Ovvero: come psicanalizzarsi guardando la TV.
Pur non essendomi mai iscritta ad alcun forum ufficiale credo di potermi definire, a buon diritto, una delle primissime fan italiane di CSI.
Ero lì, la sera in cui venne trasmesso per la prima volta sull'allora Telepiù, e dopo circa un quarto d'ora lo elessi il mio telefilm di sempre.
Perché? Perché c'era molto di me, di quello che ero e volevo diventare, della forma mentis che nel corso degli anni a venire ho acquisito.
Se ho tempo prometto che ve lo scrivo, il post in cui spiego il rapporto tra archeologia e tecniche di indagine della polizia scientifica, un legame di sangue che ha come DNA comune i racconti di Arthur Conan Doyle, sogno di farlo da tantissimo, anche per risollevare le sorti di questo journal che langue nella sua inutilità.
Inutilità che, in parte, sto provando a spiegare attraverso questo post.
Dicevo del mio amore per CSI, che è anche e soprattutto amore per il personaggio di Gil Grissom.
Grissom è in parte quello che sono (curiosità, incapacità di comunicazione emotiva), in parte quello che vorrei diventare (studioso innamorato del proprio mestiere).
Grissom, dentro di me, è sempre stato nello stesso posto, fin da quella prima sera in cui ne ha preso possesso, immobile come un pelouche su una mensola, in compagnia di tante mie certezze.
Man mano che son trascorsi gli anni, tuttavia, queste certezze sono scivolate via, e ad un certo punto anche Grissom con loro.
E non è nemmeno questo, il fulcro del problema.
Il vero punto è l'arrivo del Prof. Langston, il personaggio che, in qualunque altra sceneggiatura di qualunque altra serie, sarebbe andato a sostituirlo.
Ma CSI non è una serie qualunque, e gli sceneggiatori sono stati così bravi da fare in modo che l'arrivo di Langston risultasse perfettamente realistico, pur nella sua singolarità.
La colonna portante della serie che ha rivoluzionato la storia della televisione, il capo della squadra del turno di notte della polizia scientifica di Las Vegas, l'entomologo forense che approccia gli esseri umani così come approccerebbe i suoi insetti lascia il posto ad un medico non proprio giovanissimo che ha mollato la professione per mettersi a fare l'agente di livello più basso.
La morte, nel linguaggio dei tarocchi, la rivoluzione per eccellenza.
Langoston è il serio professionista che non sa neanche prendere un'impronta, bambino e adulto ad un tempo, rivestito di una malinconica dolcezza.
Quello che, più o meno, sono io in questa fase della vita.
Persona che non sarà mai Grissom, e che non ha il coraggio di dire addio al suo laboratorio.
Persona che non riesce ad essere nemmeno come Langston, capace di immergersi completamente in un percorso completamente nuovo.
Ho come l'impressione che se il Limbo esistesse davvero, sarebbe qualcosa di molto simile al mio stato d'animo in questo momento.
L'unico modo per uscirne, credo, sarebbe farsi bolla di calore e annidarsi nella stretta di mano che si scambieranno, prima o poi, questi due lati di me.
Difficilissimo, ma necessario, per non dire vitale.
Il problema, al solito, è riuscire a farli incontrare.
Sono giorni di mal di testa e stanchezza perenne, questi, e autostima appiccicata alla suola delle scarpe come cicche di sigaretta e foglie secche.
Passeranno, come tutto, basta solo coprirsi bene e non prendere troppo freddo.