Benvenuta, utenza canterina, alla quinta puntata di #thexfandom, la prima dei Live Show! Dodici di voi sono entrati dagli Home Visit, entrando definitivamente nel team di uno dei giudici, che passerà la propria esistenza a litigare con gli altri due, cercare il prompt più adatto alle vostre corde e portare se stesso e uno di voi alla vittoria
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Anni fa, Brian era un cherubino col sorriso impertinente e non un grammo di muscoli addosso, e che nonostante tutto aveva tenuto testa a quel carrarmato di Vince; adesso è un uomo, è un padre, porta i capelli tagliati cortissimi eppure, a guardarlo, a Dom non sembra poi così tanto cambiato.
Come tutto quello che passa per il garage dei Toretto, Brian è la versione modificata e perfezionata di quel modello che ogni giorno chiedeva a Mia un panino col tonno: è cresciuto, si è rifinito, ma conserva intatta la sua essenza-e il marchio di fabbrica che sono quegli occhi impossibili, e le stupide scarpe da tennis.
A volte Dom si ritrova ad alzare la testa dal motore su cui sta lavorando, e quando vede Brian chino sul cofano di una macchina, la fronte corrucciata e la punta della lingua tra i denti, quasi si aspetta di trovare Vince rannicchiato nell’angolo più buio del capannone a tentare di farsi passare una sbronza. Quasi si aspetta di vedere Jesse varcare la porta del garage con una bracciata di nuovi piani di costruzione. Quasi si aspetta di sentire Leon ridere e masticare il più rumorosamente possibile solo per tormentare Vince.
Dom non è mai stato bravo ad accettare sconfitte e perdite-che sono un po’ la stessa cosa, quando la tua vita è una corsa e la corsa è la tua vita,-ed è una sensazione dolceamara, ma non impossibile da affrontare, ora che Mia sorride così tanto, ora che Letty è di nuovo com’era a diciannove anni, ora che c’è Jack, e ora che Brian-ora che Brian è Brian, Dom non saprebbe definirlo diversamente.
In fondo, riflette Dom, un sogghigno pigro a incurvargli le labbra, non è cambiato davvero un cazzo rispetto ai giorni in cui Brian era Spilner, piuttosto che O’Conner; il ragazzino è ancora e sempre un pensiero che lo tormenta, una trave nel fianco che Dom, semplicemente, ha finito per inglobare al proprio corpo più profondamente di qualsiasi altro membro della squadra: ora Brian è un braccio, è un polmone, è benzina nel serbatoio.
Senza fretta, Dom allunga una mano, la appoggia sulla nuca di Brian, strizzando brevemente il collo tra le dita; Brian, imprudentissimo idiota, non si prende neanche il disturbo di preoccuparsi del fatto che Dom è trenta volte più forte di lui, che potrebbe spezzargli la spina dorsale senza neanche doversi sforzare. Piuttosto, si rilassa e persino si spinge incontro al suo tocco, al suo palmo calloso; non schioda gli occhi dall’orizzonte, e sospira, contento.
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