SARA + LIVIO (1)
- Da quanto tempo stavi dormendo, brutto idiota?
Livio si scosse, faticando a concentrarsi sulle parole di Sara. La Mazda era incastrata nel tronco d'albero contro cui era andata a sbattere. Non ci voleva un genio per capire che era fuori uso, inservibile. Se non altro gli airbag avevano salvato la vita a entrambi.
- Io... non lo so.
- Se eri stanco perchè non ti sei fermato? - rabbia e stizza nella voce di lei. - Ti avrei dato il cambio!
- È stata una cosa improvvisa. Io non avevo affatto sonno!
- Sì che lo avevi: stai guidando da più di cinque ore.
Livio sospirò. Avevano fatto l'incidente lungo una delle arterie periferiche che entravano in città. Si trattava di un vialone alberato in un quartiere industriale. Visto che era notte fonda non si vedeva anima viva, anche perchè lì attorno c'erano molti più capannoni industriali che non case, tanto meno palazzi. A pensarci bene, c'era quasi d'aver paura.
- Eravamo quasi arrivati - brontolò Sara. Non era preoccupata per l'incidente, bensì per il fatto che non avesse ancora raggiunto suo padre, che poche ore prima era stato ricoverato d'urgenza in ospedale per un infarto. Eva, la sorella di Sara, li aveva avvertiti, e loro si erano messi subito in macchina, nel cuore della notte.
- Chiamo il soccorso stradale. - Livio aprì il flip del Motorola, accorgendosi con un attimo di ritardo che non c'era campo. Provò e riprovò, senza riuscire nemmeno a selezionare un'altra rete.
- Allora? - lo incalzò la moglie, stringendosi nella giacca a vento.
- Che strano, non trovo il segnale.
Sara sbuffò, quindi prese il Nokia dalla tasca dei pantaloni. Dopo un paio di tentativi alzò gli occhi, stupita di dover concordare col marito. - Hai ragione!
- Non mi inoltra neanche le chiamate d'emergenza.
Per mezzo minuto nessuno dei due seppe che altro aggiungere. La situazione era talmente paradossale che era difficile anche trovare le parole giuste.
- Proviamo a citofonare a uno di quei capannoni. Dovrebbe esserci un guardiano notturno, o qualcosa del genere...
- Sara, questa mi sembra una cazzata. Come minimo ci prenderanno per dei malintenzionati.
- E allora che proponi? C'è mio padre che forse sta morendo e io sono qui, piantata in mezzo a questo schifo di quartiere! - Sara tremò dalla rabbia. Era una bella donna, prossima alla quarantina, ma il fascino era l'ultimo aspetto dolce che le rimaneva. Per il resto si era trasformata pian piano in una persona dura, coriacea e molto severa. E Livio doveva solo tacere...
- Guarda là avanti, c'è l'insegna di un locale.
Aguzzarono lo sguardo. A un incrocio, lungo il viale alberato che solitamente era ritrovo di prostitute africane, si vedeva un pannello luminoso. Le lettere illuminate di verde dicevano “Halfway cafè”. Lì davanti c'era un piccolo spiazzo. Un furgoncino parcheggiato di fianco a uno scooter facevano sperare nel fatto che al locale ci fosse ancora qualcuno.
Presero il necessario dalla Mazda incidentata: cellulari, navigatore GPS, una torcia elettrica, quindi si diressero verso l'Halfway cafè. Era a un centinaio di metri dal punto in cui erano usciti di strada, perciò lo raggiunsero in fretta.
Il locale era ospitato in un edificio a pianta larga, ma a un solo piano. C'erano due finestre con tanto di tende arancioni che impedivano di guardare all'interno, e una porta socchiusa. Da dentro s'intravedevano delle luci, ma non si sentiva alcun rumore.
Livio sbirciò nell'abitacolo del furgoncino bianco parcheggiato. C'erano le chiavi nel quadro ma null'altro. Fece in tempo appena a voltarsi che Sara già stava entrando nel locale. La chiamò, ma sua moglie andò avanti lo stesso, varcando la soglia.
Inghiottendo amaro, Livio non potè far altro che seguirla. C'era qualcosa di sbagliato in quella situazione, ma non avrebbe saputo dire cosa. Entrando a sua volta, si trovò in una sorta di pub tex-mex, arredato in modo pacchiano, con almeno un centinaio di coperti e un ampio palco per la musica dal vivo. Tutte le luci erano accese, ma non c'era nessuno. Sul bancone erano appoggiati dei boccali di birra consumati per metà, e anche un vassoio pieno di patatine fritte dall'aspetto commestibile. Nonostante questo, Livio ebbe la netta impressione che l'Halfway Cafè fosse un posto abbandonato.
Sara chiamò tre, quattro, cinque volte, cercando d'attirare le attenzioni del proprietario. Ricevette in risposta solo silenzio. Incurante dell'assurdità della situazione, passò dall'altro lato del bancone, alzando la cornetta del telefono per chiamare l'assistenza stradale.
- Pazzesco! Nemmeno qui c'è linea! - riprovò un paio di volte, riattaccando poi con disperazione.
- Andiamo via, non mi piace questo posto.
- Ma cosa stai dicendo? Qui è tutto acceso... ci sarà un cazzo di qualcuno!
Livio alzò la voce: - Esci da qua, subito! Non vedi che siamo soli? Non so come mai, ma sembra che se ne siano andati tutti abbandonando ogni attività di punto in bianco.
Sara sembrò sul punto di replicare in modo piccato, ma valutò le parole del marito e alla fine annuì. - Forse hai ragione, ma cosa possiamo fare? Papà potrebbe...
- Camminiamo per un po' - la interruppe Livio. - Presto passerà qualcuno e ci faremo dare una mano.
Era l'idea più sensata. Anche Sara dovette ammetterlo. Lo precedette, uscendo per prima dal locale, impaziente di trovare soccorso e di raggiungere l'ospedale. Livio si attardò qualche secondo in più. C'era una porta che dava sul retro. Per un momento gli era sembrato di sentire qualcosa. Un fruscio, forse qualcosa che si trascinava sul pavimento.Non aveva nessuna voglia di verificarne la fonte. Rabbrividendo, e non solo per il freddo, raggiunse la moglie, che stava armeggiando attorno al furgone. La portiera si aprì e lei salì senza indugi.
(Continua... ?)