Titolo: The tale of Sherlock Grubb and John Loamsdown
Autore: Castiel Who
Genere: Fantasy, Romantico
Personaggi: Sherlock Holmes Grubb, John Watson Loamsdown, Mycroft Holmes Grubb, GregoryLestrade Bunce, Mrs. Martha Hudson Sandybanks, Frodo Baggins, Samwise Gamgee, Meriadoc Brandybuck, Peregrin Took, Saruman, Original Character
Pairing: Sherlock/John, Sam/Frodo
Rating: NC17
Parte: 4/?
Avvertimenti: Slash, Crossover, Alternate Universe, Hobbit!lock
Disclaimer: Sherlock è di Moffat e prima ancora di Arthur Conan Doyle, Il Signore degli Anelli è di Tolkien, io non ci guadagno niente e via dicendo
Summary: Corre il 22 Settembre 1419 del Calendario della Contea. La patria degli hobbit viene invasa dai banditi guidati dalla mano dello stregone ormai non più bianco. Nel bel mezzo della tragedia, a sfatare il mistero di chi si nasconde dietro a tale malefatta saranno due piccoli mezzuomini provenienti da due diverse realtà sociali: Sherlock Scavari, un agiato gentilhobbit di Piccoloscavo e John Sottoargilla, umile confiniere di Fondangolo. Non potrebbero essere fisicamente e psicologicamente più distanti l'uno dall'altro; solo la guerra riuscirà ad unirli in un tutt'uno, sancendo il loro destino.
Arrivarono al mattino, dopo sole poche ore dal loro avvistamento. Un gruppo di uomini massicci e ben armati sfilarono per le strade principali del piccolo paese, senza incontrare resistenza alcuna. Contrariamente alla comune aspettativa che gli uomini, maestri nell’arte della guerra sin dai tempi oramai immemori, indossassero pesanti armature scintillanti recanti simboli araldici accuratamente scolpiti sul metallo, gli abiti che ricoprivano i membri di questo particolare gruppo non erano troppo pesanti.
Nemmeno gli alti elfi del reame perduto di Gondolin erano stati capaci di distinguersi per le loro azioni di battaglia quanto un singolo uomo1. Non è una meraviglia il fatto che la razza che accomuna tutti i discendenti di Númenor sia sempre stata divisa fra le forze che regolano il bene e quelle che supportano il male, poiché quando la gran parte degli uomini scelsero di combattere a fianco degli Eldar, una minoranza si votò indissolubilmente al nemico. Alcuni gruppi, addirittura, preferivano vivere da malviventi e assassini prezzolati, facili prede della mano oscura e tentatrice dell’ombra.
Erano, difatti, esponenti di queste cerchie quelli che stavano marciando in forze verso tutti i centri abitati della Contea. Sulle ampie schiene di alcuni erano fissate asce a due mani che ricordavano fin troppo la manifattura nanica; al fianco di altri pendevano lunghe spade che, all’interno dei loro foderi, sbattevano ripetutamente sulle loro cosce senza produrre, all’apparenza, alcun rumore. Era forse troppo debole rispetto al chiasso provocato dai loro passi pesanti o dal vociare continuo che, mai come quel giorno, mutava l’atmosfera dell’ambiente circostante.
Al loro seguito, nascosto nella vegetazione, venne il vecchio Sarco Boffin. Nonostante l’età avanzata in grado di colpire perfino un hobbit tanto gioviale, la furtività che dimostrò fu magistrale. Arrivare sino alla porta di casa di John si rivelò un lavoro non troppo impegnativo per il confiniere, abituato a svolgere le proprie mansioni nelle ore notturne.
John lo accolse nella propria smial velocemente, senza destare su di sé alcuna attenzione indesiderata. Nelle comodità di casa e rallegrati dal tepore del camino, John narrò all’anziano amico i fatti per come si erano presentati dinnanzi agli abitanti di Fondangolo. Sarco non sembrò affatto sorpreso di apprendere che la reazione generale fosse stata di muta accettazione. Al Sottoargilla fu subito evidente che, per chi avesse vissuto così tanti anni a contatto col il popolo della Contea, aspettarsi fatti simili era fin troppo dovuto. Dal momento che la caparbia testa che aveva attaccata al collo si rifiutava di adeguarsi ai dettami della sua razza, John ci avrebbe dovuto fare a sua volta l’abitudine. Volente o nolente.
In un giorno la cittadina si trasformò radicalmente. La maggior parte dei banditi si stabilì nella locanda, altri occuparono le case dei più umili hobbit, che non ebbero né il coraggio né i mezzi di opporsi. Furono impartiti ordini per l’immediata costruzione di edifici con un’architettura del tutto diversa da quella delle abitazioni ancestrali a cui i mezzuomini facevano riferimento.
John poté assistere con i propri occhi al sorgere di grandi impalcature nel giro di una mattinata. Con gran sgomento nel cuore, si rese conto che per lavori manuali di tale sorta gli uomini non dovettero alzare un dito perché un gruppetto di hobbit impauriti si mettesse a lavoro accettando i loro termini e le loro pretese.
Quanto accaduto negli ultimi due giorni è solo l’inizio. Sì scoprì a pensare John la sera successiva, quando fu nella sola compagnia di sé stesso. Nel modesto camino del suo salotto, il fuoco scoppiettava allegramente, diffondendo nella stanza il tepore e le giuste tonalità di colore che servivano a calmare i nervi tesi.
Se in tempi normali il calore della propria dimora gli era stato di conforto per superare le ore solitarie dei suoi meritati momenti di riposo dal lavoro per le strade del Decumano Ovest, in quel frangente John si sentì più solo di quanto in vita propria avesse mai sperimentato di essere. Non che riuscisse a proiettare i suoi pensieri verso un ipotetico futuro nel quale sarebbe stato circondato da un branco di piccoli hobbit desiderosi di farsi raccontare qualche storia di elfi o di leggendari guerrieri sempre pronti a scendere in battaglia per salvare eventuali principesse che si trovassero in pericolo. Il giorno in cui fosse riuscito a trovarsi una moglie - sempre che quel giorno si fosse mai presentato - avrebbe cercato di mantenere la propria famiglia nelle dimensioni più ristrette possibili. John non confidava più nella possibilità di trovare qualcuno che lo amasse e che a sua volta avesse i requisiti necessari del quale il confiniere stesso era ignaro, per meritare il suo amore incondizionato. John non sapeva cosa ricercasse in una compagna - nella sua prima giovinezza si era pure guadagnato il soprannome di Tre-Decumani-Sottoargilla2 - ma per qualche motivo nessuno dei suoi tentativi di legarsi era andato a buon fine. Anni addietro si era visto in più occasioni con la bella Mary Hamwich, ma, nonostante la sua squisita educazione e il forte portamento che ella irradiava ovunque si trovasse, lui fu ben presto conscio che la cosa non sarebbe andata in porto. Venne da sé la conclusione che essere marito e padre di famiglia evidentemente non faceva per lui.
Una decisa serie di colpi alla porta interruppe il tranquillo fluire dei suoi pensieri. La possibilità che si trattasse dei briganti venuti a sottrargli l’unico tetto che potesse avere sopra la testa o le provviste che era riuscito ad accumulare per l’inverno con tanta fatica e un’innumerevole quantità di sacrifici gli fece avere un balzo al cuore. Ben consapevole che non rispondere al richiamo potesse essere inteso come un segno che la casa fosse libera, decise infine di mostrarsi presente e aprire.
«Oh, John! Per fortuna sei in casa. » Lo salutò Gregory, sulla soglia della porta d'ingresso. Il volto stanco del guardacontea si contrasse in un'espressione di sollievo.
Come faceva abitualmente quando era confuso, John aggrottò la fronte. «E dov'altro dovrei essere a quest'ora? » Domandò, facendo un cenno a indicare tutto ciò che lo circondava. I corridoi tubolari e le stanze erano illuminati unicamente dalle fiamme giallo-arancio delle candele.
«Non si può mai essere sicuri, dato il risvolto che han preso ultimamente gli eventi. » Si giustificò lo hobbit dai capelli brizzolati, togliendosi il cappello che permetteva di distinguere il suo rango.
Come non dargli ragione. John si scostò dalla porta, lo invitò ad accomodarsi e, deciso di perseguire con diligenza le regole non scritte dell'ospitalità, si diresse in cucina a mettere a scaldare il bollitore. L'altro colse l'occasione di buon grado, sistemandosi su una delle poche comode poltrone che l'angusta dimora offriva.
«Dunque, » proruppe John a voce abbastanza alta da farsi udire dallo hobbit nella stanza attigua. «Non credo che tu sia venuto fin qui per il tè della sera. »
«Hai dannatamente ragione, » ammise l’altro cupamente.
John si affaccendò con le foglie secche di tè da dosare e sistemare nell’infusore. Aspettò che a prendere la parola fosse nuovamente il guardacontea.
«Stai preparando il tè? Ti consiglio di metterne per tre, questa sera. » Si premurò di indirizzarlo Gregory dalla poltrona del salotto.
Come se gli fosse appena stato detto che il sindaco di Pietraforata sui Bianchi Poggi nascondesse un’identità di goblin, il giovane hobbit trasalì. «Aspetto visite? » Domandò, prima di aggiungere: «Che genere di visite? »
«Mike sta attendendo l’arrivo di una certa persona della quale al momento ignoro l’identità. Nel tardo mattino ho ricevuto un messaggio nel quale venivo avvertito del suo arrivo, pare che a mandarlo sia stato uno degli alti funzionari più vicini al sindaco. » Spiegò Gregory con una nota cospiratoria. Sembrava veramente soddisfatto di essere stato il primo a saperlo.
«E io cosa ho fatto per meritarmi la sua attenzione? »
«Il messaggio dice di presentare al gentilhobbit in arrivo colui che per primo ha avvistato i briganti giungere alle porte del nostro villaggio. »
John tolse dal fuoco il bollitore rovente e vi inserì l’infusore. «Capisco. » Lo sistemò su un vassoio insieme a tre tazze e un bicchiere di latte. Tornò dall’amico con il tutto tenuto in bilico fra le sue mani. «Immagino che rimarrà molto deluso da me, poiché non ho molto da raccontare. »
Bunce sorrise. «Non ne sarei così sicuro, se fossi in te. Egli viene da Piccoloscavo, ossia dalla parte opposta della Contea rispetto a dove siamo noi. »
«Qualcuno che abita tanto lontano non avrebbe bisogno di scomodarsi, se non fosse un qualche strambo tipo esperto su certi argomenti. » Convenne John, riflettendo su quali, tali argomenti, potessero trattarsi. «Ad ogni modo... »
Una seconda serie di colpi alla porta interruppe la discussione dei due. John, questa volta, si precipitò alla porta come una lepre braccata da un lupo. Ai suoi occhi si presentò un hobbit dall’altezza sopra la media, con gran parte del volto nascosto dall’ampio cappuccio di un mantello scuro come la notte. Nella penombra, John distinse solamente due occhi chiari e indagatori. Quando questi si posarono sui suoi, il confiniere si sentì violato nel proprio intimo, quasi quelle due sfere adornate d’azzurro fossero in grado di scandagliargli l’anima.
«Sherlock Scavari, » si presentò il nuovo venuto. «Al vostro servizio. »
La voce profonda e baritonale dello sconosciuto colpì John come un pugno e, proprio come un pugno, lo lasciò stordito. «Oh, ehm- John, » accortosi della sua improvvisa goffaggine si fece da parte, senza scordarsi di accennare un gesto accogliente. «John Sottoargilla, al vostro. » Riuscì a formulare infine.
Sherlock entrò senza proferir parola, si tolse di dosso la pesante cappa che lo avvolgeva e la lasciò sul primo appendiabiti libero che trovò. John restò senza fiato: il volto del nobile era pallido, come il resto della sua carnagione, incorniciato da folti riccioli neri che gli ricadevano sulla fronte e sulla nuca. I tratti erano austeri, induriti da due zigomi pronunciati che, insieme alle chiare iridi, donavano al suo aspetto un’aria selvaggia e tagliente come una lama elfica.
«Il guardacontea Bunce è già arrivato, sì? » Lo interrogò con tono distaccato Sherlock.
John non rispose alla domanda, troppo imbambolato a causa dei movimenti di quelle che proclamò nella propria testa come le labbra più sensuali dell’intero Eriador. Inutile tentar di resistere; quell’arco di cupido sormontante il labbro inferiore, carnoso come una pesca matura, lo aveva già ipnotizzato. Il biondo si chiese se non fosse appena stato fatto vittima di un qualche sortilegio.
«Mastro Sottoargilla? »
Improvvisamente, John si rese conto di star tenendo la bocca spalancata, assomigliando più a uno di quei pesci che venivano esposti alla bancarella del pescatore al mercato, piuttosto che a un mastro confiniere. «Oh, sì. Il signor Bunce vi attende in salotto. Se vi volete accomodare... » Cercò una via di fuga dal proprio imbarazzo. «Vogliate scusarmi. E’ solo che non si vedono molti volti nuovi, da queste parti. »
Lo Scavari alzò un sopracciglio. «Su questo punto avrei da disquisire, dati i recenti avvenimenti. » Detto ciò, lasciò cadere il discorso. John ne fu infinitamente grato.
«Villa Brandy o Tucboro? » Domandò di punto in bianco, lo sguardo sull’arredamento.
John si sentì preso alla sprovvista, vittima di una grave mancanza di attenzione. «Come, scusate? »
«Chiunque condividesse questa smial con te, è andato a lavorare nella residenza dei Brandybuck o dei Took? » Specificò Sherlock con un cipiglio annoiato, a sottolineare quanto la domanda fosse ovvia.
«Brandybuck, » rispose prontamente il biondo. «Come fate a saperlo? »
Sherlock si avviò verso la stanza dalla quale provenivano i bagliori ambrati del camino. «Non lo sapevo. Ho semplicemente dato un’occhiata a certe parti dell’arredamento che spiccano subito all’occhio. Sono piuttosto costose per un confiniere che vive per conto proprio; inoltre a confermare che non navighi nell’oro c’è il tuo abbigliamento. Ciò che stai indossando al momento è senza dubbio piuttosto vecchio e di seconda mano. » Indicò una vicina panca ricca di intarsi nel legno finemente lavorato. «Quella, per esempio, deve essere un regalo. Un regalo fatto da una persona importante, aggiungerei, molto probabilmente un fratello. In ogni caso, per comprare un oggetto del genere occorre guadagnare una cospicua somma di denaro, in particolar modo se trattasi di un dono. Dov’è che un Sottoargilla può guadagnare tanto? In una delle abitazioni delle famiglie più nobili della Contea, quindi le possibilità si riducono a due: Brandybuck di Villa Brandy o Took di Tucboro. » Spiegò con risoluta naturalezza.
«Fantastico. » Si lasciò sfuggire un più che sbalordito John.
«Non è niente di che, davvero. » Disse il gentilhobbit, con un gesto della mano che servi ad allontanare la questione appena sorta. Piuttosto, rivolse la propria attenzione all’altro hobbit presente. «E voi dovete essere il guardacontea Gregory Bunce. »
Gregory, che fino ad allora era rimasto in disparte, attento alla conversazione che si era tenuta fra i due novelli conoscenti, sfoderò un cordiale sorriso di benvenuto al nuovo arrivato. «E’ un piacere avervi fra noi, signor Scavari. »
L’interpellato non rispose alla cordialità in alcun modo; piuttosto si sedette su una poltrona vuota e rimase in attesa. Per un attimo, John si domandò se non si fosse spento, estinto come la fiamma di una candela, poi si decise a prendere parola. Il silenzio iniziava a farsi opprimente. «Allora, » proruppe, cercando di mostrarsi il più pimpante possibile. «Immagino che il signor Scavari desideri di essere messo al corrente di quanto ho visto la scorsa notte. »
L’interpellato congiunse le punte delle dita davanti al proprio volto. «Sarebbe un ottimo inizio. »
John raccontò tutto ciò che gli fu possibile raccontare, soffermandosi su ogni piccolo particolare. Tale minuziosità sembrò venir presa con gran apprezzamento da parte di Sherlock, il quale non staccò mai gli occhi da John e non accennò a muoversi dalla posizione che aveva assunto nemmeno per versarsi il tè. Bunce ascoltò con interesse, nonostante avesse già sentito raccontare gli stessi fatti almeno altre due volte. Il silenzio piombò nuovamente sulla stanza non appena il Sottoargilla si ammutolì. «Sono terribilmente dispiaciuto che siate venuto fin qui per udire parole di così poca importanza. » Aggiunse in conclusione.
«Niente affatto, » ribatté Sherlock. «Ciò che ho appreso è alquanto illuminate, direi. Ma non crucciarti, nessuno a parte me sarebbe riuscito a capirlo. »
John alzò lo sguardo dalle proprie mani con gran sorpresa. Non essendosi aspettato un simile commento, mostrò tutto il suo sbigottimento senza remore. «Dite sul serio? »
«Come avevo previsto ancor prima di partire, i banditi sono penetrati nella Contea da sud-est, attraversando il fiume. Una volta giunti qui, sarebbe stato un gesto assurdo, per loro, tentare di raggiungere qualsiasi punto di riferimento dei nostri territori passando dal Terminalbosco. Se, invece, le loro intenzioni avessero puntato verso Pietraforata, la notizia che un gruppo di malviventi stava raggiungendo la nostra città più importante sarebbe giunta in forte anticipo. No, qui l’obiettivo è mettere sotto scacco una razza intera, lasciando che a mettersi in ginocchio per ultima sia la più alta carica che possiede. »
«Oh, » fu tutto quello che John riuscì a formulare.
«Venendo qui non ho potuto fare a meno di notare le case attualmente in costruzione. Sono a misura di uomo, su questo non c’è alcun dubbio. »
«Sì, attualmente soggiornano alla locanda, in attesa che i lavori siano completi. » Si intromise Gregory.
«Ovviamente, » commentò il moro. «Ho bisogno di ulteriori informazioni su questi gentili signori. Domani mattina presto, quando si presume che i più lascino l’edificio, entrerò di soppiatto e vedrò di ricavare qualche informazione che abbia una parvenza di utilità alla risoluzione di questo caso. »
«Vi prego di scusare la mia insolenza, ma avete detto caso? » John era sbigottito. Normalmente non avrebbe mai scelto un termine simile per descrivere l’orribile situazione che stavano tutti passando.
«Sì, hai sentito bene. Non sei sordo, John. » Rispose lo hobbit, dando mostra di tutta la sua spavalderia. Si eresse sui propri piedi e spostò la conversazione nella direzione del guardacontea. «Dove posso alloggiare, nel frattempo? »
Gregory alzò le spalle. «Non ne ho veramente idea, signor Scavari. Come ben sapete, tutti noi siamo tenuti sotto stretta sorveglianza. »
«Potete alloggiare qui, se lo desiderate. » Disse John, vincendo la crescente irritazione che l’altezzosità del nobile gli procurava. «La vecchia camera di mia sorella è sempre libera per accogliere gli ospiti, anche quelli più inattesi. » Specificò.
«Sorella! » Esclamò Sherlock come se tale parola fosse un insulto alla sua persona. In effetti, poche ore prima aveva mostrato una certa convinzione nell’affermare che quello di John fosse un fratello, anziché una sorella.
Fu in quel momento che John capì che Sherlock odiava con tutto il cuore la possibilità di avere torto.
Conclusa la piccola riunione, Gregory si apprestò a tornare nel suo buco hobbit, dando un amichevole augurio di buonanotte agli altri due. John si curò di preparare delle lenzuola pulite per la camera degli ospiti e spense il fuoco che ardeva in salotto. Nell’ora di dirigersi a dormire, il giovane Sottoargilla scorse la figura snella e slanciata di Sherlock ferma davanti alla finestra del corridoio, ormai illuminato solamente dalla luce della candela quasi del tutto esaurita.
«Tu sei un confiniere. » Disse all’improvviso. Per un breve momento, John si chiese come fosse possibile che l’altro hobbit sapesse della sua presenza; ma tutto sommato non gli sembrò la cosa più importante sulla quale interrogarsi.
«Sì. »
«E sei bravo nel tuo lavoro? »
«Certo che lo sono. » Con un tipo simile davanti, c’era poco da essere modesti.
«Hai passato molte notti insonni, sorvegliando le strade. Ti devi essere allenato molto con le armi che porti, in particolar modo con l’arco. »
«Sì, abbastanza per una vita intera. »
«Ti piacerebbe vedere di più? »
«Oh, Valar, sì. »3
1Il riferimento è alla storia della vita di Túrin Turambar, discendente della dinastia di Hador, è una delle più famose del Silmarillion. Tali avvenimenti risalgono alla Prima Era della Terra di Mezzo; subito dopo aver perso il padre Húrin nella Nírnaeth Arnoediad, la Battaglia delle Innumerevoli Lacrime la storia di Túrin si intreccia con quella degli elfi del Doriath. Successivamente, egli si distinguerà come l’uomo che uccise il Grande Verme, Glaurung, il padre di tutti i draghi.
2Riferimento al soprannome comunemente affibbiato al John che tutti conosciamo: Tre-Continenti-Watson. Che donnaiolo, il buon vecchio dottore.
3’Oh, God, yes’. Su Arda l’unico Dio si chiama Eru Ilúvatar, ma il suo nome non viene mai usato. E’ più facile trovare riferimenti ai Valar, dei sottodei che si possono paragonare ai nostri angeli.