Pezzo a pezzo

Sep 16, 2016 21:54

Oggi è successa una cosa bella.
Strana, ma bella.
Un paio di settimane fa mi era arrivato su FB un invito a partecipare a un laboratorio di scrittura: due settimane di tempo per scrivere un racconto in prima persona. Tema: Ladri. Limite massimo: 3000 battute.
Ho accettato l'invito perché il tema mi intrigava, ma senza essere sicura di riuscire a finire in tempo: il fine settimana del Master di solito mi succhia via un sacco di energie, e questo mese, non so perché, è andata peggio del solito.
Invece ieri sera mi sono messa di buzzo buono e, un po' come per il racconto per l'antologia World of M/M, dopo venti minuti avevo una storia fatta e finita.
Una storia che mi soddisfaceva pure.
L'ho postata senza aspettarmi grandi riscontri (so che ad alcune persone di quel gruppo non sto particolarmente simpatica) e invece... invece pare che sia risultato uno dei racconti più apprezzati.
Ma roba che perfino una delle persone che sapevo lo avrebbero letto col coltello tra i denti pronte a rinfacciarmi la prima virgola messa storta hanno dovuto ammettere che era "un signor racconto".
La cosa buffa è che mi sono divertita pure a scriverlo, nonostante in realtà di divertente non ci fosse nulla.
Questo fatto ha messo in moto tutta una serie di ragionamenti che hanno trovato una loro logica quando - sempre sia lodato Internazionale - sono incappata in un articolo di Annamaria Testa - sempre sia lodata anche lei e Eco che le ha fatto da maestro. -
L'articolo riguardava il modo in cui leggere romanzi impatta sul nostro cervello modificando la nostra capacità di ragionare: i dati riportati provenivano da svariati studi scientifici, integrati e intrecciati in modo da creare un quadro di insieme ampio e in grado di fornire spunti interessanti.
Tipo quello sulla diversità di impatto dei romanzi di qualità rispetto alle storie puramente di intrattenimento: indipendentemente dal genere di appartenenza, una storia ben scritta è una storia che ti prende e ti catapulta in dimensioni (morali oltre che fisiche) sconosciute, costringendoti allo sforzo di pensare secondo punti di vista che non avevi considerato. In pratica: sei tu lettore che devi sforzarti di star dietro all'autore, immedesimarti in lui e cercare di recepire tutto quello che sta cercando di comunicarti. Con le storie di intrattenimento, invece, è l'autore che ti guida passo-passo in un percorso che segue binari fissi e prevedibili: si provano certamente delle emozioni, ma si è soprattutto rassicurati e coccolati.
Ora, a parte che ringrazio questo articolo anche solo per avermi definitivamente spiegato perché per quanto apprezzi il genere M/M sono davvero pochi quelli che riescono a entrarmi sottopelle, ho rovesciato il ragionamento puntandolo sulla scrittura mettendo per la prima volta a fuoco i problemi che ho con la medesima.
E cioè che devo smetterla di volermi imporre a tutti i costi di scrivere M/M.
Sì, come lettrice è un genere che amo (tra due settimane esce il secondo capitolo di Undertow delle Guilt, che racconta tipo l'origine di TUTTI i problemi psicologici e le fisime mentali di Katsuya, col cavolo che me lo perdo), e come scrittrice è stato il mezzo attraverso cui ho imparato a dare voce ai personaggi maschili.
Ma è anche un grosso, grossissimo limite.
Perché comunque devi ridurre tutto a "Tizio A incontra Tizio B, si innamorano ma prima di vivere felici e contenti devono affrontare/superare una serie di difficoltà" oppure: "Tizio A incontra Tizio B, si innamorano ma succedono una serie di cose brutte brutte e loro soffrono tantissimi e va a finire tutto malissimo."
O comunque devi ridurre tutto a "personaggi maschili bellocci compresi tra i 20 e massimo 40 anni", quando invece il mondo è più ampio.
E comprende cose che vanno oltre le relazioni sentimentali.
Perché è questo che mi è pesato più di tutto, in questi anni, pensare in termini di relazioni sentimentali, quando tizio si innamorerà di caio, e quando faranno sesso, quando magari a me interessava tutt'altro.
Theo e il suo interesse per il corpo umano, Fabio e la difficoltà a troncare una relazione tossica, Alessandro e il suo desiderio di possesso con cui compensava un ego fragile.
E poi c'è questo collezionista ancora senza nome, e Kaji lo scrittore che deve scoprire che il mondo non è come sembra.
Il mio problema con loro è che non hanno bisogno di essere legati da relazioni sentimentali, per essere raccontati.
Sono liberi, possono essere anche vecchi e brutti (Theo) o stravaganti e sopra le righe (Kaji), poveri in canna e disoccupati come Fabio. Possono essere etero e essere sposati/fidanzati senza che questo abbia un ruolo centrale nelle porzioni della loro storia che ho voglia di raccontare.
E possono interagire, a loro volta, con figure femminili complicate, che non siano amiche, amanti, sorelle, come la vicina di casa di Fabio che ha perso un bambino (non so perché, ma ultimamente mi sento molto attratta dal tema della perdita).
È stato un po' come in quella scena di Frozen quando Elsa inizia con un pupazzo di neve e finisce per tirare su un castello.
Ieri sera ho scritto un racconto su un uomo che andava a vivere sotto un ponte dopo aver perso la moglie: era incazzato, era disperato, era vecchio, sporco e brutto, eppure scriverlo mi è venuto naturale come respirare.
La sua voce l'ho sentita chiara e limpida.
I vecchi sono una cosa che non puoi ficcare in un M/M, nemmeno in quelli autopubblicati su Amazon.
Forse il problema è che per anni mi sono tenuta addosso una coperta che mi teneva al riparo dal tentare seriamente la strada della scrittura, provando a convincermi che nel puro intrattenimento io ci stavo bene.
Ma è lui a non stare più bene addosso a me.
Come detto, non significa rinnegare una parte di me, o dire che non scriverò più di personaggi maschili gay, significa soltanto non mettere più gabbie mentali a quello che sento.
Scrivere per il gusto di scrivere.
Non mi importa se, come per Il bacio di Apollo, solo una persona (che non è una di quelle a cui ho chiesto esplicitamente un parere) mi farà sapere cosa ne pensa.
So che quel giudizio sarà sincero, e mi ripagherà di quel che ho scritto.
Perché quello che ho scritto servirà innanzitutto a me.
E ora chiudo il post con Pezzo a pezzo, il racconto per il laboratorio:

Mi chiamo Muzio come Muzio Scevola.
«Vuol dire che hai una mano sola?», m'ha chiesto una volta un signore.
No, vuol dire che una volta mi sono scottato e da quel giorno mia moglie - pace all'anima sua - ha preso a usarlo al posto di quello con cui m'hanno battezzato.
Io non lo so più come mi chiamo, a dire il vero: l'ho dimenticato tanto tempo fa, quando ho deciso che questa fratta sotto ponte Sisto sarebbe diventata la mia nuova casa.
Nascosto sotto c'era un materasso e a me, in quel momento, sembrava che non servisse altro.
Se era di qualcuno, non è mai venuto a reclamarlo.
Per il cappotto, invece, ho dovuto lottare: il morso con cui mi si era attaccato al collo il tizio a cui l'ho rubato si vede ancora bene e fa male come se ci fossero rimasti attaccati tutti i denti.
Di notte fa un effetto come di un'accusa costante: «Ladro! Ladro!»
Ma chi glielo fa fare?
Ai morti basta la terra per essere al riparo dal freddo.
L'altro ieri un gabbiano m'ha rubato il cibo che una signora generosa mi aveva regalato: quando ho allungato la mano per acchiapparlo m'ha morso pure lui.
«Che sei parente di quell'altro? Guarda che fai una brutta fine pure tu!»
E quello, come se avesse capito, ha preso e ha spiccato il volo lasciando il sacchetto lì dov'era.
Il mondo è un brutto posto: mia moglie se l'è portata via un brutto male, una cosa che l'ha rosicchiata e consumata tutta.
Quando l'hanno chiusa dentro la bara erano rimaste solo la pelle e le ossa.
Ogni tanto penso che, se il mondo fosse un posto giusto, pure io dovrei poter prendere a morsi chi m'ha portato via tutto: ma una moglie non è un materasso o un cappotto.
Non tiene al caldo le ossa, ma al riparo il cuore.
E quando non c'è più tu rimani nudo, con le vene esposte e il sangue scuro e freddo come neanche il Tevere d'inverno.
E allora sopravvivi rubando pezzi a chi capita, pure ai gabbiani nei giorni in cui ti senti più incazzato di loro.

(racconto) pezzo a pezzo, una stanza tutta per sé, weltanschauung, scrittura

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