Di papi, gatti e profezie

Mar 14, 2013 11:32

Oggi parliamo della profezia di Malachia.


Malachia, lo premetto subito, NON è il gatto di Paperino, qui sopra, il cui nome originale è "Tabby" (cioè "Soriano").



E non è nemmeno Malachia, il profeta dell'Antico Testamento (a sinistra). Che peraltro forse non è nemmeno mai esistito, visto che "Malachia" significa genericamente "mio messaggero". Il suo libro è stato scritto probabilmente nel VI sec. a.C. e denuncia (pur in chiave escatologica) come il culto a Gerusalemme sia degenerato in uno sterile formalismo abbandonando la sostanza.


No, il nostro (San) Malachia è un vescovo irlandese del XIII secolo, riformatore della Chiesa irlandese e promotore del monachesimo. E' quello qua a destra in una foto recente.

Ecco, uno dedica la vita a riformare, promuovere e santificare se stesso e gli altri e poi viene ricordato dai posteri per una cosa che non ha nemmeno fatto, e cioè la ben nota profezia che si diffonde a suo nome nel milleecinquecento, quasi milleesei.

Sgombriamo il campo da ogni dubbio: la profezia è un falso. E' stata scritta nel XVI secolo per favorire nel conclave (tra l'altro, senza riuscirci) uno specifico cardinale orvietano. Per inciso: San Bernardo di Chiaravalle scrive una vita di San Malachia dettagliatissima e la profezia nemmeno la nomina; qualcosa vorrà pur dire, eh. Ci sono anche altri motivi di falsità legati alla cronologia dei papi e degli antipapi, basata su errori storici del 1400 (quindi Malachia avrebbe dovuto prevedere anche gli errori degli storici), ma lasciamo perdere.

Comunque, di cosa parla questa profezia e perché è tanto famosa?

Semplicemente, fa l'elenco dei papi del futuro ("ubi imus non indigent itinera", questa vediamo chi la capisce), definendone ciascuno con una frasina latina ad effetto e che si adatta in maniera mirabile a qualche dettaglio sul corrispondente pontefice.

Almeno, questo vale fino al 1590, dove la descrizione è incredibilmente calzante.

Prendo come esempio il primo della lista (Celestino II), "Ex castro tiberis", che era appunto di Città di Castello (Tifernum), cioè proprio il "castello sul Tevere", e così via, tornano tutti fino al 1590, dove invece canna paurosamente "Ex antiquitate Urbis" (dalla Città antica, cioè - per antonomasia - Orvieto, Urbs Vetus), che si sarebbe dovuta riferire al papabile orvietano cardinal Simoncelli... e invece venne eletto al suo posto il varesotto Nicolò Sfrondati da Cremona (anche Cremona è una "città antica", ma non mi pare basti).

Da lì in avanti, tira un po' a casaccio usando definizioni generiche, che però in alcuni casi sono state incredibilmente azzeccate. Per questo motivo la profezia è tornata in auge, specie dopo il pontificato (ricordo, durato solo 33 giorni) di Giovanni Paolo I, definito appunto come "De medietate lunae". Il riferimento alla luna, e quindi a un mese (e al nome del papa, che era "Albino"), è quasi incredibile, e da lì si sprecano le interpretazioni a posteriori per far tornare tutti i precedenti.

C'è da dire che non è comunque l'unico caso clamoroso. Per esempio Clemente X ("De flumine magno") fu eletto in un giorno di piena del Tevere, Pio IX ("Crux de Cruce") vide sovrapporre alla croce papale la croce sabauda con la presa di Porta Pia, in molti (tra cui Paolo VI) portano nello stemma un riferimento alla profezia, eccetera eccetera. Non c'è da stupirsi se quindi Malachia mantenga tuttora un certo credito.

Comunque, ridendo e scherzando si arriva alla fine dell'elenco. L'ultimo papa della lista è "Gloria olivae", che corrisponde a Benedetto XVI (una possibile interpretazione del motto riguarda il suo ritiro a vita monastica, secondo la regola benedettina, scelta anche nel nome; e i benedettini sono anche detti "olivetani", ma concordo con voi se sostenete che sia un po' una forzatura).

Quindi la profezia si chiude con una frase sibillina, che dice: "In persecutione extrema sacrae romanae ecclesiae sedebit Petrus romanus, qui pascet oves in multis tribulationibus; quibi transactis, civitas septis collis diruetur, ed Judex tremendus judicabit populum suum. Amen."

Non sto a tradurre tutto; in sostanza dice che durante la persecuzione finale siederà "Petrus romanus"; alla fine delle persecuzioni la città dei sette colli sarà distrutta e il tremendo Giudice giudicherà il suo popolo. Amen.

A questo punto, se si considera vera la profezia, si pongono diverse possibilità.
  1. La frase finale riguarda gli "ultimi tempi" ma non è direttamente consecutiva all'ultimo della lista. In tal caso, nel mezzo ci possono stare anche millemila papi, e il nostro interesse finisce lì, anche perché "Petrus romanus" volendo vale come attributo generico per qualsiasi papa, che è successore di Pietro e vescovo di Roma.
  2. Come sostengono gli scismatici che non riconoscono l'autorità del Concilio Vaticano II, dal momento in cui è stato fatto detto Concilio i papi sono tutti illegittimi e quindi per adesso la serie è interrotta a Giovanni XXIII o a Paolo VI. Credo ci siano anche altre versioni che interrompono la legittimità dei papi in altri momenti storici precedenti; in tutti questi casi, la serie è dunque interrotta e tocca aspettare che l'ortodossia torni a prevalere per poter continuare. Boring.
  3. Petrus romanus è il papa attuale.
Ovviamente quest'ultima è la possibilità più interessante, se non altro per le conseguenze che si porta dietro, tipo, che so, la distruzione di Roma e il giudizio universale.

Ma questa definizione è calzante con Bergoglio? Cioè, è calzante oltre il banale "è Pietro perché è successore di Pietro, è romano perché vescovo di Roma" ("e grazie al cazzo")?

In effetti, sì, è molto calzante. Per tre motivi che vi elenco qui di seguito.
  1. durante il discorso dal balcone, Papa Francesco non ha mai parlato di se stesso come di "papa", ma sempre e solo come di "vescovo di Roma". Ha anche definito Benedetto XVI "vescovo emerito" e non "papa emerito". Non è un fattore da poco, anche in termini teologici e pastorali. Diciamo che negli ultimi secoli il fattore "romano" non è mai stato presente come adesso.
  2. L'origine del cognome piemontese "Bergoglio" deriva dall'antica località quasi omonima ("Bergolio") dell'alessandrino, che sappiamo da un documento del 1496 essere minacciata da una piena del fiume Tanaro a meno che venga costruito un argine. Ora, il "bergolo" in italiano è proprio un gabbione di vimini che viene riempito di sassi e immerso nei fiumi per rinforzarne gli argini. L'analogia con l'episodio evangelico in cui Gesù dà a Simone il nome di "Cefa" (cioè "Pietro") è evidente: il compito di Pietro (e dei suoi successori) è quello di essere pietra su cui edificare la Chiesa, e di essere colui che ha il compito di "confermare" i fratelli nella fede. Il rinforzo dell'argine come metafora di rimettere in carreggiata una Chiesa minacciata dalla piena è evidente, e "Petrus" è quindi estremamente calzante, sia dal punto di vista etimologico sia da quello simbolico.
  3. La scelta del nome di "Francesco"; al santo omonimo, patrono d'Italia, il Crocifisso di San Damiano chiese di "riparare la mia Chiesa". Questo mi pare un ulteriore elemento a supporto del punto precedente: fin dal nome appare come punto programmatico del nuovo papa di essere colui che rinforza gli argini di una Chiesa malandata. Per inciso, Pietro fu crocifisso a testa in giù, e anche qui è forte l'analogia con San Francesco, "giullare di Dio", colui che dalla conversione uscì "sottosopra".
Quindi, concludendo. Papa Francesco è "Petrus romanus", sta per cominciare la persecuzione finale, quindi Roma sarà distrutta e verrà il giudizio universale.

Il mio consiglio è quindi quello di approfittare dell'indulgenza plenaria offerta dal papa al momento dell'elezione. Le condizioni di validità sono sempre le stesse di tutte le indulgenze plenarie: confessarsi, comunicarsi e pregare secondo le intenzioni del papa entro i 7 giorni successivi.

saggistica

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