Notte sull'aia
Dolce notte estiva. La testa abbandonata sull'aratro
l'anima sacra del contadino riposa sull'aia.
Nuota il grande silenzio tra le stelle divenute un mare.
L'infinito con diecimila occhi ammiccanti mi chiama.
Cantano di lontano i grilli. Nelle acque del lago
questa notte si celebrano le nozze segrete delle Naiadi.
La brezza agitando il salice sulla sponda del ruscello
risveglia dei canti su accordi sconosciuti.
Nel profumo del serpillo, disteso in cima a un covone
io lascio che ogni raggio tocchi il mio cuore,
e m'inebrio del vino della grande botte dell'infinito
dove un passo sconosciuto schiaccia le stelle cadenti.
E' squisito per il mio spirito tuffarsi nell'onda luminosa di azzurro,
naufragare - se è necessario - nei fuochi celesti;
conoscere nuove stelle, l'antica patria perduta,
da dove la mia anima caduta piange ancora la nostalgia del cielo.
E' dolce per me sollevarmi sulle ali del silenzio,
ascoltare soltanto il respiro imperturbabile dello spazio,
finché i miei occhi si chiudano in un sonno magico,
e sotto le mie palpebre rimanga l'infinito con le sue stelle.
Così, così si addormenta tutta la gente del villaggio;
il pastore sul suo carro, sotto la trapunta che stilla luce,
la sposa in cima a un covone, scoperto dallo zefiro il seno
dove la Via Lattea svuota il suo latte brocca dopo brocca.
E così, avendo dormito un giorno sotto lo sfavillio del cielo,
i miei genitori contadini mi concepirono con tenerezza,
mi concepirono fissando lassù i loro occhi buoni
sulla più grande stella, sulla fiamma più splendente.
da "Il canto del pane" di Daniel Varujan
Non ebbe molto tempo,
Daniel Varujan, per decidere cosa portare con sé quando venne arrestato.
Cacciò in tasca pochissime cose, tra cui il manoscritto a cui stava lavorando.
Forse si rese conto subito, di quale sarebbe stato il suo destino, o forse no.
Quel che è certo, è che nei mesi che separarono l'arresto dal massacro, mesi spesi in un assurdo viaggio verso il nulla, imposto al solo scopo di condire la morte con l'umiliazione lui si premurò di aggiungere, quando potè, qualche verso alla sua opera.
Perché il tempo era poco, e la rabbia sarebbe stata comunque un marchio impresso sulla pelle dei sopravvissuti.
Ma la bellezza della Terra Perduta no, la dolcezza dei ricordi andava distillata e conservata con cura.
Preservata dall'orrore per farsi medicina dell'anima.
Per questo Daniel Varujan, vittima del
genocidio armeno, cercò di aggiungere versi al suo poema con la stessa tenace pazienza del contadino che difende il suo campo erigendo un muro a secco.
Pietra su pietra.
Parola su parola.
Ricordo su ricordo.
L'eredità da lasciare ai sopravvissuti, brillante come pietra preziosa.
Gonfia di lacrime e dolore.
Credo che la storia di Daniel, strappato alla sua famiglia (sua moglie aspettava il terzo figlio) nella notte tra il 23 e il 24 aprile del 1915, deportato all'interno dell'Anatolia per essere massacrato assieme ai suoi compagni di prigionia il 28 agosto dello stesso anno sia una valore aggiunto a questi versi, già di per sé meravigliosi.