Dato che sono una persona con palesi problemi organizzativi e praticamente ci metto più a pubblicare che a scrivere, nei commenti trovate i fill scritti per il sesto Cow-T che ancora non hanno collocazione su EFP o su AO3 o vattelapesca /o/
Prometto specchietti introduttivi pre-fic. Lo giuro. :D
Indice fill:
[Originali - Mame] That's amore [The
(
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Fandom: Black Lagoon
Titolo: Stelle nascoste
Wordcount: 858
Note: Ambientata durante le prime puntate della serie.
Le tre del mattino sono l’ora peggiore per essere svegli, e lo sono ancor di più se ci si trova nel freddo delle correnti d’aria del Mare Cinese. I giorni d’estate a quella latitudine sono un susseguirsi di temperature in crescita, così alte che la vernice salmastra della Torpedo si scioglie sopra il metallo bollente e si trasforma in un amalgama appiccicoso di grigio asfalto e bianco salmastro. Le notti, d’altro canto, sono l’esatto opposto; ai gradi celsius in picchiata si aggiunge il vento umido che soffia da nord-est, diretto chissà dove.
Dal calar del sole in poi Benny ha fatto procedere la barca a velocità sostenuta. I clienti non hanno imposto alla Lagoon Company tempi troppo stretti per la consegna di quella merce, ma Dutch ha insistito nel dire che prima se ne liberano meglio sarà per tutti; Rock non vede nessuna ragione per obiettare, tantopiù che in quella missione il suo ruolo è, tutto sommato, quello di semplice passeggero. Ora che è notte, però, la velocità della barca è di nuovo ridotta; il motore emette un ronzio costante, senza alti né bassi, segno che Benny deve aver impostato il pilota automatico per concedersi un paio d’ore di sonno tranquillo. Rock si accende una sigaretta e magari potrei dargli il cambio, pensa, e tira la prima boccata salendo in coperta.
«Ah, sei tu» gli dice una voce appena arriva a prua, e subito la riconosce come quella di Revy; per una volta è tranquilla - lo è stata per tutto il giorno, Rock l’ha capito osservando i movimenti regolari delle sue dita mentre smontava impeccabilmente la pistola pezzo per pezzo, nonostante il rollio - perciò, almeno per quella notte, non teme di ritrovarsi una pallottola in fronte o un coltello puntato alla gola. «Non dormi.»
«Già» le risponde. Non ha bisogno di spiegarle nulla; non lavorano insieme da molto, ma Revy sa già quanto il suo sonno sia incompatibile con lo sciabordio del mare aperto. Si appoggia di fianco a lei, la schiena contro la parete ora gelida della nave; le porge il pacchetto di sigarette senza dir niente, e lei ne pesca una, ma la tiene stretta tra le dita senza fare altro.
Il cielo sopra di loro è limpido; la cappa d’umidità che li ha tormentati durante il giorno è stata spazzata via dal vento, rendendo visibile una miriade di costellazioni. Abituato da tutta la vita alla luminosità della metropoli notturna, quell’ammasso di stelle l’ha sempre intimidito, più che affascinato. Tokyo è fin troppo brava a nascondere le cose, ha pensato la prima volta.
«Le sai distinguere?» gli chiede Revy, ed è quando Rock si volta che scopre che lei lo stava guardando; dev’essere rimasto zitto più tempo del dovuto.
«No. Perché?»
«Sembri uno di quei tipi,» gli risponde, girando la sigaretta tra le dita. «I secchioni che si orientano con le stelle, o roba così.»
«Distinguo la luna dal resto solo perché è più grande. Tanto per darti un’idea.»
Revy sorride. «Sei senza speranza. In qualcosa ti batto, allora.»
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«No» taglia corto lei, «Ma so dov’è il Grande Carro.»
La vede puntare la sigaretta verso il buio, come una bacchetta improvvisata, e poi gesticolare seguendo un percorso preciso. Rock non ha nemmeno la più pallida idea di quale sia la forma del Grande Carro, perciò finisce per guardare prima la sua mano e poi il suo volto concentrato, almeno fino a quando Revy non se ne accorge e s’imbroncia, lasciando cadere il braccio.
«Non che serva a granché,» taglia corto quindi.
«Dove l’hai imparato?» le chiede.
La vede scrollare le spalle. «In un libro. Una volta.»
«Mostramelo di nuovo» dice, rabbrividendo. «Ma prima descrivimi com’è fatto.»
«Come una padella» gli risponde, senza nemmeno aver bisogno di pensarci. «Con il manico curvo.»
«Una padella.»
«A ben pensarci forse è più una casseruola. È più profondo di una padella. Così» spiega, e si abbassa per tracciare con la punta della sigaretta un disegno invisibile sul metallo del pavimento.
Ci vuole un bel po’ prima che Rock riesca ad individuare la costellazione, così tanto che ha perfino il tempo di pensare che Revy quella sera gli sembra diversa, tranquilla almeno quanto lo è stata durante il giorno, più donna che uomo, più umana che macchina assassina.
«Mi piace, qui» commenta, buttando in acqua il mozzicone, e poco gli importa del freddo che oramai gli artiglia le dita.
«Piace anche a me» bisbiglia alla fine. La pietrina dell’accendino libera la sua scintilla, e la brace della sigaretta ormai consunta si accende contro il buio come una nuova stella fioca. «Qui di notte, in mezzo al mare. Perché attorno ho solo gente di cui mi fido.»
Rock non risponde; ha l’impressione che ogni sua parola sarebbe assolutamente superflua, e allo stesso tempo teme di innervosirla, e non vuole; non proprio ora che ha l’impressione di comprenderla un po’ di più. Quando con il dito teso traccia finalmente nell’aria il profilo del Grande Carro, Revy gli sorride.
«Bravo,» aggiunge, e Rock ne è felice, perché è una di quelle cose che nessuno gli diceva da un bel po’.
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