Pull Me Under: ottavo capitolo

Jun 06, 2011 17:29

Titolo: Pull Me Under

Fandom: Original

Rating: G

Conteggio parole: 1571

Disclaimer: Mio! Miei! Tutto mio! Anche se grandemente ispirato a Metal Gear Solid…

Note: 1- La citazione è riciclata da un libro di Stephen King…ups!


I understand you've been running from the man
That goes by the name of the Sandman
He flies the sky like an eagle in the eye
Of a hurricane that's abandoned

America, Sandman

Era impossibile stabilire con esattezza quando, ma in qualche momento nel lasso di tempo a partire dalla mattina in cui avevano visto la foto di Berry che sorrideva al giorno in cui avevano parlato per la prima volta della guerra in Croazia, Doug e Ray erano diventati amici.

Ray se n’era reso conto in quel periodo: se all’inizio si era sentito intimidito dall’altro, ora si sentiva a proprio agio; ed era una cosa strana, perché non ricordava che fosse successo con nessuno che non fosse Berry (e c’era comunque voluto molto più tempo, dato il carattere difficile del suo amico).

In virtù di quell’amicizia appena scoperta, una volta che Doug gli ebbe concluso il suo racconto evitò di chiedergli perché non fosse tornato, benché anche a lui, come a Cas Banac sembrasse la cosa migliore da fare. E d’altronde, perché spingere Doug ad allontanarsi?

Avevano lasciato la Pennsylvania lo stesso giorno che avevano ricevuto i documenti da Banac. Avevano attraversato l’Ohio facendo tappa solo per dormire; in Indiana si erano fermati più a lungo, il tempo necessario per ricevere un paio di carte di credito a nome di una persona che Ray aveva inventato di sana pianta, costruendogli attorno tracce di vita come aveva fatto con lo stesso Raymond Chandler: un certificato di nascita, un numero di previdenza sociale, un conto bancario on line.

In Illinois avevano trascorso quasi un mese, interrompendo la loro fuga precipitosa e prendendosi qualche giorno per tirare le fila. Come Doug aveva supposto, Astor Baüer era ricercato dal NYPD per essere interrogato in ordine alla morte di Betrand Russel. Un paio di giornalisti in articoli successivi a quello della morte di Berry si erano spinti a definire Astor ‘il principale indiziato’, ma che fosse un eccesso di zelo da parte loro o se davvero in mancanza di altre piste la polizia avesse concentrato i suoi sospetti su Astor non si evinceva dai giornali, che comunque avevano abbandonato la notizia abbastanza in fretta, data la mancanza di sviluppi.

In realtà non era la polizia l’incubo più grande di Ray, quanto piuttosto gli acquirenti di LANGOSTA. Doug gli aveva chiesto se potevano rintracciarlo attraverso il suo computer e lui aveva risposto di no: aveva preso tutte le precauzioni per evitarlo.

Tuttavia, come chi sta scappando sente irrefrenabile l’impulso di voltarsi e controllare il distacco dei suoi inseguitori, Ray continuava a cercare indizi che gli uomini di Gripe gli stessero addosso. Il conto suo e di Berry non era stato toccato e gli account che usavano per mettersi in contatto erano stati cancellati. Ray sospettava che il server che era stato messo a loro disposizione fosse stato smantellato, ma non aveva modo di assicurarsene: non poteva tentare di accedervi senza rivelarsi.

Non riusciva a farne a meno, sebbene l’idea che qualcuno si accorgesse di quello che stava facendo lo terrorizzasse. Fu molto sollevato quando Doug decise che era ora di muoversi, dopo aver cambiato auto e messo da parte i soldi ritirati dalle carte di credito.

-Anche se non sono intestate a noi è sempre meglio usare i contanti. Lasciato lo stato saremo ufficialmente criminali federali.

-Non che sia la mia peggior imputazione…- gli rispose Ray.

Dall’Illinois raggiunsero l’Iowa, rimanendo sull’interstatale 76.

-Dove siamo?

-Nello stato dell’ippocastano.

-Eh?

-Ma tu non hai mai messo piede fuori da New York?

Dell’Iowa Ray non aveva affatto un bel ricordo. Si erano fermati a dormire, ma pochi minuti dopo essersi coricato Doug lo aveva scosso.

-Uh? Che c’è?- notò l’espressione dell’altro e d’un tratto gli parve di soffocare.

-Probabilmente niente- rispose Doug, mortalmente serio, - ma c’è una macchina che è già passata tre volte nella strada qui davanti. Forse è solo qualcuno che si è perso, ma non voglio correre rischi.

Meno di dieci minuti dopo erano di nuovo in macchina. Guidarono tutta la notte, prima di fermarsi di nuovo. Quando si addormentò, esausto, spossato dalla paura, Ray sognò l’uomo del vicolo.

Varcarono il confine del Nebraska verso i primi giorni di Ottobre, circa tre mesi dopo la notte in cui si sono incontrati e presero la statale 275, continuando a viaggiare fino al primo pomeriggio.

Ray, che era nato sulle miti coste del Maryland e aveva effettivamente passato tutta la sua vita da adulto a New York, non riusciva a concepire come le gente potesse vivere in un luogo così gelido che non aveva neppure i vantaggi di una grande città.

-Quali sarebbero i vantaggi che offre New York, nello specifico?- gli chiese  Doug, sorridendo. Quell’autunno aveva già nevicato abbondantemente e il paesaggio davanti ai loro occhi appariva silenzioso e pulito. Le strade della cittadina che si stendeva sotto i loro occhi erano ingombre di neve. Uno spazzaneve rosso avanzava lentamente qualche centinaio di metri davanti a loro.

-Beh, a New York la neve si scioglie prima di toccare terra…

-E ti sembra un vantaggio? Succede a causa dell’inquinamento.

-L’amministrazione risparmia un sacco di soldi, non dovendo far spalare la neve!

Doug lo fissò, con un vago sorriso di scherno: - Il tuo problema è che sei un ragazzo di città e non sai cavartela all’aria aperta.

-Tu invece sei un ragazzo di campagna?- ribatté Ray, stando al gioco.

-Io me la cavo sempre.- rispose l’altro, criptico.

Ray diede un incerto sbuffo di risa, sbirciandolo con la coda dell’occhio: - Che facciamo, ora?

Erano scesi in città, Norfolk, a quattro ore di macchina dalla capitale dello stato (si erano lasciati alle spalle la zona più popolata, dove sono situate Lincoln e Omaha) e a quasi un’ora da qualsiasi altro centro abitato. Avevano affittato una stanza in un motel che la neve faceva sembrare una pittoresca locanda e Ray aveva replicato il numero delle carte di credito, facendo apparire dal nulla un ragazzo di 18 anni pronto a ricevere la sua prima American Express.

Norfolk aveva tutta l’aria di essere un posto fuori dal mondo, al di là del tempo. Un piccolo borgo con pochi abitanti. Normalmente questo sarebbe stato un problema, dato che due stranieri avrebbero potuto attirare indesiderate attenzioni, ma nella cittadina del Nebraska regnava un atavico convincimento: se un uomo lavora e non crea problemi non ha senso impicciarsi dei suoi affari. Era una filosofia di vita che Doug apprezzava. Appunto per non dare nell’occhio si trovarono un lavoro in una segheria, lui all’aperto e Ray negli uffici.

Quando non era con Doug, Ray lavorava a LANGOSTA.

Una sera, Doug gli propose una partita a poker.

-Perché no? Ma i miei bluff non sono un granché…

-Sai davvero giocare?- replicò Doug, con un tono così incredulo che Ray scelse di ritenersi offeso: -Certo! Sarei in grado, se non di contare le carte, almeno di formulare qualche statistica.

La notizia parve rendere Doug entusiasta: - A bluffare potrei insegnarti io…

-E poi potremmo provare a sbancare un casinò.- propose Ray, scherzando e al tempo stesso affascinato dall’idea.

Ma Doug mutò atteggiamento e si fece serio: -Non sarebbe affatto prudente anche solo mettere piede in una città dove si gioca d’azzardo: i giocatori sono sorvegliati strettamente e appena qualcosa sembra fuori posto si fanno controlli incrociati con i database della polizia. Forse non sei formalmente indagato per omicidio, ma sei tra le persone scomparse e mi giocherei le palle che nel tuo file c’è un grosso asterisco che rimanda alla morte del tuo coinquilino.

Ray sobbalzò involontariamente: -Hai…hai ragione. Non ci avevo pensato.- rispose, aggiustandosi gli occhiali.

Avrebbe fatto così male ogni volta, ripensare a Berry? Avrebbe sentito le pareti chiudersi su di lui ogni volta che, dopo averlo dimenticato per qualche minuto o qualche ora, avesse ricordato il giorno della sua morte?

-Senti- ricominciò Doug, facendoglisi più vicino -Questo non è un viaggio on the road. Se la polizia ha scoperto di che cosa vi occupavate tu e il tuo amico, e forse non sarà così difficile, con un hacker scomparso e uno ammazzato a sangue freddo, se scopre quello a cui stavate lavorando, l’interesse in gioco diventa la sicurezza nazionale. Faranno di tutto per trovarti. Ci sono un milione di cose a cui fare attenzione, come le telecamere di banche e stazioni, ad esempio.- fece una pausa e accennò al laptop di Ray, che occupava l’unico tavolo della stanza. -La stessa cosa per gli uomini di Gripe: se sono dei professionisti, e da quanto ho visto io ne sono convinto, hanno sicuramente una rete di informatori, da un lato e dall’altro della legge. E noi non possiamo farci notare in nessun caso.

Era ora di parlare chiaro. Doug riteneva di aver rimandato quel discorso fin troppo e il pensiero lo irritava. Però Ray aveva l’aria, a volte, di non essere abbastanza forte per sopportare quello che stava succedendo e Doug si era ritrovato ad indugiare, invece di sbattergli in faccia la realtà. Anche in quel momento, il rosso lo fissava con uno sguardo pericolosamente simile a quello che aveva quando gli ha raccontato tutta la storia.

-Possiamo farlo. Possiamo muoverci nella zona d’ombra, essere invisibili. Fidati di me.- Poteva proteggere Ray, ne era sicuro.

-Va bene.- gli rispose l’altro, e sorrise forzatamente.

-Stai bene?- gli domandò Doug, dandogli una pacca sulla spalla.

-No.- rispose. Sorrise e scosse la testa, come ridendo di se stesso.

Doug gli rivolse il suo ghigno migliore: -Ti insegno a bluffare?

originale, writing, pullmeunder

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