La nave volava pigra in mezzo allo spazio, a velocità relativamente bassa - relativamente, perché il tempo era relativo -, e l'Angelo osservò la colonnina al centro della piattaforma dei comandi con affetto, inserendo qualche coordinata. I piccoli bip che Lei gli offrì in risposta destarono il ragazzo, addormentato sulla poltroncina lì vicino. Il Signore del Tempo vide le sue ciglia bionde frullare e schiudersi, rivelando due occhi verdi ancora molto assonnati. Dean si guardò attorno confuso, prima di individuare la figura in trench davanti ai comandi. S’irrigidì all’istante, svegliandosi del tutto. «Sto sognando?» gracchiò con la voce ancora roca per il sonno. «No» rispose semplicemente il Signore del Tempo, rivolgendogli un accenno di sorriso «Prova ad aprire la porta» suggerì poi, inclinando il capo verso l’ingresso del TARDIS. Dean, ancora in maglietta da notte e boxer, come quando era salito sulla nave qualche ora prima - anche se al momento erano decisamente più stropicciati, di quando era arrivato, grazie a... be’, un piacevole incontro del terzo tipo… o era il quarto tipo quando pomiciavi furiosamente con un alieno ultracentenario? -, si alzò per seguire il suo consiglio, ciondolando in quella direzione. L’Angelo ne approfittò per fissare senza un briciolo di vergogna le sue gambe nude, facendo sorridere il ragazzo, che percepì addosso il suo sguardo bruciante per tutto il tempo. Dean si aspettava che fossero già atterrati, perché la cabina telefonica - o la nave spaziale, o la macchina del tempo o… insomma, quello che era - sembrava del tutto stabile, quindi quando aprì le porte e si trovò davanti tutt’altro, ci mancò tanto così che gli venisse un colpo. «È…» iniziò incredulo, voltandosi nella direzione dell’amico - amante? - e poi di nuovo verso il paesaggio esterno, ma subito si accigliò e si zittì. «Lo spazio» concluse per lui, l’Angelo, affiancandolo. «Perché non vengo risucchiato fuori? E perché riesco a respirare?» chiese precipitosamente Dean, con voce almeno un’ottava più acuta del normale. «Sei dentro le barriere del TARDIS» rispose semplicemente il Signore del Tempo, poi - con molta nonchalance - gli diede uno spintone e lo buttò fuori. Dean perse una decina d’anni di vita, mentre in pochi secondi nella sua testa si affollavano immagini da film di fantascienza in cui il malvagio alieno di turno lo rapiva solo per approfittarsi di lui e poi lasciarlo a morire in un punto a caso dell’universo. Poi, però, iniziò a fluttuare come se non avesse peso, salendo su anziché precipitare e, prima che potesse allontanarsi troppo, sentì una mano salda afferrargli una caviglia, lasciandolo lì sospeso tra le stelle come un palloncino ad elio. Dean iniziò a ridere senza controllo, una risata buona e felice, mentre allungava le braccia per saggiare l’aria - o l’assenza della stessa. Era bellissimo. Forse questa cosa avrebbe persino potuto curare quella paura di volare che non aveva mai confessato a nessuno. Non si accorse dello sguardo intenerito con il quale l’Angelo, dietro di lui, lo stava abbracciando. Dean Winchester, il ragazzo che lo aveva aspettato un’intera notte al gelo, nel suo giardino, quand’era solo un bambino, e aveva continuato ad attenderlo per tutti i successivi vent’anni della sua vita. Il Signore del Tempo voleva sentirne tante altre, di quelle risate.
La nave volava pigra in mezzo allo spazio, a velocità relativamente bassa - relativamente, perché il tempo era relativo -, e l'Angelo osservò la colonnina al centro della piattaforma dei comandi con affetto, inserendo qualche coordinata.
I piccoli bip che Lei gli offrì in risposta destarono il ragazzo, addormentato sulla poltroncina lì vicino. Il Signore del Tempo vide le sue ciglia bionde frullare e schiudersi, rivelando due occhi verdi ancora molto assonnati.
Dean si guardò attorno confuso, prima di individuare la figura in trench davanti ai comandi. S’irrigidì all’istante, svegliandosi del tutto. «Sto sognando?» gracchiò con la voce ancora roca per il sonno.
«No» rispose semplicemente il Signore del Tempo, rivolgendogli un accenno di sorriso «Prova ad aprire la porta» suggerì poi, inclinando il capo verso l’ingresso del TARDIS.
Dean, ancora in maglietta da notte e boxer, come quando era salito sulla nave qualche ora prima - anche se al momento erano decisamente più stropicciati, di quando era arrivato, grazie a... be’, un piacevole incontro del terzo tipo… o era il quarto tipo quando pomiciavi furiosamente con un alieno ultracentenario? -, si alzò per seguire il suo consiglio, ciondolando in quella direzione.
L’Angelo ne approfittò per fissare senza un briciolo di vergogna le sue gambe nude, facendo sorridere il ragazzo, che percepì addosso il suo sguardo bruciante per tutto il tempo.
Dean si aspettava che fossero già atterrati, perché la cabina telefonica - o la nave spaziale, o la macchina del tempo o… insomma, quello che era - sembrava del tutto stabile, quindi quando aprì le porte e si trovò davanti tutt’altro, ci mancò tanto così che gli venisse un colpo.
«È…» iniziò incredulo, voltandosi nella direzione dell’amico - amante? - e poi di nuovo verso il paesaggio esterno, ma subito si accigliò e si zittì.
«Lo spazio» concluse per lui, l’Angelo, affiancandolo.
«Perché non vengo risucchiato fuori? E perché riesco a respirare?» chiese precipitosamente Dean, con voce almeno un’ottava più acuta del normale.
«Sei dentro le barriere del TARDIS» rispose semplicemente il Signore del Tempo, poi - con molta nonchalance - gli diede uno spintone e lo buttò fuori.
Dean perse una decina d’anni di vita, mentre in pochi secondi nella sua testa si affollavano immagini da film di fantascienza in cui il malvagio alieno di turno lo rapiva solo per approfittarsi di lui e poi lasciarlo a morire in un punto a caso dell’universo. Poi, però, iniziò a fluttuare come se non avesse peso, salendo su anziché precipitare e, prima che potesse allontanarsi troppo, sentì una mano salda afferrargli una caviglia, lasciandolo lì sospeso tra le stelle come un palloncino ad elio.
Dean iniziò a ridere senza controllo, una risata buona e felice, mentre allungava le braccia per saggiare l’aria - o l’assenza della stessa. Era bellissimo. Forse questa cosa avrebbe persino potuto curare quella paura di volare che non aveva mai confessato a nessuno.
Non si accorse dello sguardo intenerito con il quale l’Angelo, dietro di lui, lo stava abbracciando. Dean Winchester, il ragazzo che lo aveva aspettato un’intera notte al gelo, nel suo giardino, quand’era solo un bambino, e aveva continuato ad attenderlo per tutti i successivi vent’anni della sua vita. Il Signore del Tempo voleva sentirne tante altre, di quelle risate.
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