Pairings: Casillas/Carbonero; Casillas/Ramos/Torres; Puyol/Piqué/Fabregas; Silva/Villa; Busquets/Llorrente; Alonso/Gerrard (innominato, ma presente comunque nei nostri cuori <3); Casillas/Alonso (?)
Tema: 82. «Il mio nome è Mercedes, e sono una escort di classe.»
Warnings: ELEVENSOME!, slash, lime, pwp?, sessosessosesso senza motivo né logica &maccheneso?nclps XDDD *ride tantissimo e defunge*
Parole: 1.070 (W)
Beta/Titolista:
alex_luna , a cui va tutto il mio amore incondizionato.
Note: tutto è nato per una sfida personale del tipo: riuscirò a scrivere una elevensome? e... mai più giuro. XDDD È stato divertente, ma basta: si torna alle cose serie e angst e... cioè... *ride tantissimo*
Disclaimers: TUTTO FINTO. I personaggi non mi appartengono, non li conosco e non fanno 'ste cose, ovvio. E che diamine credete? È tutto frutto della mia fantasia e non vengo pagata per scrivere ciò, proprio no. Con questa storia non si vuole offendere né essere lesivi nei confronti di nessuno.
Riassunto: «Abbiamo vinto il mondiale, lasciali festeggiare a modo loro,» dice Alonso.
Dedicata: a
sorella_erba , in attesa di un regalo di natale più adatto e più bello. Sei una persona bellissima e ti voglio bene. ♥
Giochi di squadra
(«Il mio nome è Mercedes e sono una escort di classe.», 29 settembre)
È il mattino del 29 settembre 2010, quando Sara Carbonero va da lui, con il suo cellulare in mano e gli chiede a bruciapelo:
«Chi è Mercedes?»
Iker strabuzza gli occhi, prima di rispondere con una lentezza esasperata e un sorriso imbarazzato, che gli piega le labbra rosse.
«È Sergio, che si diverte a sparare cazzate.»
Sara non ha mai avuto nessun motivo per non fidarsi di lui e gli ha sempre, sempre creduto. È sempre stata dalla sua parte. Eppure in quel momento non riesce a credergli - anche se vorrebbe, Dio solo sa quanto vorrebbe, quanto tiene a lui, quanto desidera… - perché c’è quel nome sconosciuto e continuo lì, tra le chiamate ricevute.
«Come faccio a sapere che è vero?» chiede.
E c’è qualcosa di infinitamente triste in quella domanda, nei suoi occhi scuri e nella piega delle sue labbra. Iker sente l’istinto di stringerla a sé, di tapparle gli occhi e le orecchie e di non lasciarla andare mai più, se non per picchiare a sangue Sergio - e poi sé stesso per non aver cancellato il messaggio che il suo compagno di squadra gli aveva mandato per divertirsi, San Iker, per giocare un po’, Iker, per ricordare insieme, per chiudersi in bagno e masturbarsi e godere con un orecchio attaccato alla cornetta del telefono e sentir l’altro venire poco dopo.
«Non dirmi di chiedere a Sergio: lui mentirebbe per te» prosegue lei, caustica, prima che l’uomo possa dire qualsiasi cosa.
Casillas sospira.
«Sara, davvero, non è nulla.»
E Sara vorrebbe non aver letto il nome di Mercedes, nel cellulare di Iker, e vorrebbe potersi illudere che non ci sia nulla che non va - in effetti pensa, mentre chiude gli occhi, le basterebbe poter davvero credere che sia tutto uno scherzo di Sergio.
Quello che Sara non sa - e che Iker non le dirà mai, non dopo averla abbracciata e averle sussurrato all’orecchio: Ehi, non è nulla. È solo Sergio. Davvero, devi credermi. Ti amo, non ti farei mai del male - è che Mercedes è un uomo e non esiste, se non quando Nando è così ubriaco da non capire più neanche come si chiama e che lavoro faccia di giorno.
Quello che Sara non sa è che Iker ha incontrato per la prima volta Mercedes subito dopo la vittoria ai Mondiali.
Quando Iker Casillas aveva aperto la porta della sua stanza d’albergo, con le braccia gravate dal peso della cassa di birra (che aveva recuperato in modo miracoloso, rubandola dalle mani di Vicente e dei suoi collaboratori), era preparato a trovarvi di tutto, ma non quello. Quello non l’aveva mai neanche immaginato, neanche sognato nelle sue fantasie più vergognose e indicibili.
Quello consisteva in Nando steso sul suo letto, che lo aveva accolto con uno sguardo appannato dal piacere e un mugugno incomprensibile, dovuto alle insistenti attenzioni che Sergio dedicava al suo bassoventre; in Gerard, Carles e Cesc che ridevano e si rotolavano sul pavimento; in Villa che lentamente affondava nel corpo di David, che gemeva accanto alle labbra di Llorrente, con la patta dei pantaloni aperta e riempita dalle mani di Busquets; in Alonso che, immagine dell’assoluta fedeltà, beveva sprofondato in una poltrona, come se tutto ciò non lo riguardasse, ma gli aveva sorriso serenamente come se fosse tutto normale.
«Bentornato» aveva mormorato Xabi, alzando la bottiglia in suo onore.
No, a quello Iker non era assolutamente preparato. Era rimasto impalato, sull’uscio, con la porta aperta e le bottiglie tra le braccia (ed era un miracolo che non gli fossero cadute tutte sui piedi in un fracasso di vetri e ossa rotte).
«Non mordono» l’aveva rassicurato Alonso. «O almeno, non credo, non ho provato» aveva sussurrato con un sorriso piccolissimo e malinconico.
«Iker, entra e chiudi la porta!» aveva gridato Sergio, ridendo a cavalcioni su Fernando.
Casillas aveva obbedito senza neanche rendersene conto; si era trascinato fino ad Alonso e si era lasciato cadere accanto a lui con gli occhi sbarrati.
«Ah-ah, io passo, stasera» l’aveva avvertito quello, mentre Ramos e Nando ridevano e si spogliavano e scoprivano come bambini e Cesc gemeva, sotto le spinte di Gerard, mentre Carles si masturbava lentamente.
«Che cosa…?» aveva iniziato a domandare.
«Stanno festeggiando.»
Iker si era voltato a fissare il compagno, sorpreso.
«Festeggiando?»
Il capitano delle Furie Rosse aveva pensato che quello non era proprio un modo comune di festeggiare e comunque non era mai stato il loro modo e non era sicuro che tutto si potesse spiegare con l’eccitazione per aver vinto il Mondiale - cazzo, il Mondiale! - o aver bevuto il proprio peso corporeo in birra.
Il volto di Xabi si era illuminato, quando aveva sorriso con tutta la tranquillità del mondo.
«Abbiamo vinto il mondiale,» gli aveva ricordato, come se Iker fosse un bambino che non riusciva a cogliere tutta l’evidenza nascosta dietro quella situazione, sepolta tra i vestiti lanciati e abbandonati (e in effetti, sì, Iker non la coglieva proprio per niente).
«Lo so, Xabi» aveva ringhiato Iker, senza sapere se la sua rabbia fosse dovuta all’assurdità di quell’invasione barbarica della sua stanza o all’imbarazzo perché quello che vedeva non gli dispiaceva poi così tanto - non quanto avrebbe dovuto, almeno.
Alonso era sembrato accorgersi del fiato sempre più corto del compagno, dei suoi sguardi sempre meno timidi, del rossore sempre più evidente sulle sue guance e di qualcos’altro. L’ex giocatore del Liverpool aveva riso e aveva fatto un leggero cenno del capo a Sergio, che aveva cominciato a lanciar loro occhiate curiose.
«Sta arrivando,» aveva mormorato Alonso, scansandosi con un sorriso, mentre Sergio, nudo fino alla cintola, abbracciava Iker e lo trascinava ridacchiando fino al letto, dove Nando li attendeva, seduto ed eccitato.
Quando Iker l’aveva baciato, con una leggerezza infinita e spaventata, Nando aveva sussurrato contro le sue labbra: «Il mio nome è Mercedes, e sono una escort di classe»; Sergio alle spalle di Casillas era scoppiato a ridere contro il suo orecchio, mentre lo liberava dai vestiti.
Xabi Alonso aveva continuato a bere sorridendo benevolmente, rifiutando con un sorriso i richiami dei compagni e le loro incitazioni.
Al suo risveglio, Iker Casillas si era trovato stretto tra Fernando e Sergio, con le gambe avvolte in un non-meglio identificato bozzolo di coperte umide e calde e piacevoli.
Dal pavimento provenivano respiri diversi, borbottii sconnessi e un russare leggero.
Alonso continuava a sorridere anche mentre dormiva sulla solita poltrona con una bottiglia nuova di birra in mano.