La luce guizzante della candela illumina il libro a malapena, facendone danzare i caratteri già leggermente sbiaditi davanti ai suoi occhi. Stephen volta lentamente la pagina e appoggia i gomiti sul tavolo, massaggiandosi le tempie per mitigare almeno un poco il dolore e la stanchezza della giornata; nove morti, si ripete, e ventisette feriti. Può ancora sentire l'odore ferroso del sangue, le assi di legno del pavimento viscide sotto i suoi piedi; può vedere le lacrime trattenute a stento del giovane Lord Blackeney, che ha immolato l'infanzia al Re e alla causa senza neanche realizzarlo e domani ne pagherà il prezzo con il proprio braccio. E' un medico, e ha votato la sua vita a tutto questo; ma non esiste libro, o giuramento, o abitudine, che prepari davvero un uomo alla crudeltà beffarda della natura.
Un sommesso bussare alla porta lo riscuote dai pensieri, facendogli riabbassare d'istinto lo sguardo sulla propria lettura. Jack entra senza quasi attendere risposta, un sorriso appena accennato sulle labbra e un piatto tra le mani; ci sono una teiera fumante e una tazza vuota, e qualche fetta di pane tostato dagli angoli appena anneriti.
"Killick dice che non avete mangiato molto, negli ultimi giorni" dice soltanto, posandoglielo davanti. "Mangerò non appena avrò finito di consultare questo libro." "E che probabilmente avete dormito ancora meno." "E dormirò non appena avrò finito di mangiare." Stephen lo guarda di sfuggita, da sopra le lenti degli occhiali, ricambiando il sorriso quasi senza volerlo. "In fede mia, Jack, sareste un'ottima infermiera." Jack sbotta in una risata sommessa, scuotendo la testa. "In fede mia, dottore, compiangerei il pover'uomo che avesse la sventura di venire affidato alle mie cure."
Stephen si arrende e chiude il libro, posandovi sopra gli occhiali; gli fa cenno di accomodarsi, e si alza per recuperare un'altra tazza da uno degli armadietti. L'oceano è calmo abbastanza da non farsi quasi sentire, accompagnando la nave in un rollìo quieto e monotono, e le voci dei marinai sono un'eco lontana che arriva solo a tratti. Non è raro che vi siano simili momenti di tranquillità durante un viaggio così lungo, ma Stephen accoglie comunque ciascuno di essi come una benedizione, serbandone il ricordo per affrontare le ore peggiori.
E' Jack a versare il tè per entrambi, e a sorbirne il primo sorso a occhi chiusi, dopo aver allentato il collo dell'uniforme. Stephen lo osserva in silenzio, masticando un boccone di pane tostato, e non mancando di notare i suoi occhi cerchiati di nero e le rughe di preoccupazione che dopo un attimo tornano a solcargli il volto. Le ferite alla fronte e al collo, almeno, sembra stiano già cominciando a rimarginarsi; con un po' di fortuna non daranno altri problemi.
"Dovreste smetterla" mormora dopo un po', gli occhi bassi sulla propria tazza. "Di fare cosa?" "Di pensare all'Acheron."
Jack si irrigidisce appena, lo sguardo perso oltre la sua spalla, oltre le pareti della cabina, quasi potesse vedere all'orizzonte la rotta del nemico. Stephen sa che gli uomini che ha perso pesano sul cuore di Jack come un macigno, e che ogni squarcio nella fiancata della Surprise è una ferita quasi altrettanto profonda inferta al suo orgoglio. Sa anche, però, che si sta imbarcando in una guerra personale dall'esito ancora più incerto di quella che combatte per la patria, e, in potenza, ancora più distruttivo.
"Il signor Mowett ha ragione. Non c'è disonore nel perdere uno scontro impari." "Ma nonostante questo continuate a pensarci." "Voi cosa suggerite?" ribatte Jack, senza darsi pena di nascondere la lieve nota irritata della propria voce. Stephen non risponde subito. Si concede il tempo di finire il suo tè, di appoggiare la tazza sul piatto in un tintinnio lieve di ceramica. "Di ingoiare la sconfitta" dice poi, guardando il proprio capitano negli occhi. "Come si fa con una medicina, per quanto amara sia." "Quanta saggezza, dottore."
Stephen inarca un sopracciglio e Jack sbuffa e abbassa la testa in segno di scusa, senza tuttavia abbandonare la smorfia ironica che gli piega le labbra.
Un sommesso bussare alla porta lo riscuote dai pensieri, facendogli riabbassare d'istinto lo sguardo sulla propria lettura. Jack entra senza quasi attendere risposta, un sorriso appena accennato sulle labbra e un piatto tra le mani; ci sono una teiera fumante e una tazza vuota, e qualche fetta di pane tostato dagli angoli appena anneriti.
"Killick dice che non avete mangiato molto, negli ultimi giorni" dice soltanto, posandoglielo davanti.
"Mangerò non appena avrò finito di consultare questo libro."
"E che probabilmente avete dormito ancora meno."
"E dormirò non appena avrò finito di mangiare." Stephen lo guarda di sfuggita, da sopra le lenti degli occhiali, ricambiando il sorriso quasi senza volerlo. "In fede mia, Jack, sareste un'ottima infermiera."
Jack sbotta in una risata sommessa, scuotendo la testa. "In fede mia, dottore, compiangerei il pover'uomo che avesse la sventura di venire affidato alle mie cure."
Stephen si arrende e chiude il libro, posandovi sopra gli occhiali; gli fa cenno di accomodarsi, e si alza per recuperare un'altra tazza da uno degli armadietti. L'oceano è calmo abbastanza da non farsi quasi sentire, accompagnando la nave in un rollìo quieto e monotono, e le voci dei marinai sono un'eco lontana che arriva solo a tratti. Non è raro che vi siano simili momenti di tranquillità durante un viaggio così lungo, ma Stephen accoglie comunque ciascuno di essi come una benedizione, serbandone il ricordo per affrontare le ore peggiori.
E' Jack a versare il tè per entrambi, e a sorbirne il primo sorso a occhi chiusi, dopo aver allentato il collo dell'uniforme. Stephen lo osserva in silenzio, masticando un boccone di pane tostato, e non mancando di notare i suoi occhi cerchiati di nero e le rughe di preoccupazione che dopo un attimo tornano a solcargli il volto. Le ferite alla fronte e al collo, almeno, sembra stiano già cominciando a rimarginarsi; con un po' di fortuna non daranno altri problemi.
"Dovreste smetterla" mormora dopo un po', gli occhi bassi sulla propria tazza.
"Di fare cosa?"
"Di pensare all'Acheron."
Jack si irrigidisce appena, lo sguardo perso oltre la sua spalla, oltre le pareti della cabina, quasi potesse vedere all'orizzonte la rotta del nemico. Stephen sa che gli uomini che ha perso pesano sul cuore di Jack come un macigno, e che ogni squarcio nella fiancata della Surprise è una ferita quasi altrettanto profonda inferta al suo orgoglio. Sa anche, però, che si sta imbarcando in una guerra personale dall'esito ancora più incerto di quella che combatte per la patria, e, in potenza, ancora più distruttivo.
"Il signor Mowett ha ragione. Non c'è disonore nel perdere uno scontro impari."
"Ma nonostante questo continuate a pensarci."
"Voi cosa suggerite?" ribatte Jack, senza darsi pena di nascondere la lieve nota irritata della propria voce.
Stephen non risponde subito. Si concede il tempo di finire il suo tè, di appoggiare la tazza sul piatto in un tintinnio lieve di ceramica. "Di ingoiare la sconfitta" dice poi, guardando il proprio capitano negli occhi. "Come si fa con una medicina, per quanto amara sia."
"Quanta saggezza, dottore."
Stephen inarca un sopracciglio e Jack sbuffa e abbassa la testa in segno di scusa, senza tuttavia abbandonare la smorfia ironica che gli piega le labbra.
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