cose o pensieri su cui lei non aveva messo al corrente nessuno; anche ora sembrava averlo fatto.
«Ti ringrazio, ma non c’è bisogno. Piuttosto, Varys, desidererei rimanere sola per raccogliere le idee.»
«Come desideri, Vostra Maestà. Ordinerò alle guardie di seguirmi.»
Il Ragno Tessitore si congedò con un inchino e portò con sé i dieci uomini armati che fino a quel momento avevano vegliato sulla Sala del Trono. Probabilmente, pensò Dany, un altro consigliere avrebbe opposto resistenza all’idea di lasciare completamente sola la propria regina, in special modo a così poco tempo dal termine di ogni conflitto, ma Varys era a conoscenza delle numerose avversità che lei aveva dovuto fronteggiare: sfuggire a un attacco alla sua persona, nel suo stesso palazzo, non sarebbe stato neanche lontanamente difficile quanto domare un drago.
Dany si alzò cautamente, una mano sul trono e un’altra poggiata sul ventre. Nella sala vuota, i suoi passi echeggiavano come quelli di un gigante; i piedi le dolevano, stare seduta per troppo tempo le faceva male come camminare per ore. Avrebbe voluto delegare il compito di ascoltare i questuanti a suo marito, una scelta non certo saggia: era un uomo abile in battaglia, ma non si poteva certo dire che fosse una persona paziente.
“Sono io la regina, lui è solo il mio consorte. Non potrebbe regnare al mio posto o il popolo se ne risentirebbe.”
Le leggi dei Sette Regni erano cambiate dopo la battaglia di Approdo del Re: le donne non avevano mai avuto più potere degli uomini - se non nei territori dorniani - ma nessuno si era distinto più di lei e dei suoi tre draghi; il consiglio non avrebbe nemmeno potuto consegnare a suo marito la corona, essendo tutti i membri consapevoli che la sua capacità di regnare sarebbe stata inferiore a quella di Daenerys, cresciuta per essere regina.
“La regina di Viserys. E invece sono diventa una khaleesi.”
Per quanto tempo lo era stata? Le sembrava di esserlo ancora… Nel khalasar aveva passato uno dei periodi più belli della sua vita, si era sentita a casa; solo ora se ne rendeva conto, ora che tra le mura della Fortezza Rossa ritrovava quella casa tanto ambita e tanto deludente.
“Non ha né porte rosse né tende, ma è il mio destino.”
I teschi di drago erano tornati nella Sala del Trono; Dany sfiorò il più vicino con le punta delle pallide dita, ripensando al sogno della notte precedente e dubitando, nel contempo, che si trattasse interamente di un sogno. Non erano state sempre così, tra il sonno e la veglia, l’effimero e il tangibile, le rare visite di Quaithe?
«La profezia si è compiuta. Fra otto cicli di luna, tuo figlio diverrà l’erede dei Sette Regni.»
Si era chiesta come la sacerdotessa potesse saperlo, dal momento che nemmeno lei ne era ancora sicura; eppure le parole di Quaithe le erano sembrate subito vere, come se Dany ormai si fidasse ciecamente di lei. Non le aveva forse predetto tutto ciò a cui sarebbe andata incontro? Tutto, tranne quella prima profezia uscita dalle labbra di Mirri Maz Duur. La profezia compiuta.
«I mari sono ancora pieni d’acqua, le montagne non hanno lasciato il loro posto… In che modo la profezia può dirsi completamente compiuta?»
«Il Mare Dothraki si è seccato, la Montagna che Cavalca è stata spazzata via dalla Compagnia del Vento, e il principe Quentin Martell, che aveva chiesto la tua mano, è sorto a occidente e tramontato a oriente.»
«Il principe…? Il sole… Lui era il sole. È lo stemma della sua casata.»
Ricordava l’eccitazione che aveva percorso il suo corpo, il fremito alla schiena e il sudore freddo; ricordava distintamente, come se stesse accadendo in quel momento e non più di dodici ore prima, come se fosse successo nella realtà o non in un sogno - si era davvero trattato di un sogno? - il suono del proprio respiro, la speranza che l’aveva fatta sorridere come una bambina, lei che, regina e doppiamente vedova a soli diciannove anni, aveva cessato di essere una bambina tanto tempo prima. Ricordare quelle sensazioni, ora, non le lasciava neanche l’amaro in bocca. Dentro di sé, avvertiva solo il vuoto. E una creatura che, per quanto l’avesse amata, dubitava avrebbe potuto rimpiazzare mai Rhaego.
Come Gendry Baratheon non poteva rimpiazzare Drogo.
Un matrimonio suggerito da Varys, in modo da unire coloro che, pur avendo in comune l’odio verso i Lannister, sostenevano i Targaryen da una parte e i Baratheon dall’altra. Gendry era un bastardo, ma dopo la morte di Stannis era l’ultimo discendente di Robert rimasto in vita. Aveva accettato il suo ruolo, ma non lo amava, Dany poteva vederlo; e, sempre più spesso, le controversie da risolvere lo portavano a nord, nella terra di Sansa Stark. No, neanche se lei gli avesse chiesto di ricevere udienza al suo posto, Gendry sarebbe rimasto nella capitale per più di qualche giorno.
Si appoggiò al teschio di drago, cercando di sopportare quel futuro che le era piombato addosso di colpo. Aveva pensato che le parole di Mirri Maz Duur non fossero una vera profezia, ma aveva sperato comunque, senza saperlo, per anni… Tanti, per una donna giovane come lei. Aveva sperato inutilmente: solo ora se ne rendeva conto, solo ora poteva farlo.
«Questo… questo significa che il mio sole-e-stelle…»
«Non tornerà. Non nel modo in cui lo desideri tu. Il tuo sole-e-stelle è arso in una pira, la sua morte è stata la tua rinascita. Di lui non resta niente.»
Ricordava le ginocchia contro il pavimento gelido.
«Ma la profezia… Forse c’è ancora tempo, il mio grembo è tornato fertile adesso…»
«Lo era già da tempo. Drogo cavalca nelle terre dei dothraki, dove tu potrai raggiungerlo, se tornerai a Vaes Dothrak.»
«Se morirò lì come una khaleesi. Ho un regno da governare, Quaithe. Io non posso…»
«Saresti dovuta andare prima a est. Te lo dissi, anni fa.»
Non c’era niente per lei a Occidente. Non c’era ser Barristan, caduto in battaglia; non c’era ser Jorah, ferito a morte per salvarle la vita; non c’erano Irri e Jhiqui e i suoi cavalieri di sangue, che aveva visto rialzarsi con occhi freddi come il ghiaccio. Non c’era Drogo, né ci sarebbe stato mai.
C’era il suo dovere, a cui non avrebbe mai potuto venir meno.
“Fratello, era questa la casa a cui desideravi tanto tornare?”

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