Pastime Paradise (1/6)

Sep 16, 2012 18:35

Note: La scelta di basare la trama su "I fratelli Karamazov" è nata prendendo spunto da ciò che Erik dice a Charles nel finale del film e anche perché Dostoevskij, a differenza di Nietsche, quando parlava di morte di Dio e possibilità dell'uomo di fare come gli pare si rendeva conto perfettamente della differenza che passa tra teoria e vita vera. Una differenza chiamata senso di colpa, che mi è sembrata una chiava di lettura interessante per il personaggio di Erik Lensherr. Buona lettura.

Pastime Paradise

1

Uccidere Dio

“Che mi dispiaccia di perdere Dio? È la chimica, fratello, la chimica!”

Sensazioni sepolte riemersero lentamente, aggredendogli il petto.
Quanti anni erano passati da quando aveva letto quelle parole per la prima volta?
E quanto suonavano inappropriate in quella lingua?

“Senza Dio? Senza vita futura? Dunque, sarebbe tutto permesso, allora adesso si potrebbe fare tutto?”

Era stato Shaw a fargli conoscere Dostoevskij, con la crudeltà che sempre contraddistingueva le sue azioni, costringendolo ogni sera a leggerlo ad alta voce.
Le parole gli uscivano di bocca quasi a forza, ostacolate dallo sfinimento, perle che rotolano su un pavimento prive di filo logico.
Una tortura come un'altra, un gioco crudele che si aggiungeva ai tanti.
Shaw lo osservava in silenzio, seduto con le gambe accavallate, sorseggiando lentamente del liquore.
Erik temeva quell'immobilismo molto più che tutto il resto, perché sapeva quanto gravido di disgrazie potesse essere.
Sua madre era stata uccisa da quella calma.
Sarebbe stato a suo modo confortante raggiungerla nello stesso modo.
Erik aveva imparato troppo in fretta che la morte è interruzione improvvisa e priva di senso, non conclusione, sapeva che poteva accadere in ogni istante e in mille modi diversi, alcuni più dolorosi di altri, alcuni più rapidi e pietosi di altri.
Morire così, di sera, in piedi con un libro aperto, coi vestiti che man mano si impregnavano di odore di tabacco e il suono della sua stessa voce nelle orecchie, come se fosse rimasto chiuso dentro la scuola con un maestro crudele a sorvegliarlo mentre scontava un'assurda punizione non gli sembrava troppo terribile.
Almeno, a differenza di altri prigionieri, sarebbe stato consapevole di ciò che gli stava accadendo.
Era questo il desiderio nascosto a cui si era aggrappato in quelle prime settimane al campo: capire quando sarebbe arrivato il momento, come dovrebbe essere concesso a ogni essere umano.
Lì in piedi era pronto, in laboratorio era pronto.
Si augurava che accadesse in quei momenti, non mentre stava mangiando o si stava lavando, non nel sonno.
Voleva essere consapevole della fine, lanciare la sua maledizione al mondo.
Non voleva essere ingannato un'altra volta.
Gli sembrava un desiderio ragionevole, l'unico possibile da fare in quel posto.
Non si rendeva conto che erano state quelle letture a influenzarlo finché non fu Shaw stesso a farglielo notare.

-Capisci qualcosa di ciò che stai leggendo?

Shaw si sporse in avanti, porgendogli la sigaretta.
Erik non rispose e non per scortesia, disorientato da quella situazione, disorientato da quella domanda fatta a bruciapelo.
Mai come in quel momento si aggrappò disperatamente al suo desiderio.

-Ti ho fatto una domanda. Puoi rispondere semplicemente con un sì o con un no.
-No. Non molto.

Si affrettò a precisare nella speranza che quella risposta apparisse meno sconveniente di quello che era.

-Non molto è sempre meglio di niente, in effetti.

Rispose Shaw chinando il capo in segno di approvazione, questa volta invitandolo in maniera più esplicita a fare un tiro dalla sigaretta.
Erik si ritrasse con un guizzo che lo fece somigliare a un ranocchio.

-Non devi prenderla così male,- cercò di rabbonirlo Shaw, -lo sai quanto la tua vita sia preziosa. L'unica che abbia davvero valore, qui dentro.
-Non è la mia vita ad avere valore, ma la mia rabbia.

Ribattè Erik con voce carica di risentimento.
Un tono che in laboratorio Shaw apprezzava perché preludio di interessanti manifestazioni delle sue capacità, ma che in quella situazione poteva diventare pericoloso.

-La tua rabbia è in grado di sprigionare un potere enorme. Esisti realmente solo quando ti affidi completamente a lei, e tu lo sai.

Shaw si godette con un sorriso ferino l'avvampare di Erik, il suo ritrarsi ancora con un guizzo. Aveva un modo buffo di alzare e abbassare il petto quando era agitato, sembrava quasi singhiozzare a ogni respiro.
Era ancora un bambino, purtroppo, la sua natura di mutante rivelatasi da così poco tempo lo terrorizzava.
Tuttavia, scrutando attentamente il grigio dei suoi occhi Shaw si compiacque di notare che somigliava più a quello di un proiettile che a quello del pelo di un topo.
Anche se la cosa lo ripugnava, gli stava dando ragione.

-Non c'è nulla di male in questo, Erik, anzi: mi chiedo spesso perché tu desideri smettere e tornare alla normalità, cosa tu ci possa trovare nello startene lì inerme con un libro in mano a leggere ad alta voce, o accucciato in una branda in attesa che qualche soldato ti faccia saltare il cervello. Tu non sei questo, Erik Lensherr, tu sei la tua rabbia, tu sei il potere che esplode assieme alla tua rabbia.

Il monologo di Shaw venne interrotto dal tonfo secco del libro caduto a terra, il cui titolo a lettere dorate brillava ora come se fosse un tizzone ardente.

I Fratelli Karamazov

-So che ti piace, sarebbe stupido che non ti piacesse. Sentire il corpo fremere e i metalli con esso. Sentire la punta delle dita formicolare. Sentire gli oggetti come se fossero estensioni del tuo corpo, parti di te con le quali potresti fare qualunque cosa. Per ora sei ancora un bambino in preda ai sensi di colpa, Erik, ma un giorno tutto questo sparirà e a quel punto nessuno potrà fermarti. Nemmeno io.

Un nuovo tonfo interruppe nuovamente la conversazione.
Controllando la sottile lamina dorata dell'incisione Erik aveva guidato il libro colpendo violentemente Shaw alla testa.
L'uomo, tuttavia, non svenne come previsto, sembrava quasi aver assorbito il volume.
Non era la prima volta che accadeva una cosa simile, ma era la prima in cui Erik ne ebbe davvero paura.

-Uccidere Dio.

Disse con un sorriso ferino che lo fece rabbrividire fin nelle ossa.

-Un nobile tentativo da parte tua.
-Tu non sei Dio.

Dio non esiste, avrebbe voluto aggiungere Erik.

-Dio non esiste.

Pronunciarono le labbra di Shaw.

-Il Dio che ti hanno insegnato a venerare, quello che hanno insegnato a venerare a me quando avevo la tua età sono solo invenzioni. Il libro che stavi leggendo ad alta voce parla proprio di questo.-

Shaw carezzò la copertina di pelle come se fosse il viso di una bella donna, con lo sguardo perso in pensieri che Erik aveva paura a seguire.

-La buona notizia è che questa inesistenza ci libera da tutte le costrizioni della morale corrente, permettendoci di riscriverla. Dio non esiste, caro Erik, ma esisti tu. Esisto io. Esiste il Potere. Il potere che esercito io quando decido se puoi vivere o morire e quello che eserciti tu quando ti arrabbi.

Erik provò a deglutire ma sentì la gola secca.
Pur odiando profondamente quell'uomo c'era nelle sue parole qualcosa di familiare, tracce di pensieri che premevano spesso contro le tempie ma a cui non era mai riuscito a dare una forma precisa.

-Come stavo cercando di spiegarti prima che tu mi colpissi l'unico nostro ostacolo sono i sensi di colpa. Dobbiamo lavorare su questo, Erik, dobbiamo lavorare sul fatto che ti senti ingiustamente responsabile della morte di tua madre.

Shaw prese ad avvicinarsi e il ragazzo provò a ostacolarlo lanciandogli contro una sedia.

-Un altro tentativo di uccidere Dio? Non funzionerà. Non riuscirai nel tuo intento fino a quanto odierai te stesso.
-Io non odio me stesso! Io odio te!

Erik urlò con quanto fiato aveva in gola, provocando lo spostamento violento di tutti gli oggetti metallici nella stanza.

-Tu non sei Dio! Dio non esiste! Tu sei un maledetto bastardo e io ti voglio morto! Morto!

Gli oggetti vorticarono senza però riuscire a colpire Shaw, inghiottiti come se il suo corpo avesse fame di rabbia.

-L'odio richiede equilibrio, Erik.-

Parlò tranquillamente, come se si trovasse lontano da lì chilometri, mentre nella stanza sembrava che si fossero scatenati assieme una tempesta e un terremoto. Erik riusciva a controllare tutto, ora, compresi i fili dell'impianto elettrico e le tubature. Se fosse stato un adulto con nozioni di ingegneria avrebbe potuto trasformare l'edificio stesso in un'arma letale.

-Devi disprezzare gli altri più di quanto disprezzi te stesso, o finirai per farti male. Non è colpa tua se sei nato con un potere che i tuoi genitori non avevano, non è colpa tua se loro sono morti, non continuare a rimuginare su questo, guarda a quello che puoi fare. La solitudine fa parte dell'uomo, un giorno li avresti seppelliti comunque, ed è meglio che tu lo abbia fatto scoprendo di essere un essere speciale che da adulto mediocre.

Un bagliore e dalla mano destra di Shaw partì qualcosa che colpì violentemente il viso di Erik. Era la copia de “I fratelli Karamazov”.
Le lettere d'oro brillavano ancora, ma di un bagliore sinistro.

-Potrai essere quello che vuoi, quando supererai il senso di colpa.

Un nuovo colpo e stavolta Erik si sentì travolgere in pieno da una sedia.
Era stato lui a muoverla senza rendersene conto? Possibile che non sapesse più controllare il suo potere? O era stato Shaw?

-Potrai anche uccidere Dio, se non riuscirai ad uccidere te stesso.

Ricordare quelle parole riportò bruscamente Erik alla realtà.
Sbattè le palpebre avvertendo una lieve nausea chiudergli lo stomaco. Strinse le mani attorno ai braccioli della poltrona sentendo il corpo posarsi atterra come dopo l'atterraggio da un volo.
Gli era già capitato di provare quella sensazione nel pomeriggio, anche se era stata molto più intensa, con uno strascico emotivo che lo aveva condotto alle lacrime.
Frugando nella penombra di quella camera da letto non fece fatica a trovare lo sguardo di Charles. Il viso, appena carezzato dalla luce tenue dell'alba, sembrava di marmo, le labbra strette avevano quasi una sfumatura violacea.
Respirava a fatica, i capelli scarmigliati e le dita strette attorno a un lenzuolo col quale cercava di coprire malamente il petto.
Sembrava un angelo di pietra, uno di quelli che si vedono a guardia dei cimiteri.
Era stato lui a riportare a galla quei ricordi, si doveva essere svegliato senza che Erik se ne fosse accorto e, vedendolo immerso nella lettura non aveva resistito alla tentazione di sbirciare i suoi pensieri.

-Non avere paura, Charles: non voglio morire.

Perdere tempo a litigare non aveva senso: quella poteva essere l'alba dell'ultimo giorno del mondo.
O la prima di una vita nuova.
Erik pensò che inaugurarla lasciando parlare il corpo fosse la cosa migliore.
Era un tipo di comunicazione che Charles non sapeva decifrare, e al quale rispondeva curioso e affascinato.
Ma non quel giorno.

-Avrei preferito sentirti dire che non vuoi uccidere.

Erik sentì le sue dita massaggiargli piano la nuca.

-Non posso prometterti cose che non sarò in grado di mantenere.
-Tu sei più di tutto questo.

Anche quella frase gli era stata detta più di una volta, e Erik si stupì del significato diametralmente opposto che assumeva a secondo di chi la pronunciava.

-Cosa vedi in me, Charles? Cosa c'è di luminoso? Io non riesco a sentire nulla.
-Se fosse davvero come dici non saresti qui, adesso. Non mi avresti baciato come hai appena fatto.

Erik gli strinse dolcemente il polso, sfregando il pollice dove la pelle si assottigliava facendo sentire il rilievo delle ossa. Portò il dorso della mano alle labbra, baciandolo con devozione.
Non ribatté, non riteneva ci fosse motivo di farlo.
Charles lesse quel pensiero e chiuse gli occhi, lasciandosi sfuggire un sospiro stanco.

-Sappi che non ti mollerò un istante, qualunque cosa accada.

Disse sfoderando una vena risoluta che Erik si rammaricava saltasse fuori così raramente.

-Non ho mai desiderato il contrario.

Rispose sorridendo labbra contro labbra.

-E sappi che farò quanto è in mio potere per fermarti.
-Non mi aspetto niente di diverso.

Erik si perse un istante a contemplare le labbra di Charles, gonfie di baci.
È così che voleva ricordarle, se fosse accaduto qualcosa.
Era a questo che avrebbe pensato prima di uccidere Shaw.
La sua serenità, l'ancora di salvezza che gli avrebbe impedito di annegare nella rabbia.
E che gli avrebbe permesso di uccidere Dio senza fare del male a se stesso.

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