Feb 05, 2015 00:38
<< Arrivederci signora Leroy, a lunedì. >> Gìselle, la segretaria di quel rinomato studio di avvocati, aveva appena finito il suo orario e si apprestava ad andarsene a casa. Dopo aver preso il cappotto, passando davanti all'ufficio della sua superiore, si era apprestata immediatamente a salutarla, senza aspettarsi molto dall'altra donna.
<< A lunedì. >> rispose semplicemente l'avvocato Leroy, senza nemmeno alzare lo sguardo sulla povera segretaria, dato che era troppo presa dal leggere, per l'ennesima volta, un fascicolo che aveva davanti a sè.
Appena sentì la porta dello studio chiudersi dietro alla ragazza, Amèlie si lasciò andare ad un lungo sospiro: era molto difficile per lei lavorare con Gìselle; non perché l'altra ragazza lavorasse male o altro, semplicemente perché erano ex fidanzate. La loro relazione era finita qualche mese prima, eppure Amèlie non era ancora riuscita a dimenticarla, e, lavorarci a stretto contatto ogni giorno, non l'aiutava per nulla. Dato che era rimasta sola, si alzò ed andò alla macchinetta del caffè, prendendosi un caffè liscio per poi spostarsi i lunghi capelli biondi dietro le spalle con un gesto nervoso e di stizza.
Non aveva mai capito come Gìselle potesse essere sempre così indifferente quando la salutava; lei invece, usava sempre un tono molto freddo, quasi glaciale, come il colore dei suoi occhi. Appena la macchinetta suonò, ne prese fuori il bicchierino, tornando con tutta calma alla propria scrivania, lavorando ininterrottamente fino alle sette, ora in cui staccava e tornava a casa. Prese la pelliccia dall'appendiabiti posto vicino alla porta del suo ufficio, assieme poi alla borsa e alle chiavi, spegnendo ogni singola luce prima di uscire; non si curò minimamente dei passi affrettati che sentiva eccheggiare nel pianerottolo, finchè qualcuno non le finì addosso. Si costrinse ad abbassare lo sguardo quando sentì il chiaro tonfo di qualcuno che era caduto. << Gìselle! Che ci fai ancora qui? >> chiese la trentaduenne, sbuffando irritata alla vista della figura della segretaria. Le porse la mano per aiutarla a rialzarsi, ritrovandosela così a pochi centimetri dal viso; distolse lo sguardo, attendendo che la mora le desse una spiegazione: non aveva tempo da perdere, doveva rientrare a casa.
<< I-io... Mi scusi signora Leroy, sono tornata solo perché ho dimenticato una cosa. >> si scusò immediatamente la ventinovenne, abbassando lo sguardo.
<< Hai le chiavi, quindi puoi fare da sola. Chiudi bene a chiave la porta e ricordati di spegnere tutte le luci. >> disse, sistemandosi la pelliccia e lasciandola sul pianerottolo, uscendo dall'edificio. Appena fu fuori, si strinse maggiormente nella pelliccia che indossava: erano a gennaio e faceva molto freddo: se c'era una cosa che Amèlie odiava, tra le tante, era proprio il freddo dell'inverno. All'orizzonte poteva vedere il sole che stava tramontando e che stava per lasciare il posto alla luna. Non perse molto tempo ad osservarlo, attraversando la strada in fretta: detestava tornare a casa in giorni come quello, ma doveva, dato che i genitori erano da lei. Dopo non molto svoltò in una stradina laterale, accelerando il passo: più faceva buio, più non le piaceva girare per quelle stradine da sola; anche se era ricca, aveva mandato il suo autista a prendere i genitori, quindi era a piedi.
I lampioni ai lati della strada, man mano che avanzava, si accesero, illuminando la via, che fino a poco prima era decisamente poco illuminata, se non dai fari delle poche macchine che passavano di là a quell'ora.
Camminava a passo svelto, nemmeno fosse inseguita da qualcuno, quando notò qualcosa che le ghiacciò il sangue nelle vene: sul marciapiede vi era una pozza di sangue e piccole goccie che continuavano a cadere.
Alzò il volto per vedere da dove arrivasse quel sangue e cacciò un urlo: su una piccola tettoia c'era il cadavere di un uomo, con il cranio fracassato e ricoperto da sangue. Sotto la tettoia, che sovrastava l'entrata di un edificio dall'aspetto vecchio e abbandonato, vi era una lampadina penzolante, la cui luce funzionava ad intermittenza.
Con mani tremanti, prese in mano il cellulare e compose il 17, numero per le chiamate alla polizia francese.
<< Commissariato di polizia di Parigi, in cosa posso esserle utile? >> una voce maschile giovane rispose velocemente all'altro capo del telefono.
<< Buongiorno, sono Amèlie Leroy. Al momento mi trovo nel VI arrondissement e... Credo ci sia stato un omicidio o un suicidio, non saprei. >> cercava di mantenere un tono calmo, ma la sua voce tremava molto.
<< Si calmi signora Leroy, invio subito una volante. Mi può descrivere la scena? >> l'uomo aveva un tono alquanto calmo e cercava di trasmettere la stessa cosa alla signora.
<< Sono... Davanti ad un edificio vecchio ed abbandonato: a terra c'è una grande pozza di sangue e sulla tettoia che porta all'entrata dell'edificio c'è un uomo morto, col cranio fracassato >> si allontanò di qualche passo da lì, mentre continuava a parlare con l'agente.
<< Ho capito... La volante sta arrivando, non si preoccupi >>
La chiamata si interruppe in quel modo e lei fissò per un attimo il cellulare, prima di metterlo in tasca; sperava di sbrigare in fretta quella vicenda, per quanto l'idea di rivedere i genitori, non l'allettava affatto. Non passò molto prima che sentisse il classico suono delle sirene della polizia; attese che i poliziotti scendessero, per poi avvicinarsi a loro.
<< Non ho visto nè sentito nulla: stavo camminando tranquilla per i fatti miei, quando ho notato ai miei piedi la pozza di sangue e poi l'uomo. >> spiegò ai due agenti, ravvivandosi per un attimo i capelli con un gesto della mano.
<< Ne è sicura signora Leroy? Nemmeno un tonfo, nulla? >> le chiese il più giovane dei due, che stava prendendo appunti.
<< Nulla signor agente. >> Aprì la borsetta e gli diede i documenti. << Tenga,immagino che le servano >> disse, spazientita.
<< Grazie >> l'agente controllò i documenti, scrivendo, porgendoglieli nuovamente. << Vuole che la accompagno a casa? Mi sembra un po' scossa >> constatò, osservandola.
<< Non voglio arrecarle alcun disturbo, la raggiungo tranquillamente a piedi. Posso andare? >> gli occhi color ghiaccio di Amèlie si posarono su quelli blu notte dell'agente, che si limitò ad annuire a quella richiesta. << In tal caso, arrivederci. Avete comunque i miei dati, nel caso vi servissi ancora. >>
Con quella frase congedò i due agenti, tornando finalmente a casa, dove i genitori la stavano aspettando, già seduti al maestoso tavolo della sala da pranzo. Non li salutò, salendo in camera a cambiarsi e mettere abiti più consoni. Quando finalmente si unì al padre e alla madre, ordinando alla cameriera di iniziare a servire la cena; li osservò per svariato tempo, in completo silenzio, sbuffando quando Tiger, il suo gatto siamese, saltò sul tavolo: odiava quando faceva così, quindi lo prese, mettendolo di nuovo a terra, andando poi a lavarsi per bene le mani. Tornò a tavola, iniziando a mangiare il primo che era una Potage Parmentier. Notò che i genitori si scambiavano, di tanto in tanto, delle occhiate e la cosa la irritava: potevano parlare invece di limitarsi a osservarsi o osservare lei.
Tiger dal canto suo si era accoccolato ai piedi dalla padrona, come a volerle dare conforto, dato lo stato d'animo in cui si trovava e, Amèlie, si chiedeva spesso come potesse quella piccola palla di pelo di appena due anni, riuscire a rilassarla in quel modo.
Quella giornata, da stupenda, stava gradualmente degradando e i nervi della povera Amèlie minacciavano di scoppiare da un momento all'altro, soprattutto a causa della presenza della figura materna. Amèlie mangiò il primo, gustandoselo, quando il padre posò il cucchiaio, deciso a parlare. La giovane però, continuò imperterrita a mangiare, mentre la madre si pulì accuratamente la bocca, fissandola.
<< Amèlie... Lo sai che se siamo venuti a trovarti, c'è un motivo ben preciso, vero?" >> esordì l'uomo, che congiunse le mani davanti a sè, guardando l'unica figlia che avevano.
<< Certo che lo so, papà. Mi piacerebbe sapere quale sia questo motivo, invece di perdere ulteriore tempo, giocando al gioco del silenzio. >> Lo apostrofò Amèlie, guadagnandosi un'occhiataccia dalla madre, che lei puntualmente ignorò.
<< Lo sai che tempo fa parlavamo di un tuo possibile matrimonio, no? Si da il caso che abbiamo trovato l'uomo con cui dovrai sposarti... >> L'anziano si sistemò gli occhiali, attendendo la reazione della figlia, che non tardò molto ad arrivare.
<< Che cosa? >> Nel sentire quelle parole poco mancó che la povera Amèlie si soffocasse. Allungò una mano verso il bicchiere che aveva davanti a sé, bevendo un gran sorso d'acqua. << Non mi potete imporre questa cosa! Mamma mi ha già rovinato la vita, facendomi abortire anni fa; quando la smetterete di voler decidere per me? >> Il tono della ragazza si era alzato di qualche ottava e si era alzata in piedi, correndo in camera a prendere la borsa e le chiavi della macchina, uscendo poi di casa.
Appena fu in macchina, abbandonò la borsa sul sedile anteriore, uscendo dal garage e dal viottolo di casa, guidando verso una meta di cui nemmeno lei sapeva quale fosse. Teneva il volante talmente stretto per il nervoso, che le nocche delle mani erano letteralmente sbiancate. Continuò a girovagare senza una meta, ritrovandosi nella zona della casa della sua ex, ma non si fermò: aveva bisogno di un posto dove andare a dormire, ma presentarsi a casa di Gìselle a quell'ora non era il massimo. Passò avanti e guidò fino a Le Havre, impiegandoci più di due ore, nonostante non ci fosse molto traffico; fermò la macchina sul ciglio della strada, che portava poi al mare. Scese e si avviò sulla spiaggia, fermandosi poi sulla sabbia e togliendosi le scarpe, per poi mettere i piedi a mollo, con le onde che le solleticavano le piante. Sospirò pesantemente, prendendo dalla tasca dei pantaloni il cellulare, componendo poi il numero di un suo amico.
<< Ciao Didier, ti disturbo? Avrei un favore da chiederti... Sono qui a Le Havre >> disse Amelie appena il ragazzo rispose, dopo alcuni squilli.
<< Oh, Amèlie! Chi non muore si rivede, eh? >> Didier scoppiò in una fragorosa risata, prima di tornare serio. << Non mi disturbi affatto, cosa ti porta qui a Le Havre? >> Erano amici dall'infanzia e ormai lui aveva imparato a conoscere ogni minima cosa dell'amica, anche se abitavano a molti chilometri di distanza.
<< Sono letteralmente scappata di casa: i miei si sono presentati a casa mia per farmi sapere che mi hanno trovato il marito. >> sbuffò sonoramente, allungandosi sulla sabbia, puntellandosi però con i gomiti, per non sporcarsi i capelli. << Mi servirebbe che per questa sera mi ospitassi: sei l'unico a cui posso chiederlo e che conosco qui a Le Havre. Scusami se te lo chiedo senza preavviso, ma non mi aspettavo una cosa simile. >> Si sentiva un po' in colpa per quell'improvvisata: se lui non poteva, sarebbe andata a cercarsi un hotel, non ci sarebbero stati problemi per lei.
<< Per me non ci sono problemi, vieni pure, ti aspetto. >>
Chiusero la chiamata e lei si rimise le scarpe, tornando alla macchina; non ci mise molto a raggiungere l'appartamento del ragazzo, che le aprì il cancello, per farla parcheggiare all'interno, dove era sicuro, rispetto alla strada. Appena scese, Amèlie mosse lievemente la testa per ravvivarsi i capelli: era stanca e aveva una gran voglia di fare una doccia ed andarsene a dormire. Didier la fece passare galantemente per prima, facendola poi accomodare; lei si sedette sul divano e notò, vicino a sè, una foto strappata. La prese in mano e la osservò per bene: vi erano un ragazzo ed una ragazza: riconosceva Didier, ma davvero non capiva chi fosse quella ragazza che era lì con lui e si chiedeva anche chi ci fosse stato nel pezzo strappato.
L'amico le prese la foto di mano, appena si rese conto che lei la stava fissando. << Ti pregherei di non farmi domande su questa foto: per favore. >> disse, andando a metterla via, in un cassetto segreto. << Come preferisci, anche se sai quanto sono curiosa... Ma per rispetto nei tuoi confronti, non farò nessuna domanda. Certo che come al solito tu hai la casa altamente disordinata >>. Notò lei, dandosi un'occhiata attorno: c'erano fogli dappertutto, la scrivania era la più in disordine. Dato che era una maniaca dell'ordine, si alzò ed andò a mettere a posto qualche foglio che era caduto a terra: non ce la faceva a star lì a vedere quel casino, senza fare nulla. Dopo aver messo a posto i fogli, lo raggiunse in cucina.
<< Io sono stanca, se non ti dispiace, andrei a dormire. Non ti preoccupare, ho già mangiato >> Anche se, data la notizia che le era stata data, il poco che aveva mangiato le era rimasto sullo stomaco. Didier annuì e lei salì nella camera degli ospiti, andando a farsi una doccia veloce, per poi andare sotto le coperte solo con l'intimo, per non bagnare i vestiti con cui era arrivata lì. Riuscì a prendere subito sonno, mentre il ragazzo si guardò un po' di televisione, per poi salire nella sua camera, a dormire.
A differenza di Amèlie, che dormì pacificamente, l'amico ed ex ragazzo della donna d'affari che dormiva nell'altra stanza, fece un sogno assai strano; sognò la madre, la quale era morta molti anni prima in un incidente automobilistico, dove lui si era salvato per puro miracolo. Si risvegliò da quel sogno con il sudore alla fronte e tremando lievemente: non gli era mai successo di rivedere ciò che era successo, rivedendo quei bruttissimi momenti, in cui si era detto che la sua ora era ormai arrivata. Si alzò dal letto e scese in cucina a bere un bicchiere d'acqua, cercando di calmare i battiti del cuore, con dei respiri belli profondi, osservando una foto incorniciata, che era posta sopra il tavolo. Quella foto ritraeva sua madre, suo padre e lui, tra le braccia della madre, ancora in fasce. Lasciò il bicchiere nel lavandino, tornando poi a dormire, ma restò semplicemente disteso sul divano questa volta. Quando Amèlie si svegliò il giorno dopo, il sole già splendeva alto nel cielo e le colpiva gli occhi. Si alzò e si rivestì, scendendo così di sotto, notando che il vecchio amico stava ancora dormendo sul divano. Facendo il minor rumore possibile, entrò in cucina, dove gli preparò la colazione, lasciandogliela poi sul tavolo: comprendeva un caffè, una brioches e del succo di frutta. Prese anche uno dei fogli che la sera prima aveva messo in ordine, lasciandogli così un messaggio:
- Ti ringrazio per avermi ospitata: per sdebitarmi ti ho preparato la colazione, ma ora devo rientrare a Parigi... Scusami e buona giornata. -
Si riprese la pelliccia che il giorno prima aveva lasciato sull'attaccapanni all'entrata ed uscì, aprendosi il cancello grazie ad un bottone che aveva notato la sera prima e salì in macchina. Posò con cura la pelliccia sui sedili posteriori, cominciando così a rientrare verso Parigi, dove c'era la sua villa.
Verso mezzogiorno, dato che aveva fame e prima delle 13:30 non sarebbe arrivata a casa, si fermò in un'osteria: era il meglio che era riuscita a trovare, nonostante non fosse una persona particolarmente schizzinosa. Dato il posto, decise di lasciare la pelliccia in macchina, giusto per evitare di rischiare di sporcarla: appena entrò, un forte odore di alcol la investì e le fece storcere il naso per il disgusto; quella era stata una pessima idea, ma ormai era lì, non poteva andarsene. Si andò a sedere al bancone, ordinando qualcosa, tamburellando con le dita sulla superficie di legno: mentre attendeva l'ordinazione si guardò un po' attorno, notando un uomo, più o meno della sua stessa età, che, ubriaco, tentava di rimorchiare una ragazza di al massimo venticinque anni. Il signore era chiaramente straniero, dall'accento e dalle parole che riusciva a percepire, nonostante i due non fossero molto vicini a lei; era una tipa che non sopportava quelle cose e anche se non erano affari suoi, non voleva lasciare quella ragazza lì indifesa, che nemmeno capiva quello che l'ubriaco stava dicendo, nelle mani di quel tipo. Si alzò dalla sedia, attraversando a grandi falcate l'osteria, dando poi dei colpi sulla spalla del russo, che si girò e la fissò male.
<< Che vuoi tu? Lasciami in pace! >> nonostante l'altra ragazza non capisse nulla di ciò che quello straniero stesse dicendo, Amèlie aveva capito bene: il russo, assieme al giapponese, coreano, spagnolo, inglese, olandese e danese, era una delle sette lingue che sapeva parlare molto bene, grazie ai suoi studi.
<< Lei sta importunando questa ragazza, la smetta. Oltretutto, non parla nemmeno russo. >> Lo sguardo di Amèlie si fece serio e severo: odiava quelle ingiustizie.
<< Chi è lei, l'avvocato difensore della ragazza per caso? Se ne torni a mangiare, che è meglio! >> l'uomo era davvero irritato e si vedeva chiaramente. La ragazza invece, si alzò e ne approfittò per sgattaiolare via, pagando prima e lanciando uno sguardo riconoscente verso Amèlie.
<< No, ma non sopporto gli uomini come lei. Ora, se non le dispiace, me ne torno a mangiare. >>
Fece cenno di girarsi e tornare al balcone, ma l'uomo posò una sua mano sudicia sulla sua spalla, girandola di nuovo. Lei lo fulminò con lo sguardo, levandosi quella schifosa mano di dosso, mentre il proprietario chiamava la sicurezza. Quando l'uomo se ne rese conto, si allontanò da lei e la lasciò andare a mangiare, prima di essere buttato fuori dal locale.
Prima di mangiare, Amèlie andò in bagno a lavarsi accuratamente le mani: aveva paura che quel tizio avesse una qualche malattia ed era una di quelle cose che lei temeva di più; notando infine una macchia sulla camicia che indossava; storse la bocca in una smorfia: in quei giorni le andava tutto storto, non era possibile! Quando tornò al bancone, il proprietario si scusò con lei, la quale si limitò ad annuire, mangiando in fretta, per poi tornare a guidare verso casa...
Sperava che la sfortuna fosse finita per quel giorno, perché non ne poteva davvero più.
- Oggi non è proprio giornata; sarà meglio che mi chiudo in casa, stacco cellulare, telefono, tutto ciò con cui sono rintracciabile e, addio mondo. -
Questi era ciò che pensava costantemente la giovane Amèlie, sulla strada del ritorno. Il sole splendeva ancora forte nel cielo, senza la benchè minima traccia di una sola nuvola ad intaccare quell'azzurro profondo, in cui lei amava specchiarsi e perdersi nei pensieri.
Non riuscì nemmeno a portare a termine quel pensiero per la... Centesima volta forse, che sentì il cellulare suonare nella borsa. Poco dopo, la musica che risuonava nell'abitacolo fino a poco prima cessò, lasciando spazio alla suoneria; controllò per qualche attimo il display della radio: segnalava una chiamata in arrivo da parte di Dominic, il ragazzo che attualmente le andava dietro. Sospirò: Dominic era di certo un ventottenne molto attraente e Amèlie non poteva negare di esserne attratta; l'unico problema consisteva nel fatto cge il suo cuore, in parte, era ancora attaccato a Giselle e con Dominic era solo una cosa fisica, più che sentimentale. Al decimo squillo, si decise finalmente a pigiare il tasto di risposta sulla radio, così da poter parlare senza la distrazione del cellulare e, non rischiare di incappare in una multa.
<< Ma cherie! Hai impiegato molto per rispondere, eh? >> il tono di voce del ragazzo era molto dolce e per nulla arrabbiato.
<< Scusami, ma oggi non è giornata e ho visto che mi stavi chiamando solo quando sono salita in macchina. >> Non era tutta la verità, ma non voleva farlo soffrire, così aveva omesso di proposito, il fatto che all'inizio era stata intenzionata a non rispondere.
<< È successo qualcosa di grave, petite? >> il tono ora si era trasformato in preoccupato e, iniziava a temere il peggio ormai.
<< Quante volte ti devo ripetere di non chiamarmi petite? >> chiese la povera Amèlike, sbuffando e stringendo forte le mani attorno al volante. << Nulla di particolarmente importante: ieri sera ho dormito fuori casa a causa dei miei genitori, mentre oggi a pranzo ho salvato una ragazza da un tipo russo che la importunava. >> omise accuratamente il perché avesse litigato con i genitori: sapeva per certo che lui ci sarebbe rimasto male.
<< Dai dolcezza, sono certo che tutto si sistemerà con i tuoi genitori; non buttarti giù di morale. In ogni caso, ti avevo chiamata per chiederti se ti andava di uscire questa sera: per una cena o anche solo per un aperitivo. >> Forse uscire un po' l'avrebbe calmata e si sarebbe potuta divertire.
<< Mi è molto difficile non buttarmi giù di morale: è una cosa che proprio non sopporto e loro lo sanno benissimo, ma sembrano sordi su questa cosa. >> stava dicendo fin troppo per i propri gusti e non andava bene: solo che con Dominic non riusciva a mentire. << Per questa sera... Va bene. Uscire mi farà solo bene e mi aiuterà a dimenticare tutto. >> alla fine si ritrovò ad accettare di buon grado quella proposta così improvvisa: se lo conosceva abbastanza bene, non sarebbe stata una semplice uscita, ma qualcosa di molto più elaborato; Dominic aveva sempre adorato fare le cose in grande.
<< Bene! Ci troviamo alle 20:00 al ristorante "Epicure" nella Rue du Fabourg Saint-Honore. Hai presente di quale sto parlando, vero? Ah, vestiti in modo elegante: ci sarà una sorpresa per te. >>
Amèlie gli confermò che per lei andava più che bene, prima di chiudere la chiamata e godersi in tutta tranquillità gli ultimi miniuti di guida, che la separavano dalla villa.
Parcheggiò la macchina davanti al portone d'entrata, lasciandola accesa per il maggiordomo che poi si sarebbe occupato di portarla nell'enorme garage antistante la magione. Dall'auto prese la borsa e la pelliccia, aprendo l'enorme portone: la cameriera era lì, il busto lievemente inchinato, in segno di saluto e di rispetto.
Amèlie la salutò con un cenno della mano, lasciandole il cappotto che l'anziana donna prese con estrema cura, sparendo sulla scalata in marmo, per appenderlo nella cabina armadio. L'avvocato si portò in cucina, cercando qualcosa da mettere sotto i denti: aveva un certo languorino, che non era tanto da farle desiderare un pasto completo; le sarebbe bastata una scaglia di cioccolato, una fetta di torta... Qualsiasi cosa.
Trovò una barra di cioccolato fondente ed indugiò un attimo, prima di decidersi a prenderla: non aveva mai avuto problemi di linea e un dolce una o due volte a settimana non le faceva male. Si sedette al tavolo della sala da pranzo a gustarsela, osservando in silenzio fuori dalla finestra, il giardiniere che si stava occupando dei suoi fiori preferiti: le margherite. Nel suo campo era il migliore di tutta Parigi e doveva ammetterlo, lo pagava profumatamente ma ne valeva davvero la pena. Quando finì la cioccolata, si alzò e salì in camera: come sempre, sul suo comodino vi era una copia di uno dei suoi classici greci preferiti: l'Eneide; nonostante avesse letto quell'opera fin troppe volte, non si stancava mai di rileggerla. Si distese con molta grazia e prese il libro in mano, riprendendo la lettura da dove si era interrotta il giorno prima, così il tempo sarebbe passato in fretta, senza che lei potesse accorgersene.
Fu interrotta solo alcune ore dopo, da un insistente bussare alla porta; mise il segnalibro e rinchiuse il classico con un gesto alquanto stizzito: essere interrotta in quei frangenti la faceva davvero arrabbiare.
<< Avanti! >> ordinò, cercando di mantenere un tono di voce calmo e di non incrinarlo.
<< Mi scusi signora... Farò davvero in fretta: volevo sapere cosa desidera oggi per cena. >> la voce dell'anziana cuoca era bassa, tanto che Amèlie capì a stento ciò che aveva detto.
<< Cena? Che ore sono? >> da quel poco che aveva capito, doveva essere già tardi e si era pure dimenticata di avvertirla che non avrebbe cenato a casa quella sera. << Scusa se non ti ho avvisata prima, comunque oggi non serve che mi prepari la cena: esco con Dominic. >> si passò una mano tra la massa di capelli biondi, posando il libro e notando solo in quel momento l'ora: erano già le 19:00! << Mon Dieu! Sono già le sette! Dì al maggiordomo di prepararmi la macchina davanti all'entrata: non ho ulteriore tempo da perdere. >> doveva farsi un appunto personale in mente... - Mai mettersi a leggere prima di un appuntamento, perché si rischia di arrivare tardi. - D'ora in poi non lo avrebbe più fatto; la lezione l'aveva imparata.
Andò velocemente a farsi una doccia calda, uscendone dopo qualche minuto, avvolgendosi in un accappatoio color corallo. Rimase ferma per qualche minuto, stringendosi infine per bene in esso, prima di uscire per andare al guardaroba. Decise di indossare un abito azzurro, delle scarpe rosse con dei brillantini ed un tacco quindici, mentre sopra al vestito avrebbe indossato una pelliccia di visone pesante. Indossò il tutto, prendendo infine la borsa di Louis Vitton, non prima di essersi raccolta i lunghi capelli in una coda alta e di aver indossato un paio di orecchini di diamante.
Salutò la cuoca e tornò alla sua Lamborghini, ringraziando il maggiordomo che le stava tenendo la portiera aperta da quando lei era apparsa sull'uscio della sontuosa villa.
Si diede una mossa a mettere in moto e arrivò al ristorante alle 20:00 precise, meglio di un orologio svizzero. Quando passava, ogni singola persona la osservava; sembrava che nessuno potesse fare a meno di guardarla e la cosa non le dispiaceva affatto: amava essere al centro dell'attenzione.
<< Amèlie! >> stava per varcare la soglia del ristorante, quando dietro di sè sentì Dominic chiamarla.
<< Dominic! >> si fermò ad attendere che il ragazzo la raggiungesse. << Scusa se non ti ho aspettato, ma pensavo fossi già entrato. >> gli sorrise dolcemente, mentre il ragazzo le offriva il braccio.
<< Non ti preoccupare: sei davvero stupenda, sai? >> le bisbigliò all'orecchio, mentre entravano nel locale.
<< G-grazie... >> arrossì visibilmente a quel complimento. << Anche tu lo sei. Quel vestito ti dona moltissimo. >> Il ragazzo indossava un vestito tipo frac, che era alquanto raro vedergli addosso, dato che di solito li odiava. I capelli neri invece, erano lasciati un po' sbarazzini.
<< Abbiamo un tavolo prenotato a nome Dubois. >> disse ad uno dei camerieri che c'erano nel locale. << Te l'ho detto che c'è una sorpresa per te... Per questo motivo mi sono vestito in questo modo così insolito per me. >> le rispose infine, mentre seguivano il cameriere.
<< Sono fin troppo curiosa ormai... Dev'essere proprio qualcosa di estremamente importante, o non ti saresti mai vestito così. >> Ringraziò il cameriere, lasciandosi poi alla galanteria di Dominic, che una volta arrivati al tavolo le aveva tirato indietro la sedia per farla sedere, prima di andare a sedersi a sua volta.
<< Lo scoprirai al più presto, promesso. >>
Ordinarono la cena e, prima del dolce, lui la osservò dritto negli occhi, mise sul tavolo una scatoletta e prese una mano di Amèlie tra le proprie.
<< Lo so che nel tuo cuore c'è ancora Giselle, ma... Non ce la faccio a tenermi dentro tutto questo. >> lasciò la sua mano, aprendo la scatolina dal quale prese un anello, mettendoglielo. << Ti dono quest'anello, ci vogliamo fidanzare? È dall'inizio che sento qualcosa per te, anche se fino ad ora l'ho tenuto nascosto, facendoti pensare che anche per me fosse solo attrazione fisica. >>
<< Dominic... >> il tono di voce di Amèlie era alquanto stupito ed i suoi occhi erano lucidi per l'emozione. << Sei sicuro? Insomma... Non credo mi sarà tanto facile dimenticare Giselle, ma ti prometto che ce la metterò tutta e che ricambierò completamente i tuoi sentimenti. >> fissò per un po' l'anello, sorridendo.
<< A me per ora basta che tu accetti i miei sentimenti, ti aspetterò tutto il tempo di cui avrai bisogno. >> era molto felice: all'inizio non era sicuro che lei avrebbe accettato, ma ora ogni paura era sciamata via dal suo corpo.
<< Si Dominic, ti dico di si e accetto questo anello. >> sorrise dolcemente, stringendo la sua mano. << Quali altri programmi hai per questa sera? >> chiese con fare alquanto curioso.
<< Pensavo ad un salto in un pub a bere un drink e poi, se ti va, andiamo a casa mia. >>
<>
Si alzò ed andò a pagare, ma lui le impedì di farlo, finendo col pagare per entrambi. Salirono entrambi sulla macchina di lui: sarebbero passati dopo il pub a riprendere la Lamborghini di lei, tanto al ritorno sarebbero dovuti passare nuovamente lì.
In macchina lui mise un cd del cantante preferito dell'avvocato e lei si rilassò del tutto con quello; non ci misero molto ad arrivare e lei lasciò la pelliccia in macchina, per evitare che al pub venisse sporcata. Era anche un locale dove si poteva ballare e si sedettero al bancone.
<< Cosa prendi, petite? >> eccolo che iniziava nuovamente ad usare quel nomignolo.
<< Io prendo volentieri un Frison Rose: Gin, Vermouth rosato, Pompelmo Rosa, Succo di Lime, Bitter. Lo adoro. >> appoggiò la testa sulla mano, osservandolo: in realtà non vedeva l'ora di andare a casa sua, invece che stare lì.
<< Bene, che Frison Rose sia. >>
Lui ne ordinò due, che arrivarono velocemente e che bevvero velocemente, evidentemente entrambi vogliosi di essere a casa. Restarono circa una mezz'oretta, ballando sulle note della musica che metteva il dj.
Mentre ballava, ad Amèlie cadde uno dei due orecchini, ma non se ne rese conto immediatamente: uscirono finalmente dal pub e si avviarono alla macchina, mentre un'ombra compariva sull'uscio del pub e li fissava. L'ombra si guardò attorno, estraendo una pistola e sparò alcuni colpi verso Dominic e Amèlie, che però andarono a segno solo su Dominic che, sentendo gli spari, l'aveva protetta, beccandosi tre pallottole nella schiena.
Un urlo squarciò il buio e il freddo della serata: era quello della povera Amèlie, che dopo essersi ripresa dallo shock chiamò l'ambulanza e le forze dell'ordine.
Si guardò per molto tempo attorno, cercando di capire chi avesse sparato, ma non vedeva nessuno... Strinse forte la mano di Dominic, che respirava a fatica; lei stava piangendo: era alquanto distrutta...
<< Dominic! Resta con me, non mi abbandonare, ti prego! >> ora si sentiva in colpa: se non fossero andati lì non sarebbe successo nulla.
Sentì le sirene dell'ambulanza in lontananza: gli accarezzò il viso. << Presto sarai in ospedale e starai meglio, tranquillo... Resisti. >>
Quando Amèlie vide che Dominic apriva la bocca per tentare di parlare, gli mise un dito sulle labbra per zittirlo: era ferito gravemente, o per lo meno quello era ciò che poteva dire a grandi linee, quindi meno parlava meglio era. Gli tenne costantemente la mano tra le proprie, staccandosi solamente quando l'ambulanza si fermò vicino a loro ed i paramedici iniziarono a caricarlo sulla barella, attaccandolo all'ossigeno. Amèlie salì a sua volta sull'ambulanza, tornando a tenergli la mano finché, una volta arrivati in ospedale, lui non venne portato in codice rosso al pronto soccorso e lei dovette restare nella sala d'aspetto. La cosa sembrava andare avanti per le lunghe, quindi l'avvocato dopo un po' si alzò dalla seggiola su cui era seduta ed uscì dall'ospedale a fumarsi una sigaretta; non fumava quasi mai: era la prima sigaretta che fumava da circa un anno.
Si sentiva davvero in colpa: se Dominic non si fosse messo in mezzo, sarebbe lei lì dentro ora come ora ed era più che sicura che quegli spari fossero indirizzati a sé e non direttamente a lui.
Dominic non c'entrava nulla e lei lo aveva messo in pericolo: chiuse entrambe le mani a pugno, sperando che la polizia trovasse velocemente chi aveva fatto quell'attentato; oltretutto, sapeva benissimo che sarebbe stata interrogata e la stessa cosa sarebbe successa anche al suo ragazzo, appena sarebbe stato in grado di parlare. Finì con calma di fumare e rientrò, tornando a sedersi sulla stessa seggiola di prima, poggiando i gomiti sulle ginocchia e portandosi le mani al viso, iniziando silenziosamente a piangere... Era una situazione davvero pessima: lei si sentiva morire dentro, non riceveva alcuna informazione dalla sala operatoria in cui era stato portato per essere operato e più il tempo passava, più lei credeva che qualcosa era andato storto e lui non ce l'aveva fatta; però non doveva assolutamente essere pessimista: sarebbe andato tutto bene... Era un uomo forte lui.
Dopo tre ore di attesa, finalmente vide un dottore uscire ed avvicinarsi a lei. Si alzò e lo osservò con fare impaziente.
<< Allora dottore? Come sta? >> il tono era pieno d'ansia: l'espressione del tipo non sembrava essere dispiaciuta o altro che potesse far intuire che non ce l'avesse fatta, quindi sperava in bene.
<< L'intervento è andato abbastanza bene e siamo riusciti ad estrarre i proiettili... C'è stata una piccola complicazione, che però non ha avuto conseguenze gravissime sul corpo del signore; tuttavia... Abbiamo dovuto indurre un coma farmacologico" il dottore portò le braccia al petto, guardando la signora con fare dispiaciuto.
"Un coma... Farmacologico? Non ha appena detto che tutto è andato bene, a parte la complicazione?" la voce di Amèlie non riusciva a nascondere quanto fosse in apprensione: perché il dottore prima diceva una cosa e poi la smentiva? "Mi dica la verità, la prego!" si trovò inconsciamente ad urlare quelle parole, che attirarono l'attenzione di tutti i presenti nel corridoio. "I-io... Mi scusi" mormorò appena si rese conto della cosa, alquanto imbarazzata dalla figura che aveva appena fatto.
"Non si preoccupi, la capisco signorina... Venga con me" si avviò per il corridoio, non prima di essersi accertato che Amèlie lo stesse seguendo, proseguendo fino al reparto di terapia intensiva, che era proprio quello dove avevano ricoverato Dominic. La portò davanti ad un vetro, oltre il quale c'era Dominic che apparentemente dormiva, attaccato a un respiratore e a varie macchine.
"Dominic" disse Amèlie in un sussurro, portando una mano a quel vetro che la separava dal suo ragazzo. Chiuse una mano a pugno su di esso, respirando a fondo, per darsi una calmata. "Posso vederlo?" chiese infine al dottore, girandosi verso di lui.
"Per oggi è meglio lasciarlo da solo... Lo so che è frustrante, ma le consiglio vivamente di farsi venire a prendere e tornare a casa: domani pomeriggio potrà vederlo. Segua il mio consiglio, perché ha veramente bisogno di tornare a casa, lo si legge nei suoi occhi." il dottore ora era notevolmente in pensiero per lei e voleva solamente che quella signorina avesse il sogno di cui necessitava, dato ciò che era successo.
"S-se ci saranno peggioramenti nel corso della notte mi chiamerete? La prego" voleva essere tenuta aggiornata su qualsiasi cosa accadesse a Dominic, non le importava dell'ora. Dalla borsa prese un biglietto da visita che gli porse. "Lei è di turno questa notte, no? Tenga questo biglietto da visita: troverà il mio numero di cellulare e non si faccia problemi a chiamarmi nel bel mezzo della notte; dopo ciò che è successo dubito fortemente che riuscirò a prendere sonno." sospirò leggermente, tornando a guardare per un attimo Dominic, al di là di quel vetro.
"Va bene, per qualsiasi cosa la chiamerò, ma ora seriamente: vada."
Il tono era gentile e allungò una mano, con cui prese il biglietto da visita, infilandolo nella tasca del camice. Amèlie, dopo che il dottore aveva messo il biglietto nel camice, prese in mano il cellulare, chiamando così il proprio maggiordomo affinché venisse a prenderla. Uscì all'aria fredda della sera, attendendo con impazienza che arrivassero a prenderla: non si sentiva a proprio agio, dato che continuava ad essere fissata con il fatto che non era Dominic il bersaglio di quella sparatoria, ma lei stessa.
Quando finalmente la macchina arrivò, salì in fretta, rilassandosi completamente solo quando furono nuovamente in viaggio verso casa.
"Ho sentito ciò che è successo, signorina. Lei sta bene?" il maggiordomo guidava con fare tranquillo e mentre le rivolgeva quella domanda, la guardava grazie allo specchietto retrovisore.
"Io si grazie dell'interessamento." non era vero: fisicamente poteva anche non essersi fatta alcun graffio, ma psicologicamente il tutto aveva avuto un fortissimo impatto su di lei.
"Dominic invece? Sempre se non sono troppo indiscreto" azzardò a chiedere il maggiordomo, tornando a fissare la strada, che ormai conosceva davvero a memoria.
"L'hanno messo in terapia intensiva in coma farmacologico... Hanno estratto i proiettili" disse, sospirando. "Domani pomeriggio posso vederlo e credo proprio che per qualche giorno mi prenderò delle ferie; almeno finché questa storia non sarà chiarita e il colpevole non sarà arrestato. Sono più che certa che, chiunque sia stato, mirasse a me... È stato colpito Dominic solo perché mi ha protetta."
Appena arrivarono a casa, lei scese dalla macchina ed entrò, dirigendosi immediatamente in camera propria, che chiuse a chiave, per essere lasciata da sola. Si buttò sul letto ed iniziò a piangere come una fontana: stava malissimo per ciò che era successo e ora voleva sapere chi aveva osato fare quello; di sicuro il giorno dopo la polizia avrebbe voluto interrogarla e la cosa non le andava completamente a genio: voleva solamente essere lasciata in pace, tutto lì.
Affondò la testa nel cuscino, mentre alzava la suoneria del cellulare al massimo; così se la chiamavano era certa che avrebbe sentito, nonostante magari stesse dormendo.
Alla fine per la stanchezza ssi addormentò, senza essere svegliata, se non dalla sveglia... Sbadiglió con forza, aprendo gli occhi e controllò per un attimo il cellulare: nè un messaggio, nè una chiamata... Non era cambiato nulla da quando se ne era andata? Fece il numero di Giselle ed attese che l'ex rispondesse.
" Scusa se ti chiamo così presto: volevo solo avvertiti che per ora mi prendo una settimana di ferie... Dopo ciò che è successo ieri sera ne ho bisogno, quindi sposta gli appuntamenti di questa settimana; quelli più importanti passati a un altro degli avvocati dello studio, grazie" iniziò a parlare appena sentì che lei aveva accettato la chiamata: non voleva parlare, ora voleva solamente fare colazione e dormire di nuovo.
"N-non si preoccupi signora Leroy... Alla prossima settimana allora."
Borbottò un'assonnata e stupita Giselle, reprimendo uno sbadiglio. Sentendo quelle parole, Amèlie non si prese nemmeno la briga di rispondere e chiuse immediatamente la chiamata, alzandosi dal letto, mentre ravvivava i capelli. Scese in salotto, dove chiamò una delle cameriere per farsi preparare del caffè doppio che bevve in pochi sorsi, prima di tornare nuovamente a dormire. Non fu però un sonno tranquillo: non faceva altro che vedere Dominic a terra pieno di sangue, eppure non riusciva mai a vedere l'aggressore...
Quando per l'ennesima vvolta si svegliò di soppiatto, con il rrespiro affannoso, sbuffo sonoramente e decise che era meglio tornare a leggere l'Eneide. Prese il fido e ben amato libro, riprendendo in tutta tranquillità la lettura, fino a circa metà mattina, quando qualcuno suonò al cancello e dopo un po' il maggiordomo bussò alla sua porta.
"Signorina Amèlie... È arrivata la polizia per farle delle domande su ciò che è successo ieri sera" dato che la porta era chiusa a chiave, non poteva entrare e quindi parlava attraverso la porta.
"Falli accomodare e dì loro che arrivo subito" gridò lei di rimando, alzandosi e si cambiò abbastanza in fretta, scendendo infine in salotto, dove i due poliziotti erano già seduti al grande tavolo rettangolare. "Buongiorno, perdonate l'attesa, ma dovevo cambiarmi" disse, aaccennando un lieve sorriso.
"Non si preoccupi signora Leroy, non abbiamo aspettato moltissimo in fin dei conti." disse il poliziotto più giovane dei due.
"Mi fa piacere non avervi fatti aspettare troppo: mi sarebbe dispiaciuto non poco." disse con gentilezza, mettendosi comoda sulla sedia, mantenendo comunque una postura degna di una donna del suo rango.
"Davvero, non serve che si preoccupi" ripetè il più giovane, con una certa gentilezza. "Immagino che il suo maggiordomo l'ha avvisata del perché della nostra visita, sbaglio?" chiese, mentre prendeva un quadernetto e una penna dalla divisa.
"Si... Per ciò che è successo ieri" nonostante mantenesse un apparente espressione tranquilla, ora come ora, era di pessimo umore: non aveva fatto altro che sognare cos'era successo e doveva pure ripeterlo a quei due poliziotti.
"Esatto... Ci dica, cortesemente, cos'avete fatto prima di quel fatto e quello che è successo." il poliziotto ignorava lo stato d'animo della ragazza e la guardava dritto negli occhi, in attesa.
"Beh... Ci siamo incontrati alle otto di sera al ristorante Epicure e li abbiamo cenato e... Lui mi ha fatto una proposta di fidanzamento, che io ho accettato. Dopo aver cenato e pagato, abbiamo deciso di andare a prendere un aperitivo in un pub e appena siamo usciti, ormai vicini alla macchina, qualcuno ha iniziato a sparare rivolto a noi." era stata breve e coincisa, nonostante sapesse benissimo, grazie ad anni di esperienza, quanto potessero essere importanti anche i più piccoli dettagli.
"Bene... Mentre eravate al pub ha notato qualcosa di strano? Non so: magari una persona che continuava a fissarvi dal momento in cui siete entrati, sguardi strani..." provò ad azzardare il più vecchio, che fino a quel momento era rimasto in silenzio. Sapeva che quella che avevano di fronte era una degli avvocati più bravi di tutta Parigi, ma non si poteva mai sapere: poteva essere che a causa dello shock dimenticata qualcosa di importante.
Amèlie ci pensò qualche minuto, ma alla fine scosse la testa con fare sconsolato. "Non ho fatto molto caso alle persone presenti nel pub, ma non mi sentivo osservata, questo è sicuro." disse con fare convinto. "Se mi state per chiedere se per caso ho visto l'aggressore, la risposta è no. Ho sentito gli spari mentre andavamo alla macchina e non ho avuto nemmeno il tempo di rendermi conto di ciò che stava succedendo, che mi sono ritrovata davanti Dominic che mi proteggeva. In quel momento ho guardato se notavo qualcuno, ma nulla... Sono sicura che venissero dalla porta del pub, perché erano dietro di noi, ma quando ho guardato io, non c'era nessuno." sospirò: si sentiva impotente, dato che non sapeva come aiutarli.
"Va bene, non si preoccupi... Ha per caso qualche sospetto? Qualcuno che potrebbe odiare Dominic?" questa volta fu di nuovo il più giovane a porgere la domanda.
"Guardate... Personalmente credo di essere stata io il bersaglio di quella persona, solo che Dominic mi ha protetta e purtroppo è lui in coma, non io" sospirò lievemente, alzandosi dalla sedia e si avvicinò alla finestra, guardando per un po' fuori da essa.
"Come mai è così convinta che fosse lei l'obbiettivo e non il suo ragazzo?" il ragazzo stava trascrivendo ogni singola cosa con dovizia di particolari, per non farsi scappare nulla.
"Semplice: Dominic era al mio fianco e i proiettili l'hanno colpito solo quando lui si è messo davanti a me per proteggermi; se avessero voluto colpire lui, dato che si era spostato, almeno uno o due colpi non sarebbero andati a segno." non che se ne intendesse molto, ma credeva fermamente che fosse così.
"Non ha tutti i torti: quando abbiamo fatto i prelievi del caso, non abbiamo trovato altri proiettili a terra. In ogni caso, dato che il tentato omicidio non è andato a buon fine, chiunque sia il colpevole, potrebbe cercare di farle del male un'altra volta... Le affideremo un poliziotto, che sorveglierà la villa ventiquattro ore su ventiquattro, sette giorni su sette; se ci proveranno di nuovo, verranno subito arrestati e lei sarà di nuovo al sicuro." disse il più anziano, alzandosi infine. "La ringraziamo per la sua collaborazione. Ci auguriamo che il suo ragazzo si riprenda molto presto e le mandiamo subito il poliziotto che, momentaneamente, sarà la sua guardia personale. Arrivederci"
Amèlie annuì a quelle parole e li accompagnò alla porta, facendo aprire il cancello: ora che sapeva che ci sarebbe stato sempre qualcuno a proteggerla si sentiva molto più tranquilla. Di certo lo sarebbe di più appena il colpevole sarà affidato alla giustizia, com'è giusto che sia.
Il pomeriggio andò a trovare Dominic e restò molto tempo con lui, nonostante non si fosse ancora risvegliato dal coma farmacologico in cui lo avevano portato...
Lo avrebbe aspettato, decisamente si: al diavolo il matrimonio combinato.