IL GRUPPO (3)
Al contrario di quanto pensavano Tom e Iraida, i loro tre compagni di sventura non erano affatti scesi dal taxi, bensì li stavano aspettando seduti, immobili, fissando l'autobus in fiamme.
Iraida capì che si trattava del tipico atteggiamento dei civili cittadini messi per caso e all'improvviso davanti a situazioni che esulavano dal loro piccolo mondo borghese. Spesso l'unica reazione era quella di spaesamento e terrore. Invece per lei e per Tom era diverso, visto i loro trascorsi. Ciò nonostante, l'incontro col frate assassino era stato un bel colpo al cuore per entrambi.
- Dove diavolo siete stati? - domando Sara, vedendoli salire a bordo. - Dobbiamo andarcene da qui, prima che quel coso esploda!
Iraida avviò il motore, appoggiandosi il revolver tra le gambe. - Sì, dobbiamo andarcene, ma non per l'incendio. - Mentre faceva retromarcia sgommando, spiegò ai tre cos'avevano visto, e il breve scambio di colpi col frate. Quindi il taxi schizzò via, lontano dalla piazza.
Livio ascoltò tutto, mentre sua moglie e Marino continuavano a commentare con frasi del tipo “non è possibile” e “ci state prendendo in giro”. A lui invece la cosa non sembrava tanto incredibile, considerando che aveva visto un movimento strano dietro a una delle finestre del palazzo di fronte. Si era trattato di un attimo, quando le fiamme erano aumentate d'intensità, mostrando una sagoma dietro ai vetri. Incappucciata.
- E voi non credevate a me, quando vi parlavo del... mostro dell'obitorio! - sbottò Marino, terrorizzato.
- Io so solo una cosa: dobbiamo uscire dalla città e chiedere aiuto. - Iraida accese il navigatore GPS del taxi, decisa a impostare la via di fuga più rapida. Stranamente però non riuscì a prendere il segnale, proprio come accadeva per i cellulari.
- Problemi? - chiese Livio, sporgendosi in avanti.
- Niente satellitare - rispose Iraida. - Ma non preoccuparti, le strade le conosco lo stesso. Fece un ampio giro a “U”, senza mai scendere sotto i novanta chilometri orari. Non essendoci traffico le era semplice tenere quella velocità, aumentandola quando si trovava in qualche rettilineo.
- Da dove vuoi passare? - insistette Livio, lasciando che la moglie si dedicasse a interrogare Tom col supporto del signor Marino.
- Tra le due stazioni, poi dietro il cimitero. Imboccheremo il corso che porta fuori città, verso ovest. È tanto largo che non riusciranno a fermarci.
- Chi non riuscirà a fermarci? I tizi incappucciati?
- Li hai visti anche tu?
Livio sussurrò un “sì”, senza farsi sentire dalla moglie. Non voleva spaventarla, o forse desiderava solo che non lo investisse di domande, come stava facendo con Tom.
- Hai qualche idea? - gli domandò la taxista. - Quello che abbiamo incontrato noi voleva ucciderci, né più né meno. Ed è riuscito a farlo col poveraccio che si è beccato un dardo nella schiena.
- Veramente non ci sto capendo niente di tutta questa situazione.
- Siamo almeno in due. - Iraida sospirò, superando l'ennesimo semaforo rosso. Quella specie di fine del mondo era il paradiso di ogni patito della velocità, mentre lei già rimpiangeva il traffico e lo smog di tutti i giorni. Tagliò a destra, passando a fianco dell'area recintata di uno dei più grossi parchi cittadini. L'interno era buio, tranne per qualche lampione acceso. Non sarebbe entrata lì dentro per nulla al mondo.
Finalmente il taxi imboccò il lunghissimo corso che da lì portava fuori città. Qualunque cosa fosse accaduta doveva essere limitato a essa. Così almeno sperava Iraida, anche se alcune cose le facevano temere il peggio.
Aumentò la velocità, mentre gli altri si zittivano, stanchi di fare ipotesi sull'identità del frate (i frati?) assassino. Passò vicino a un autosalone, a una pizzeria che ogni tanto frequentava, e anche a un tram fermo sui binari, spento e immobile. Ignorò tutto, concentrandosi sulla strada. Si accorse che Tom, sedutole a fianco, la osservava preoccupato. Il barbone (doveva decidersi a non pensarlo più in quei termini) era una presenza che la rassicurava, anche senza sapere perchè. Forse perchè era l'unico del gruppo che dava l'idea di sapersela cavare, in qualche modo.
A un certo punto gli abbaglianti illuminarono l'impensabile: un muro che bloccava il corso a metà, sbarrando la strada. Il taxi frenò a una cinquantina di metri da esso. Vicino a quell'assurda costruzione le luci erano spente, perciò non lo avevano notato prima. Il muro era alto quasi cinque metri, in muratura. Non si limitava a bloccare il corso, bensì si estendeva in entrambe i lati, occupando uno spazio sgombro da edifici, per poi infilarsi dietro a palazzi e pali della luce. Come se qualcuno avesse costruito un nuovo Vallo Adriano tutt'intorno alla città.
Anche se non lo vedevano per intero, i cinque furono subito certi di una cosa: il muro si estendeva anche altrove, per quanto sembrasse assurdo. Quindi erano prigionieri all'interno della cerchia urbana. Insieme ai misteriosi frati assassini e, a questo punto era più facile crederci, al mostro dell'obitorio.
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I capitoli precedenti:
Crepuscolaria