Recensione: Il simbolo perduto (di Dan Brown)

Nov 19, 2009 15:02




Il simbolo perduto
di Dan Brown
Edizioni Mondadori
604 pagine, 25 euro

Sinossi

Robert Langdon, famoso professore di simbologia ad Harvard, è in viaggio per Washington. È stato convocato d'urgenza dall'amico Peter Solomon, uomo potentissimo affiliato alla massoneria, nonché filantropo, scienziato e storico, per tenere una conferenza al Campidoglio sulle origini esoteriche della capitale americana. Ad attenderlo c'è però un diabolico individuo, tatuato dalla testa ai piedi, che progetta di servirsi di lui per disseppellire un segreto che assicurerebbe a chi lo possiede un enorme potere. Langdon intuisce qual è la posta in gioco quando all'interno della Rotonda del Campidoglio viene ritrovato un agghiacciante messaggio: una mano mozzata con il pollice e l'indice rivolti verso l'alto. L'anello istoriato con emblemi massonici all'anulare non lascia ombra di dubbio: è la mano destra di Solomon. Langdon scopre di avere solamente poche ore per ritrovare l'amico, sempre che sia ancora vivo. Viene così proiettato in un labirinto di tunnel e oscuri templi, dove si perpetuano antichi riti iniziatici. La sua corsa contro il tempo lo costringe a dar fondo a tutta la propria sapienza per decifrare i simboli che i padri fondatori hanno nascosto tra le architetture della città. Fino al sorprendente finale. (Fonte: IBS)

Commento

Sarebbe semplice catalogare questo romanzo come bestseller d'intrattenimento senza troppe pretese. In realtà "Il simbolo perduto" è senz'altro il libro più complesso di Dan Brown. Complesso nel bene e nel male, si capisce. Ma, soprattutto, ha una seconda chiave di lettura meno visibile e per certi versi di una portata enorme. Ma di questo parlerò più tardi.
Prima il commento tecnico: la scrittura di Dan Brown è maturata dai tempi del pessimo "Angeli e demoni" (buona idea, ma romanzo scritto coi piedi), e lo si nota nelle prime cento pagine, meno confusionarie e acerbe del solito. I fatti e i personaggi, in primis il solito professor Langdon, si prendono qualche respiro in più prima di buttarsi nella mischia tra inseguimenti, enigmi da risolvere e misteri da svelare.
Il ritorno in patria giova parecchio a Brown. Abbandonata la Roma da cartolina turistica a cui ci aveva abituati, ambienta "Il simbolo perduto" a Washington. A guadagnarne sono la credibilità e il realismo, per lo meno per quanto concerne l'ambientazione.
Purtroppo la sobrietà dell'autore dura poco più di cento pagine: da lì in poi riparte in quarta col solito calderone di azione in tempi tiratissimi, diabolici puzzle da risolvere nel giro di una manciati di secondi, e segreti storici che cadono uno dopo l'altro a effetto domino.
In particolar modo è la parte centrale del romanzo a esercitare una pesantezza tale da atterrire il lettore meno paziente. Ritmo caotico, situazioni lasciate a metà, spunti incompleti o trattati con estrema sommarietà: più di una volta vien voglia di chiudere il libro e chiedere indietro i 25 (!!!) euro pagati per averlo.
Superato questo ostacolo centrale, si arriva per fortuna a una parte finale che ritorna su canoni più ordinati e leggibili, seppur non del tutto logica, come sarebbe invece lecito aspettarsi. Ciò nonostante il finale è molto meno pacchiano rispetto ad "Angeli e demoni", riproponendo invece un po' lo stile del "Codice Da Vinci".
Da lettore esperto posso dedurre che Dan Brown conquista proprio grazie a un mix composto da una stile narrativo molto cinematografico, e da una conformazione "a cipolla" dei misteri, più o meno storicamente validi, che di volta in volta decide di trattare. Qualcosa che sta a metà tra i blockbuster movie e i videogiochi moderni, insomma. Nel complesso "Il simbolo perduto" riesce a divertire e anche a conquistare l'attenzione, anche se mi è difficile definirlo un vero libro voltapagine (anche se per la maggior parte dei lettori sarà così).
Di certo Brown non brilla per stile ricercato o per eleganza narrativa. E' piuttosto la sua semplicità, applicata ad argomenti che sono l'esatto contrario di questa parola, ad attrarre.

Il secondo livello d'interpretazione

Fin qui ho parlato di un romanzo, famoso più di altri, ma senz'altro non più brillante o profondo rispetto alla media. In realtà "Il simbolo perduto" è un vero e proprio inno alla massoneria, solo inizialmente messa in dubbio, e poi progressivamente esaltata e decantata come l'unica valida scelta per un'evoluzione socio-politica della nostra civiltà. Attraverso i protagonisti Brown illustra i motivi per cui i massoni sono ingiustamente perseguitati, e li riqualifica attraverso una lunga e argomentata teoria che li vedrebbe invece come illuminati scienziati e filosofi impegnati a migliorare biologicamente ed eticamente gli esseri umani. Non solo: mettendo in campo un villain dedito alla magia nera e nemico giurato della massoneria stessa, allontana da essa le accuse che spesso gli vengono mosse dai detrattori, ovvero quelle di praticare le arti occulte e la manipolazione mentale (scientifica o magica, non fa differenza).
In altri termini "Il simbolo perduto" è una sorta di neo-vangelo massonico, alquanto dichiarato e nettamente di parte. Il che non è né un male né un bene, sia chiaro. Solo che certi argomenti dovrebbero essere presi in considerazione in contemporanea con approfondimenti di merito, e non così, all'acqua di rose. Certo, nove lettori su dieci prenderanno questo romanzo per quello che sembra (puro intrattenimento), ma sono altrettanto certo che ci sarà un buon 10% che inizierà a credere ai confusi teoremi di Brown, come se si trattasse di dogmi incontrovertibili.
Vi avevo già parlato della teoria del complotto che secondo alcuni si cela dietro "Il codice Da Vinci"? Senz'altro sì. Non ci voglio tornare. Non la ripeterò in questa sede. Fatevi però una sola domanda: com'è possibile che un autore di qualità non superiore alla media abbia un eco così grande in tutto il mondo? Ci riuscirebbe col solo talento, oppure c'è qualcuno che ha costruito tutto ciò ad arte?
... o per qualche motivo?


thriller esoterico, recensioni, recensione

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