Domattina mattina, prima di andare in biblioteca, sarò
qui. Per colpa della mia sbadataggine ho saltato l'inaugurazione di oggi pomeriggio, perdendomi i locum (dolcetti tipici turchi).
La scrittura di Pamuk mi sta entrando dentro dolcemente, avvolgendomi come una sciarpa di lana.
Ha senso leggerlo sul treno, la sera, quando la stanchezza rende più vulnerabili.
Nelle orecchie lascio scivolare "Via con me" di Paolo Conte, ovatta soffice che mi isola dagli altri abitanti del vagone.
Amo questo periodo perché le luci di Natale arginano la malinconia, un po' come Pamuk stempera la stanchezza.
"Istanbul" è un libro che parla dell'amore viscerale per la città in cui si nasce, che lascia solchi nella carne, mentre viene ridisegnata attraverso i ricordi.
A volte mi ritrovo come una cretina a carezzare le foto che lo arricchiscono, neanche fossero quelle della mia infanzia.
Forse è perché anch'io ho lo stesso amore strampalato, le stesse fantasie folli, la stessa malinconia nel cuore.