«È arrivato un pacco di Amazon,» dice Ricky, una nota inconfondibile di divertimento nella voce. «Ma io ultimamente non ho ordinato niente.»
Juan Carlos, col cellulare incastrato tra l’orecchio e la spalla mentre termina di asfaltare Marc a FIFA-torneo online, Italia-Spagna nove-a-tre, e Juan Carlos è piuttosto innamorato di Pirlo-emette un suono interessato. «Magari hanno sbagliato indirizzo?»
Ricky ride. «Oh no, c’è proprio scritto-Ricard Rubio i Vives.»
Juan Carlos si riscuote, mette in pausa il gioco. «Ti richiamo tra un minuto.»
Nove minuti e altri tre gol dell’Italia più tardi, Juan Carlos richiama.
«Prima di tutto,» dice, non appena la linea smette di bussare, «sappi che è colpa di Saras. È solo ed esclusivamente colpa di Saras, io non-»
Si zittisce quando Ricky, dall’altro capo del mondo, emette un singhiozzo umido e morbido. Juan Carlos si morde le labbra.
«Ricky?»
«Juanki,» miagola Ricky, e oh Cristo santo, pensa Juan Carlos, nascondendosi la faccia dietro una mano. «Devo mandare una cartolina di ringraziamenti a Saras? Hnnn-best idea ever.»
«Parla come mangi,» brontola Juan Carlos, indispettito dall’improvvisa sensazione claustrofobica che sente all’altezza del cavallo dei pantaloni. «Ricky, cosa diavolo stai-»
«Hmpf,» sospira Ricky, e, d’accordo, Juan Carlos non ha davvero bisogno di chiedere, per sapere cosa sta facendo; non è messo così male.
«Oh, Cristo santo.»
«È quasi-ngh-della misura adatta, sai,» mormora Ricky, e Juan Carlos serra gli occhi, digrigna i denti; se lo immagina, carponi sul letto, col cellulare in vivavoce sul cuscino e la testa piegata all’ingiù, i capelli che gli piovono attorno al viso mentre si spinge dentro lo spinotto di plastica azzurra, la mano sinistra e le cosce impiastricciate di quell’insopportabile lubrificante alla fragola.
«Quasi?» gracchia Juan Carlos, e il Ricky nudo della sua immaginazione oscilla piano i fianchi, si morde le labbra. «Troppo grosso? Non mi dire.»
«No,» ride Ricky, senza fiato. «No, non troppo grosso, Juanki, il contrario.»
Juan Carlos si stringe la radice del naso tra pollice e indice; cerca di non pensare a quali dita invece Ricky avrà deciso di accompagnare al Gesù Cristo di vibratore che non è grosso abbastanza.
Ricky geme, d’un tratto, e sembra quasi sorpreso.
«Ho trovato-uhm. Ho trovato il telecomando,» spiega, e Juan Carlos lo sente distintamente piombare sul letto e poi sibilare di fastidio-e poi gemere ancora, un suono languido e stiracchiato che sarebbe bastato a farlo venire, se Ricky gliel’avesse stampato magari sulla pelle del collo; così, invece, Juan Carlos si agita sul divano, ed è sicuro di aver macchiato almeno un pochino i propri boxer.
«Ricky-»
«Juanki, uhm, Dio, Juanki,» mormora Ricky, distratto e incoerente e il suo respiro affannato e pesante all’orecchio di Juan Carlos è una tortura peggiore che la distanza. «Voglio-uhm, vorrei-»
Averti, conclude Juan Carlos, con chiarezza disarmante. Toccarti. Baciarti, spingerti contro un muro, una porta, il tavolo della cucina-voglio guardarti. Può solo immaginarselo, invece, e gli deve bastare.
«Mi manchi,» soffia Ricky ancora.
«Lo so.»
«Juanki, non voglio-non voglio più toglierlo.»
Juan Carlos lo ascolta, per un’eternità, mentre Ricky si calma un pochino, si abitua, si adatta alla sensazione di essere pieno-forse non del tutto e non come vorrebbe, ma pieno e riempito comunque-e alla fine sospira, contento.
Juan Carlos mormora, «È fatto apposta per quello.»
Juan Carlos, col cellulare incastrato tra l’orecchio e la spalla mentre termina di asfaltare Marc a FIFA-torneo online, Italia-Spagna nove-a-tre, e Juan Carlos è piuttosto innamorato di Pirlo-emette un suono interessato. «Magari hanno sbagliato indirizzo?»
Ricky ride. «Oh no, c’è proprio scritto-Ricard Rubio i Vives.»
Juan Carlos si riscuote, mette in pausa il gioco. «Ti richiamo tra un minuto.»
Nove minuti e altri tre gol dell’Italia più tardi, Juan Carlos richiama.
«Prima di tutto,» dice, non appena la linea smette di bussare, «sappi che è colpa di Saras. È solo ed esclusivamente colpa di Saras, io non-»
Si zittisce quando Ricky, dall’altro capo del mondo, emette un singhiozzo umido e morbido. Juan Carlos si morde le labbra.
«Ricky?»
«Juanki,» miagola Ricky, e oh Cristo santo, pensa Juan Carlos, nascondendosi la faccia dietro una mano. «Devo mandare una cartolina di ringraziamenti a Saras? Hnnn-best idea ever.»
«Parla come mangi,» brontola Juan Carlos, indispettito dall’improvvisa sensazione claustrofobica che sente all’altezza del cavallo dei pantaloni. «Ricky, cosa diavolo stai-»
«Hmpf,» sospira Ricky, e, d’accordo, Juan Carlos non ha davvero bisogno di chiedere, per sapere cosa sta facendo; non è messo così male.
«Oh, Cristo santo.»
«È quasi-ngh-della misura adatta, sai,» mormora Ricky, e Juan Carlos serra gli occhi, digrigna i denti; se lo immagina, carponi sul letto, col cellulare in vivavoce sul cuscino e la testa piegata all’ingiù, i capelli che gli piovono attorno al viso mentre si spinge dentro lo spinotto di plastica azzurra, la mano sinistra e le cosce impiastricciate di quell’insopportabile lubrificante alla fragola.
«Quasi?» gracchia Juan Carlos, e il Ricky nudo della sua immaginazione oscilla piano i fianchi, si morde le labbra. «Troppo grosso? Non mi dire.»
«No,» ride Ricky, senza fiato. «No, non troppo grosso, Juanki, il contrario.»
Juan Carlos si stringe la radice del naso tra pollice e indice; cerca di non pensare a quali dita invece Ricky avrà deciso di accompagnare al Gesù Cristo di vibratore che non è grosso abbastanza.
Ricky geme, d’un tratto, e sembra quasi sorpreso.
«Ho trovato-uhm. Ho trovato il telecomando,» spiega, e Juan Carlos lo sente distintamente piombare sul letto e poi sibilare di fastidio-e poi gemere ancora, un suono languido e stiracchiato che sarebbe bastato a farlo venire, se Ricky gliel’avesse stampato magari sulla pelle del collo; così, invece, Juan Carlos si agita sul divano, ed è sicuro di aver macchiato almeno un pochino i propri boxer.
«Ricky-»
«Juanki, uhm, Dio, Juanki,» mormora Ricky, distratto e incoerente e il suo respiro affannato e pesante all’orecchio di Juan Carlos è una tortura peggiore che la distanza. «Voglio-uhm, vorrei-»
Averti, conclude Juan Carlos, con chiarezza disarmante. Toccarti. Baciarti, spingerti contro un muro, una porta, il tavolo della cucina-voglio guardarti. Può solo immaginarselo, invece, e gli deve bastare.
«Mi manchi,» soffia Ricky ancora.
«Lo so.»
«Juanki, non voglio-non voglio più toglierlo.»
Juan Carlos lo ascolta, per un’eternità, mentre Ricky si calma un pochino, si abitua, si adatta alla sensazione di essere pieno-forse non del tutto e non come vorrebbe, ma pieno e riempito comunque-e alla fine sospira, contento.
Juan Carlos mormora, «È fatto apposta per quello.»
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