* * * Del cavallo afferro l’estate con le gambe storte come crosta di pane; finiranno i sospiri e il desio. Lo stagno bianchissimo delle tue mani mi cerca, Quella sera e Dio, però? Quella sera e Dio?
Mi conservano, io lo so bene, per il domani negli ingressi, laddove si bacian candele sommesse, m’abbandonano come si lascia un cappotto geniale, tiran fuori gli spiccioli, come un’inutile messe.
Mi ritrovo a star tra carezze ed aneddoti sciocchi. Quando il grido s’invola e la gelosia viene meno, o cavallo mio grigio, cavallo grigio degli occhi, si innamora qualcuno di te. Ti darà dell’avena.
Tu non crederci, dal terrazzino non andare via a cortili funerei e quieti, a un «ti amo»: non saprò comperarti nemmeno la malinconia coi denari d’un viso altrui: son di rame.
E mi cadon le braccia, e di casa in casa si vanno intonando canzoni, che hanno la stazza dei pony e la gente impazzisce, la gente esce di senno, ma al momento in cui parte i cavalli abbandona.
Nuovamente mi chiama mercante il bosco, e riporta che son buffo e risaltano le mie mascelle. Tuttavia se ne sta come un cero sul volto d’un morto dei miei occhi il grigio, il grigio cavallo.
Del cavallo afferro l’estate con le gambe storte… Non vuole capire (È malvagio! È malvagio! È restio!) lo stagno bianchissimo delle tue mani la sorte… Beh, e Dio? Beh, e Dio? Beh, e Dio?
Del cavallo afferro l’estate con le gambe storte
come crosta di pane; finiranno i sospiri e il desio.
Lo stagno bianchissimo delle tue mani mi cerca,
Quella sera e Dio, però? Quella sera e Dio?
Mi conservano, io lo so bene, per il domani
negli ingressi, laddove si bacian candele sommesse,
m’abbandonano come si lascia un cappotto geniale,
tiran fuori gli spiccioli, come un’inutile messe.
Mi ritrovo a star tra carezze ed aneddoti sciocchi.
Quando il grido s’invola e la gelosia viene meno,
o cavallo mio grigio, cavallo grigio degli occhi,
si innamora qualcuno di te. Ti darà dell’avena.
Tu non crederci, dal terrazzino non andare via
a cortili funerei e quieti, a un «ti amo»:
non saprò comperarti nemmeno la malinconia
coi denari d’un viso altrui: son di rame.
E mi cadon le braccia, e di casa in casa si vanno
intonando canzoni, che hanno la stazza dei pony
e la gente impazzisce, la gente esce di senno,
ma al momento in cui parte i cavalli abbandona.
Nuovamente mi chiama mercante il bosco, e riporta
che son buffo e risaltano le mie mascelle.
Tuttavia se ne sta come un cero sul volto d’un morto
dei miei occhi il grigio, il grigio cavallo.
Del cavallo afferro l’estate con le gambe storte…
Non vuole capire (È malvagio! È malvagio! È restio!)
lo stagno bianchissimo delle tue mani la sorte…
Beh, e Dio?
Beh, e Dio?
Beh, e Dio?
Autunno 1964
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