L'eleganza del riccio

Jan 05, 2009 21:03

Premesso che per me l'unico Riccio che valga la pena di essere ricordato è il gelato Sammontana degli anni 70-80, ricoperto di cioccolato e con al centro un cioccolatino al liquore, avendo appena terminato la lettura del romanzo francese di cui all'oggetto di questo post, vi puppate la mia recensione.


Criticare un libro così di moda sembra snob. E invece è proprio lo snobismo intellettuale di questo libro che non mi è andato giù.
Buona parte del libro è uno sputare sentenze sugli argomenti più disparati, dall'uso improprio della virgola alle derive della società francese (non mi stupisce che un certo modo di fare critica possa essere piaciuto tanto agli intellettuali).
Anche la filosofia sottesa al romanzo è dal mio punto di vista poco condivisibile; potremmo riassumere il punto di vista dell'autrice così: "tutto ciò che non mi interessa non vale la pena di sussistere, ed è sciocco chi pensa il contrario. Chi invece è illuminato come me non può non essere d'accordo con ciò che dico".

Lo stile è invece estremamente brillante; i capitoli brevi sono pensati probabilmente per chi oggi si atteggia a intellettuale: semplice, essenziale, aforistico, ché non abbiamo tempo di stare a rifletterci troppo su.

Si salva il finale, grazie a una perla di umorismo forse involontaria (ma mi piace pensare che così non sia): la protagonista, paragonata al riccio, difficilmente penetrabile ma morbido e affettuoso, fa proprio la fine in linea con il personaggio, sotto le ruote di un furgoncino. Segno che in fondo tutte le menate sul destino che forse può essere cambiato e sul retaggio che non può vincolare le scelte della vita sono mera speculazione: chi nasce riccio prima o poi è destinato ad attraversare la strada.

(Questa recensione l'ho postata anche su Anobii.com)

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