Una visita

Jun 24, 2012 10:02



Una visita



Non mi è mai piaciuto questo ospedale. Ci sono stato poche volte, ma per esperienze sempre poco piacevoli; non è solo l’odore, quel tanfo di medicina e sudore che si propaga per tutte le corsie, è l’ambiente: le stanzette piccole e buie, le fredde mattonelle del pavimento, i colori. Anche se, in realtà, qualcuno potrebbe dire che quest’ultima cosa è un po’ una bugia, essendo io daltonico, ma non è così: sono vuoti, tristi. Mi ricordano quando sono nato, strappato dall’abbraccio di mia madre; ma poi, in realtà, mi rendo conto che di quel giorno ho in mente ben poco, tranne un calore confortante e l’idea di un profumo che non ho più respirato.

Mi fanno entrare nella camera, Annalisa continua ad accarezzarmi tenendomi stretto al suo fianco; ci sono volute due ore per farmi accettare, il dottore mi ha visitato più e più volte per vedere se andasse tutto bene, se io andassi bene. E’ ridicolo: di certo non sono io, quello malato.

Sono quasi convinto ad ostinarmi nel tenere il broncio e rimanere fermo per tutta la durata della visita, fino a quando non scorgo un paio di occhi che si illuminano improvvisamente alla mia vista: Giulia mi guarda, sconvolta nel suo pigiama rosa, con i suoi denti piccoli e fragili che ora si estendono in un sorriso. E’ perfetta, anche se i suoi grandi occhi chiari sono scavati da delle occhiaie, anche se i suoi capelli non sono più lisci e profumati come una volta, ma pochi e stopposi. Con quei ciuffetti abbandonati su tutto il cuscino assomiglia un po’ a me durante i cambi di stagione.

Mi prende una voglia incontrollabile di salire sul lettino e salutarla, confortarla, farle capire che non importa cosa succederà, io sono qui, proprio dove dovrei essere, ma non posso. Non fino a quando Annalisa non mi dà il permesso, e lei lo capisce: alla fine arriva qualcosa, nella sua espressione commossa e lusingata, che mi sprona ad andare avanti.

E’ questo quello che mi è mancato per tre lunghissime settimane. E’ questo quello per cui vivo, dal primo momento della mattina fino all’ultimo della sera; Giulia non smette di abbracciarmi, e io non mi sentivo così pieno, vivo, felice, probabilmente da quando sono nato. Lo so, dico così tutte le volte, ma stavolta lo è davvero.

Ad un tratto, però, mi rendo conto che nessuno ha intenzione di lasciarmi lì, perchè Annalisa mi dice qualcosa con il suo classico tono gentile. Non capisco, vogliono portarmi via? Io voglio solo stare sdraiato qui e dormire, accanto a Giulia. La rivedrò presto, non è vero? Chissà come mai, ho questa strana sensazione addosso, come di addio, ma no, non è possibile. Loro non sanno cosa vuol dire dipendere da una persona, e questo discorso vale anche per lei: è così debole, ma non la vedono!? Ha bisogno di me, io queste cose le sento.

Le bacio una guancia, il calore della sua pelle è così diverso dal mio, più delle altre volte. In risposta mi accarezza il collo, in quel modo lento e amorevole che solo lei sa fare. Tutto qui: il nostro rapporto, il nostro legame, è sancito da questi piccoli gesti, ma un bacio non simboleggia quello che rappresenta per me. Non può sintetizzare gli anni passati insieme, quando Annalisa era troppo impegnata e Sandro troppo nervoso per badare alla loro figlia. Un bacio, che agli occhi di tutti non è un bacio, non basta a spiegare tutto quello che non sono in grado di dire, ma almeno è qualcosa: le fa capire che è amata, nel modo più semplice possibile. Io e Giulia siamo persone molto semplici e, dopotutto, esiste qualcosa di più puro del legame che ci unisce?

Sospira, come se sapesse già quello che succederà. Vorrei tanto chiederle di dirlo anche a me, perchè io non ci sto capendo più niente, tuttavia mi limito ad avvicinarmi, fino a quando mi fanno capire che è ora di andare: con calma, scendo da quel lettino, rimettendomi composto a sedere.

“Fai il bravo, d’accordo?”

Ecco, questa frase la riconosco bene: me la dice spesso Giulia, quando sa che non ha troppo tempo per stare dietro alle mie pazzie, ma io sono sempre ubbidiente, a parte quando vedo una palla, o uno scoiattolo, o un giardino, o un albero, o un altro cane. Non siamo una razza molto difficile da gestire.

Quando la porta si chiude ogni tentativo di tornare da lei è del tutto inutile; intanto, l’odore si è fatto più intenso, fino a perforarmi il naso, i colori sono troppo accesi, le persone troppo fastidiose e il mondo, in generale, non è più il posto adatto a me. Perchè quando qualcosa diventa insopportabile non si è più in grado di vivere.

Non mi resta che aggrapparmi al suo profumo e al ricordo di quel piccolo bacio, sperando che non svaniscano nell’aria avvelenata da medicina e sudore.

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