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Beecher rimase interdetto da quell’ultimo consiglio, ma capiva cosa intendeva l’anziano. Molti prigionieri erano maghi estremamente violenti, che non avevano certo bisogno di una scusa per attaccare briga.
Qualche momento dopo provò a chiudere gli occhi. Sapeva che le guardie avrebbero portato il cibo soltanto tra qualche ora, per cui tanto valeva provare a dormire un po’. Dopo essersi rotolato qualche minuto in quella sottospecie di letto che era assegnato ai prigionieri si arrese. Aprì gli occhi e si accorse che tre figure lo stavano fissando.
“E questo chi diavolo è, Vern?” ringhiò quello che sembrava il più giovane.
“Si chiama Beecher. Ehi, bella addormentata, è arrivato il tuo principe,” gridò quello che sembrava il loro capo.
“Merlino,” mormorò Beecher tra sé e sé.
“Cos’hai detto? Non ti sentiamo!”
Beecher si alzò e indossò gli occhiali per vedere meglio chi si trovava di fronte. Erano tre uomini con i capelli rasati e lo stesso tatuaggio di un teschio sul corpo di un serpente sul polso sinistro. Sentì un brivido scorrergli lungo la schiena. Vern Schillinger era mille volte più terrificante dal vivo rispetto alle fotografie bagnate dalla pioggia appese per tutta Diagon Alley quando era ricercato.
Per il momento decise di non fare niente. Come avrebbe potuto reagire, del resto? Non aveva la sua bacchetta e gli altri prigionieri sembravano troppo impegnati a combattere i propri demoni. Qualche fortunato era riuscito a prendere sonno.
Combatti o fuggi, un istinto antico quanto l’uomo stesso, e Beecher era lì immobile. Era davvero ancora un uomo? I Dissennatori avevano iniziato a strappargli tutto quello che lo rendeva se stesso all’esterno di Azkaban.
“Io sono Schillinger,” disse lui. “Loro sono Robson e Mack,” aggiunse, indicando con un cenno i due scagnozzi.
“Beecher.” La risposta era un flebile soffio di vento.
“Non mi sembra un chiacchierone,” rise Mack.
“Hai ragione,” disse Robson, ridendo più forte. “Si vede che è appena arrivato. Vediamo se si sveglia un po’.”
I tre si lanciarono uno sguardo d’intesa e Beecher si ritrasse istintivamente, consapevole che non sarebbe successo nulla di buono.
“Crucio!” urlò Schillinger.
Beecher urlò nuovamente. Ogni osso all’interno del suo corpo, anche quelli della cui esistenza non era consapevole, iniziò a causargli un dolore che non avrebbe mai potuto immaginare.Il suo corpo si contorceva in modo innaturale e tutte le sue articolazioni sembravano in fiamme. Non si rese conto di quanto tempo passò prima che un altro prigioniero si avvicinò a loro.
“Stupeficium!” urlò una voce distante.
“No, non di nuovo,” pensò Beecher. Il dolore ai suoi arti svanì all’improvviso, ma sentire quella parola lo ricondusse immediatamente al pensiero di Cathy riversa sull’asfalto. Beecher si aprì gli occhi e si accorse che Schillinger, Robson e Mack stavano gridando ancora più forte.
Due Dissennatori si erano avvicinati e i tre Neomangiamorte li stavano insultando, singhiozzando e urlando allo stesso tempo.
Beecher sentì due braccia forti che lo sollevavano e lo trascinavano di peso, lontano dalla sua cella. Improvvisamente, il dolore causato dalla morte di Cathy si stava affievolendo, lasciando spazio a una dolce sensazione di conforto e calore.
“Expecto Patronum,” sussurrò la stessa voce roca che aveva lanciato lo Schiantesimo.
Dal nulla comparve una fortissima luce bianca, da cui emerse un animale snello e rapido, che si lanciò con voracità contro i Dissenatori che li avevano inseguiti.
Il pensiero di Cathy e di tutto quel sangue scomparve del tutto.
Reply
Beecher si rese conto che un uomo lo stava osservando con aria preoccupata. Era alto e muscoloso, con un viso che un tempo sarebbe potuto essere definito attraente.
“Chris Keller,” mormorò, porgendo la mano a Beecher e provando ad abbozzare un sorriso.
“Tobias Beecher,” borbottò lui in risposta. Non avrebbe mai immaginato di poter apprezzare così tanto il contatto fisico con una persona che sembrava ancora un essere umano. Keller aveva qualcosa di diverso da Schillinger e gli altri: oltre ad avergli appena salvato la vita, il che lo rendeva immediatamente migliore di quei rifiuti della società, emanava un’aria di sicurezza che faceva sentire Beecher protetto.
“Cosa volevano da me?” continuò, riprendendo il respiro.
“Tranquillo, lo fanno con tutti,” rise Keller. Beecher pensò che Azkaban non sembrava avere effetto su di lui. Aveva il volto solcato dalla fatica e dagli anni trascorsi in quella terribile prigione, ma apparentemente ciò non lo aveva turbato più di tanto; dopotutto, era riuscito a lanciare un Incanto Patronus, e per altro senza bacchetta. Beecher si ricordò di quando la professoressa di Incantesimi gli aveva insegnato a evocarne uno - anni, anni luce fa - ma lui non era riuscito a far fuoriuscire dalla bacchetta altro che uno sbuffo di fumo luminoso.
Tuttavia, Keller sembrava pensieroso e continuava a non distogliere lo sguardo da lui.
“Come mai qua?” gli domandò corrucciato.
Beecher scoppiò a piangere. “Ho ucciso una bambina,” mormorò tra le lacrime. “Non volevo,” continuò singhiozzando.
“Però è successo,” proruppe Keller, senza smettere di fissarlo.
Beecher annuì. “E tu?”
Per tutta risposta, Keller scoppiò a ridere. “Oh, qualche Avada Kedavra di troppo a Notturn Alley. E poi c’è stata quella faccenda della Gringott, ma devo ammettere che non ero proprio in me.” Stava ancora ridendo, nonostante avesse appena ammesso di aver compiuto più di un omicidio. Beecher non sapeva come reagire.
“Come mai non ti hanno condannato al Bacio?” gli chiese, perplesso.
“Ne avevo già ricevuti troppi, anche se erano meno… freddi,” disse, continuando a ridere come un forsennato. Beecher era convinto che sarebbe arrossito se fosse stato una scolaretta al primo anno, ma in quel momento era semplicemente terrorizzato.
“E poi,” Keller abbassò la voce, “chi ti dice che la giuria sapesse tutto?” Beecher non riuscì a nascondere la paura che provava.
Keller se ne accorse e riprese a ridacchiare. “Tranquillo, non ti mangio,” gli disse, dandogli una pacca sulla spalla. “A meno che tu non lo voglia,” aggiunse con un occhiolino.
Beecher continuava a essere grato di non essere una scolaretta. Sapeva cosa succedeva nelle sezioni maschili delle prigioni, ma non era così ansioso di prenderne parte, non subito dopo essere sfuggito a una Maledizione Cruciatus.
“Cerca di dormire almeno un po’, forza”, borbottò Keller. “Lo so che la prima notte è sempre la più dura, ma hai l’aria di qualcuno che ce la farà.” Si sdraiò per terra, indicando a Beecher il suo letto. “Sdraiati,” gli intimò con la sua voce roca.
Beecher si sorprese per la facilità con cui obbedì.
“Posso chiederti una cosa?” gli domandò timoroso.
“Spara.”
“Come… fate a far magie senza bacchetta?”
Keller sorrise. “Dopo un po’ ti ci abitui,” sorrise. “Dopo tanti anni che hai passato qua ti viene naturale. Possono toglierti la bacchetta, ma non possono farti smettere di essere un mago.”
Beecher sorrise e si sdraiò sul letto. Era il suo primo vero sorriso da quando era arrivato ad Azkaban.
Reply
Beecher era coricato a pancia in su e guardava il cielo. Non c’erano stelle ad Azkaban, solo le nuvole. Sentiva meno freddo di quando era arrivato; non era sicuro che fosse merito del Patronus, quanto della vicinanza di Keller, che sembrava già completamente addormentato. Non sapeva come comportarsi con lui. Indubbiamente lo faceva sentire al sicuro, ma l’arroganza che emanava era quasi sospetta.
Dopo qualche ora, il sonno finalmente arrivò e quando Beecher si svegliò il cielo era leggermente più chiaro. Immaginò che altrove stesse splendendo il sole.
Qualche momento dopo - Beecher non si rese conto di quanto tempo fosse trascorso - anche Keller si svegliò.
“Buongiorno,” mormorò.
“‘Giorno,” rispose Beecher, sbadigliando.
“Sei riuscito a dormire almeno un po’?”
“Un paio d’ore, forse.” Beecher si guardò intorno. C’erano due grossi Dissennatori che stavano portando il cibo. Fece per avvicinarsi alla ciotola, ma Keller lo fermò. Beecher lo guardò sospettoso.
“Prova ad Appellare la ciotola,” gli disse Keller. “Devi concentrarti molto bene, mi raccomando. Pensa alla ciotola nelle tue mani e al pan di zucca raffermo nella tua bocca.”
Beecher fissò la ciotola intensamente. “Accio!” mormorò, ma non accadde niente.
“Devi essere più convinto.”
“Accio!” ripeté Beecher con determinazione. La ciotola si mosse e atterrò nelle sue mani.
“Bravo!” Keller gli diede una pacca sulla spalla e Appellò un’altra ciotola per sé.
“Secondo me già tra qualche giorno riuscirai a fare roba più difficile.”
“Nah.” Beecher volse lo sguardo verso il basso. “Ho preso solo Accettabile ai M.A.G.O. in Incantesimi.”
Keller rise. “Forse non hai capito come funzionano le cose qua. Non sei più quello che eri fuori. Certo, sei ancora un mago, ma scordati la tua vita felice da sale da tè a Hogsmeade. Ad Azkaban devi imparare a difenderti, nonostante tutto. La cosa più importante è tenere lontane queste merde.” Indicò i Dissennatori con un cenno del capo. “Sei mai riuscito a evocare un Patronus?”
Beecher scosse la testa. Con sua grande gioia, Keller non scoppiò a ridere alla notizia.
“Devi pensare a qualcosa di bello,” gli disse. “Qual è il tuo ricordo più felice?”
Beecher sospirò pesantemente. “Non ne ho idea,” disse. La nascita di Gary o Holly. Il giorno del suo matrimonio con Gen. Il giorno in cui diventò avvocato. Ce n’erano molti, eppure erano lontani e avvolti dalla nebbia di Azkaban. I Dissennatori glieli stavano portando via pian piano. Prima o poi non gli sarebbe rimasto nulla. Voleva disperatamente che gli succedesse qualcosa di bello, che la vita gli sorridesse ancora una volta, prima di andare incontro alla sua morte o peggio alla follia.
Keller gli si avvicinò e si sedette accanto a lui, sul letto. “Io penso alla mia prima moglie e alla prima volta in cui ci siamo baciati.” Beecher rimase sorpreso dalla delicatezza con cui lo disse. “La vedo spesso,” continuò Keller. “Ogni volta che viene a visitarmi ci baciamo, quindi il ricordo è sempre vivo.” Non sembrava del tutto convinto, ciononostante.
“Oh.” Gen sarebbe venuta a trovarlo soltanto la settimana successiva e Beecher si ricordò della scommessa che avevano fatto le due guardie. Gli serviva immediatamente un altro momento felice, o non sarebbe sopravvissuto alla vicinanza dei Dissennatori.
Reply
Beecher sentì un vociare diverso dalle solite urla di disperazione. Un uomo con una lunga tunica blu stava accompagnando il Ministro della Magia Glynn a visitare Azkaban, da quanto aveva capito. L’uomo sembrava molto calmo e paziente e subiva i vari insulti dei prigionieri senza adirarsi. Keller si alzò dal letto e iniziò a percorrere la cella a grandi passi.
“Maledetto McManus,” borbottò tra sé e sé. “Chi glielo fa fare di starci dietro?”
Solo in quel momento Beecher realizzò chi fosse quell’uomo. Tim McManus era il direttore di Azkaban ed era proprio lui che aveva suggerito a Glynn di creare una sezione della prigione dove raccogliere i peggiori criminali. Beecher faceva ancora fatica a incasellare se stesso nella categoria, ma la realtà dei fatti era quella. Ora che aveva associato un nome a un volto, si ricordò che aveva sentito di sfuggita McManus parlare a un processo. Gli sembrava così lontano da non sentirsi nemmeno il protagonista di quel ricordo.
“Buongiorno, Tobias,” disse una voce. McManus si era avvicinato alla loro cella e si era posizionato sulla soglia. “Keller,” continuò, e Beecher non poté fare a meno di notare un filo di disprezzo nella sua voce.
“Buongiorno,” rispose lui. Keller fece un cenno con la testa.
“Beecher, facciamo una passeggiata,” proruppe McManus, senza aspettarsi un no come risposta. Beecher si alzò dal letto su cui era seduto e si diresse verso l’uscita della cella.
“Mandatemi una cartolina,” bofonchiò Keller, facendo l’occhiolino a Beecher, che cominciò a camminare accanto a McManus.
“Come ti stai trovando?” gli domandò.
Beecher voleva quasi ridere anziché rispondere alla domanda. Come si stava trovando, per le mutande di Merlino? Qualche ora prima aveva subito la maledizione Cruciatus e per un’intera giornata i Dissennatori gli avevano fatto rivivere i momenti più brutti della sua vita.
“Bene,” disse dopo aver rimuginato un po’.
“Sono contento. È difficile adattarsi alla routine all’inizio, però ci farai l’abitudine.”
Beecher lo fissò con sguardo vacuo. Bella merda, pensò.
“Ho visto che hai stretto amicizia con Keller,” continuò McManus, accelerando il passo mentre i due costeggiavano le celle di alcuni Neomangiamorte. Beecher non sapeva se il direttore si aspettasse un commento, per cui annuì senza dire nulla.
“Beecher, mi fa piacere che tu non sia completamente da solo in questi primi giorni, però…”
Però cosa? Cosa voleva McManus da lui?
“Stai attento a Keller,” disse, sospirando pesantemente. Beecher era molto perplesso. Non riusciva a capire dove volesse andare a parare quell’uomo.
“Perché?”
McManus prese un respiro profondo. “Beecher, non saresti il primo, né sarai l’ultimo. Keller è un bugiardo patologico, un manipolatore e un sociopatico. Saresti solo un mezzo per arrivare a un fine.”
Per tutta risposta, Beecher scoppiò a ridere.
“Grazie del consiglio,” rispose freddo. “Adesso credo che tornerò in cella. Da solo.”
McManus scrollò le spalle. “Come vuoi.”
Beecher gli aveva mentito. Non sarebbe tornato nella sua cella, no. C’era qualcosa di magnetico in Keller che gli impediva di stare lontano da lui, come le lucciole che ronzavano intorno alle lanterne della sua vecchia casa. L’avvertimento di McManus era un martello pneumatico che gli spaccava il cranio, ma ciononostante il suo cuore muoveva i suoi passi verso la cella di Keller dall’altro lato di Azkaban.
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“Cos’ha detto il vecchio saggio?”
“Mi ha chiesto come stavo.” Beecher appoggiò la schiena a quel muro incantato che gli permetteva di vedere cos’accadeva nelle altre celle.
“Uh.”
“Già.”
Keller si alzò e si avvicinò a lui. “Avete parlato di me?”
“No,” mentì Beecher. “Perché avremmo dovuto?” Keller scoppiò a ridere.
“Quel bastardo vorrebbe qualcosa di ben preciso da me. Una volta gliel’ho proposto ma mi ha sguinzagliato addosso i Dissennatori.”
Beecher lo guardò perplesso. Si chiese se Keller facesse continue allusioni anche con gli altri prigionieri o se ci fosse qualcosa in lui che lo rendeva una preda apparentemente irresistibile.
“A proposito,” continuò, “prima o poi dovrò insegnarti a evocare un Patronus come si deve.”
Beecher scosse la testa. “Non credo che ne sarò mai in grado,” disse a testa bassa.
“Ehi.” Keller si era avvicinato ancora di più. Solo in quel momento Beecher si rese conto di quanto fosse fisicamente imponente, molto più di quanto lui lo fosse, nonché un mago molto più esperto e temprato alla vita di Azkaban.
“Non devi abbatterti così.” Aveva appoggiato un braccio contro al muro, bloccando Beecher nell’angolo della cella. “Prima o poi ce la farai.”
Con un immenso sforzo, Beecher si piegò in modo da sfuggire a quella morsa. Gli risultava faticoso perché Keller era così… non riusciva a trovare le parole per descrivere le sensazioni che gli faceva provare la sua vicinanza fisica. Si ricordò - un altro ricordo confinato in un angolo nella sua mente - di una notte nel bagno dei Prefetti a Hogwarts con il Cacciatore di Tassorosso, la prima e ultima volta, come si era sempre ripetuto, non sono frocio, gli aveva spiegato, e del resto era impossibile che lo fosse, aveva una moglie e tre bambini ed era felice, non era vero?
Poi.
Stupeficium, e in mille pezzi non era andata solo Cathy Rockwell, ma anche tutta la sua vita. La vita sapeva essere una vera puttana quando si metteva d’impegno.
La vita era di nuovo in vena di scherzi, apparentemente, perché Schillinger e i suoi scagnozzi comparvero improvvisamente dal nulla.
“Bene, bene, bene,” disse Robson. “Vedo che il nostro Beecher ha già trovato il fidanzatino.”
Beecher scattò immediatamente sull’attenti. Keller scrollò le spalle e diede un altro morso al suo pan di zucca, come se non fosse successo niente.
“Che cazzo volete?” ringhiò Beecher. Keller sollevò il capo con interesse, come se fosse incuriosito dalla sua reazione.
“Ah, ma allora ce le hai le palle,” rise Schillinger. “Forse dovremmo fare qualcosa al riguardo.”
Keller si mosse di scatto e si parò davanti a Beecher. “Dovrai passare sul mio cadavere,” intimò a Schillinger.
“Crucio!” urlò quest’ultimo in risposta. Keller crollò a terra, iniziando a contorcersi in modo innaturale.
In quel momento, qualcosa si ruppe dentro Beecher. Gli anni trascorsi tenendo tutte le emozioni dentro sembravano essere scomparsi all’istante: tutta la rabbia che teneva all’interno eruttò fuori come un fiume in piena.
“Stupeficium,” gridò Beecher, e questa volta quella parola non avrebbe ucciso, no, avrebbe salvato Keller dal dolore della Cruciatus. Il corpo di Schillinger fu scaraventato contro il muro della cella come una bambola di pezza. Mack e Robson fecero per avvicinarsi, ma Keller aprì gli occhi e si rialzò in piedi.
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Si avvicinò a Keller. “Tutto a posto?” gli domandò, preoccupato. Cadendo Keller aveva battuto la guancia contro uno spigolo del letto e aveva un graffio da cui stava uscendo un rivolo di sangue. Istintivamente, come se un burattinaio invisibile governasse la sua mano, Beecher gli accarezzò la guancia.
Keller abbozzò un sorriso. “Ce ne vuole per farmi male,” disse, sedendosi sul letto e cercando di nascondere una smorfia di dolore. “Dev’essere una costola,” sussurrò, essendosi accorto dello sguardo preoccupato di Beecher.
“Ehi. Ehi, tranquillo,” continuò. “Davvero, non è niente.”
“Mi dispiace che ti abbiano attaccato per colpa mia,” borbottò Beecher, sedendosi accanto a lui.
Keller scrollò le spalle. “Cosa vuoi che sia,” disse tra sé e sé. “Ormai ci sono abituato. Sono qui da quattro anni.”
“Grazie per avermi difeso. Non ho mai avuto nessuno a farsi avanti per me,” sussurrò Beecher, sorridendo.
“Grazie a te per averli Schiantati. Sei stato forte.” Keller gli accarezzò i capelli con una mano. “Sono stato fortunato a trovarti, prima che tu arrivassi qua ero praticamente solo.”
Beecher gli si avvicinò. “Se non fosse stato per te probabilmente quegli stronzi mi starebbero ancora Cruciando,” mormorò.
“Come posso fare per sdebitarmi?”
Keller sorrise. “Un’idea ce l’avrei.”
“Oh.” Beecher capì e posò le labbra sulle sue. Keller rispose al bacio con delicatezza, schiudendo la bocca e muovendo piano la lingua. Beecher gli mise una mano dietro al collo e approfondì il contatto, mentre Keller gli cinse la vita con il braccio destro e lo strinse a sé. Era evidente che volesse avere il controllo della situazione, e Beecher gli lasciò fare, anche a causa della sua inesperienza con gli uomini. Era tutto così diverso dal bacio con una donna: nonostante Keller fosse delicato, le sue mani erano callose e le sue braccia lo stringevano con forza. Keller era avido; Beecher capiva che era un predatore nato dal modo in cui gli morse il labbro fino a farlo sanguinare e da come le sue labbra si spostarono verso il suo collo come per marcare il territorio. Beecher gettò la testa all’indietro. Da quando era arrivato ad Azkaban non avrebbe mai più potuto pensare di provare sensazioni del genere.
Purtroppo, la festa finì più rapidamente del previsto.
Il direttore della prigione si avvicinò a loro e gli scatenò contro un’orda di Dissennatori. I due si separarono immediatamente - non si poteva tentare alcun tipo di incantesimo quando una guardia umana era nei loro pressi - e Beecher crollò a terra.
Improvvisamente, Cathy e tutto il sangue tornarono a farsi spazio nei suoi pensieri.
Keller scoppiò a ridere. “Non potete farci niente, bastardi,” urlò ai Dissennatori. Ora capì perché McManus avesse detto che era pazzo. Riusciva a trovare qualcosa per cui ridere nei momenti più assurdi, persino quando un Dissennatore aleggiava sopra la sua testa. Si sedette per terra accanto a Beecher e lo strinse a sé. Beecher appoggiò la testa contro il suo petto e in quel momento sembrava che il dolore fosse ovattato, come se avesse deciso di stabilirsi in un lontano angolo della sua mente.
Era sbagliato. Era sbagliato perché Keller era un uomo e un assassino ed era pericoloso. Baciarlo era come guidare a fari spenti in piena notte, e non c’è Lumos che tenga quando tutto quello che Beecher voleva era il brivido del pericolo, quel pericolo da cui aveva sempre cercato di difendersi ma che in realtà era sempre stato una parte fondante dei suoi desideri.
Due giorni, ecco quanto tempo c’era voluto a fargli capire chi era veramente. Beecher aveva voglia di dare personalmente un Galeone a quella guardia.
“Sono qui, Toby,” sussurrò al suo orecchio, accarezzandogli la testa. “Sono qui.”
Keller era velenoso, ma Beecher non era sicuro di voler trovare un antidoto.
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