Dio è un architetto (e noi siamo gli architetti di noi stessi)

Jan 25, 2011 18:31






Non so più nemmeno io quanti mesi sono che mi scervello per scrivere un post degno di tal nome su Inception.
Per cercare di spiegare perché questo film (girato da un regista che non mi ha mai esaltata, e meno perfetto di quanto certa critica vorrebbe far credere) mi abbia colpita tanto, e mi sia rimasto dentro così a lungo.
Uno dei motivi credo che stia proprio nella difficoltà di spiegarne la trama: non perché sia chissà quanto complessa (in realtà lo è molto meno di quanto si pensi), ma perché man mano che la si racconta ci si rende conto che perde tutto il suo fascino, se staccata dal contesto del film.
Ecco, quindi, un primo dato di fatto: Inception non è un racconto fatto per immagini, ma un sistema di ingranaggi.
Per assurdo, il suo fascino è più simile a quello dell'Orologio Astronomico di Praga che non a quello de La dolce vita di Fellini.
E il paragone non è stato tirato in mezzo a caso, dato che proprio il tempo (e la sua dilatazione nel mondo dei sogni) è uno dei cardini su cui poggia la struttura stessa del film.
L'altra sono i dialoghi.
Non fondamentali per la loro bellezza o profondità, quanto per l'uso stesso che Nolan ne fa ai fini del racconto: ponti di snodo, fili rossi che guidano lo spettatore in questo contorto labirinto di "livelli".
I dialoghi sono per noi quello che Ariadne è per Cobb: definiscono l'architettura, ci avvertono dei pericoli, creano e guidano.
Nel mondo onirico di Christopher Nolan, Arianna è Dedalo e se stessa ad un tempo, Minosse non rapisce ma offre un'opportunità e Teseo combatte contro un mostro che vive dentro se stesso.




Non già per divenire uomo, come avveniva nel mito greco, ma per ridisegnare il confine tra sogno e realtà.
Tra proprio sogno e propria realtà.
Inception è anni luce avanti Matrix: non regala una teoria buona per i cospirazionisti, non ha intenti mistici o cristologici, Inception parte da una verità scontata, tanto semplice quanto importante: nel sonno la mente libera il suo potenziale, nel sogno la mente crea interi mondi.
Nel sonno e nel sogno, quando è anche più vulnerabile.
Inception parla soprattutto di questo.
Dieci anni di lavoro sulla sceneggiatura, più o meno gli stessi che ci ha messo Cameron per creare Avatar, e due risultati in un certo senso simili, pur nel loro essere diametralmente opposti: la scelta della realtà in cui vivere, il modo in cui viverla, non sono certo cose che possono venirci imposte con la forza.
Siamo sempre noi a scegliere, noi a forgiare il mondo a nostra immagine e somiglianza. 
Inception è uno strano film in cui tutto, dai già citati dialoghi alle musiche alla stessa recitazione degli attori (mai sopra le righe, e studiata assieme al regista) è funzionale alla storia.
Il risultato è un cubo di Rubik affascinante e stordente.
Se dovessi spiegare perché mi è entrato tanto dentro, direi proprio per questo.
(PS: se volete una recensione-bomba, comunque, leggete qui. Io la so praticamente a memoria. Però occhio che spoilera un po'.)

inception, memorabilia, sognatori, cinema, gli uomini della mia vita

Previous post Next post
Up