Ieri mi sono rivisto quell'ottimo film che è "Inferno" (Dario Argento), secondo capitolo del "trittico delle madri", conclusosi di recente col mediocre "La terza madre".
Inferno è un film d'atmosfera, molto cupo e - a suo modo - assai lento.
Ma questo non deve essere inteso come un difetto. Il film è stato infatti girato in un periodo in cui non c'era la frenesia che sembra invece caratterizzare il cinema e la letteratura moderna. Ovviamente non avevo bisogno di rivedere "Inferno" per rendermi conto di questo dato di fatto.
Ora come ora è difficile trovare un film o un romanzo di genere che non si sviluppino su ritmi altissimi. La densità di azione deve essere più o meno costante, specialmente per le produzioni medio-grandi, pena il forte rischio di fare "flop" e di passare nella categoria di pellicole per soli intenditori, spesso pregevoli ma con ridotti riscontri al botteghino.
Un tempo le cosiddette "fracassonate" erano tipiche soprattutto degli action movie, mentre altri generi vivevano su ritmi narrativi meno intensi. Penso a tanti horror d'atmosfera, ai thriller più psicologici che spettacolari e a certe sottocategorie della fantascienza. C'era un maggior utilizzo del brivido suggerito, piuttosto che non lo sbattere mostri e combattimenti davanti agli occhi dello spettatore.
Se vogliamo dirla in altri termini, c'erano più "tempi morti", magari lasciati a inquadrature, musiche, o anche ai famigerati "spiegoni" (infodump), a volte azzeccati a volte fastidiosi.
Riguardando alcuni vecchi film, ho spesso la netta sensazione che molti gggiovani di oggi li troverebbero noiosi, indigeribili. E non sto parlando di pellicole per collezionisti, ma di verie e propri cult-movie che molti citano senza forse conoscerli bene. In fondo basta vedere la mania dilagante di girare orridi remake che rovinano del tutto il senso originale di un film.
Secondo certa gente, basta prendere delle vecchie sceneggiature e riempirle di effetti speciali, combattimenti, scene fitte di azione e un po' di retorica d'accatto per garantire un po' di soldi alla produzione.
Penso - ma non è nemmeno il peggiore - al remake di "Ultimatum alla terra", trasformato in una pellicola di fantascienza senza guizzi particolari, ma molto curata visivamente e di buon impatto visivo.
In questo remake ci sono tracce delle atmosfere e dei temi che caratterizzarono il film originale? A dire il vero ben poche.
Ma l'elenco di tale rivisitazioni oscene è lunghissimo.
Il peggiore esempio che mi viene in mente è il remake di "The Fog", una cosa ributtante che nulla ha che da spartire con l'originale.
Senza parlare dei vari rifacimenti, in salsa occidenteale, dei tanti film giapponesi e coreani, il cui significato viene completamente stravolto, col chiaro intento di creare dei filmetti usufruibili da adolescenti senza troppe pretese e con la sola voglia di spararsi qualcosa di molto simile a uno dei tanti videogiochi a cui sono assuefatti.
Se non altro il cinema d'azione ha un perpetuarsi di ritmi narrativi che gli sono propri. Uno spettatore di adesso può consapevolmente godersi un film con Jason Statham, come quando lo faceva negli anni '80 guardandosi "Commando". C'è della coerenza, in questo. E anche la capacità di prendersi alla leggera, un certo gusto rusticano che evita le strategie sordide citate qui sopra.
Un sottogenere che rappresenta al meglio ciò che va oggi per la maggiore è quello supereroistico. Film spettacolari, con pochissimi cali di tensione, spesso di buona qualità, a volta superiori alla media.
Non è un caso se, fino ai primissimi anni '90, i film sui supereroi decenti sono stati pochissimi. Tralasciando il primo Batman (personalmente non ha mai esaltato), ci imbattiamo a robetta, tipo "
Capitan America", una trasposizione del 1990, dimenticabile.
E che dire de "
La rivincita dell'Incredibile Hulk" (1988), che vede come guest-star nientemeno che il Dio nordico Thor? Forse chicche per nostalgici, ma comunque non al livello visivo e visionario delle produzioni che vanno più o meno dal 2000 in poi, fino ad arrivare a "Dark Knight", forse il migliore film supereroistico girato finora.
Ma, come dicevo, questo genere ha un perfetto senso di esistere, rapportandolo alle esigenze e ai ritmi narrativi in voga oggi.
E nella letteratura di genere?
Forse qui il cambiamento è stato meno progressivo, ma in qualche modo è ancora in corso. Anzi, a pensarci bene un certo "supereroismo" sta contaminando, in modo traverso, anche il thriller e il giallo.
Entrando in libreria ci imbattiamo in romanzi che hanno come protagonisti pittori, poeti, scienziati, scultori, tutti trasformati in estemporanei detective ante-litteram. Non parliamo poi dei vari libri che raccontano de "il penultimo vangelo di Gesù" o dellla "ricetta segreta dei cavalieri templari per preparare la minestra di fagioli". Fra un po' certi scrittori non sapranno più... a che santi votarsi. E magari riscriveranno le stesse cose, sostituendo Gesù con Mosè, i templari coi cavalieri teutonici, etc etc.
Oppure troviamo saghe infinite, che hanno smesso di dire cose interessanti già da anni, ma che godono dell'apprezzamento di tanti fans i quali non chiedono altro che vedere i soliti eroi cavarsela nelle solite situazioni, spesso senza offrire spunti originali o qualcosa che si allontani almeno un po' dai più semplici meccanismi narrativi "for dummies".
Sull'horror letterario - ne ho già parlato tanto in passato - è in atto un altro tipo di trasformazione. Forse sarebbe più opportuno parlare di un rimbambimento. Al posto che aumentare i ritmi narrativi, qui si punta piuttosto su un'ibridazione col fantasy-sentimentale, tanto che è sempre più difficile ritrovare i meccanismi del brivido che hanno retto onorevolmente il genere per qualcosa come duecento anni circa. Ora li sostituiscono con le love story tra vampiri e umani.
Ma il quadro non è del tutto negativo. Cose buone ce ne sono in giro, al cinema e nella narrativa. Ci sono anche buoni compromessi tra il nuovo e il vecchio corso dei generi citati finora. Il vero problema, forse, è che sempre più spettatori/lettori rispondono placidamente alla massificazione in atto, senza alcuna volontà di cercare qualcosa di diverso. Ovviamente questo sistema è un circolo vizioso: più la gente si disabitua a scoprire che esistono proposte alternative (nuove o vecchie, a questo punto ci si chieda cos'è meglio), più produttori ed editori si sentiranno giustificati a finanziare sempre i medesimi progetti e a puntare su prodotti sempre più simili l'uno all'altro.