Pull Me Under: secondo capitolo

Jun 20, 2010 15:23

Titolo: Pull Me Under

Fandom: Original

Rating: G

Conteggio parole: 922

Disclaimer: Mio! Miei! Tutto mio! Anche se grandemente ispirato a Metal Gear Solid…

Note: 1- No, niente…






One of these mornings
You’re gonna rise, rise up singing,
You’re gonna spread your wings,
Child, and take, take to the sky,
Lord, the sky.

Janis Joplin, Summertime

Il display sul cruscotto della macchina, una vecchia  Ford del ‘92, segnava le 5:16. Doug rifletté che erano in viaggio da tre ore, ma avevano percorso ben poca strada da quando avevano lasciato il Jack’s Bar, da qualche parte vicino a Charlottesville, Virginia.

Avevano chiesto informazioni su come raggiungere l’interstatale 81 a una pompa di benzina.

-Dalle mie parti si dice: prima di chiedere la strada, assicurati di conoscerla- aveva commentato Jill e, dopo un’ora e mezza di giri a vuoto, Doug e Ray avevano convenuto che era un saggio consiglio. Tuttavia ora Doug guidava sull’agognata interstatale, finalmente rilassato dal sapere dove si trovavano. Diede un’occhiata allo specchietto retrovisore: Ray e Jill dormivano addossati l’uno all’altra sul sedile posteriore. Birgen, seduto nel bagagliaio a cui era stato tolto il ripiano, il testone appoggiato sulla spalliera del sedile, incrociò lo sguardo di Doug con i suoi liquidi occhi marroni.

-Ehi, bello.- lo salutò sottovoce Doug e Birgen si leccò il naso in risposta.

Tutto intorno a loro si stagliava lo spettacolo mozzafiato delle Blue Ridge Mountains, coperte di foschia e più azzurre che mai nella luce incerta prima dell’alba. Doug accostò in una piazzola panoramica, la prima della lunga serie che segnava le tappe del Blue Ridge Parkway, e scese dalla macchina, lasciando lo sportello aperto. Birgen raccolse il suo invito e scavalcò con un balzo i due addormentati, facendo piegare le sospensioni.

Mentre il grosso cane che gli trotterellava intorno attorno annusando ogni cosa, Doug si sedette a gambe incrociate al centro della terrazza ad osservare le montagne e la vegetazione rigogliosa che le copriva; in quel mattino di Luglio le foglie erano verde acceso, ma se fosse stato autunno la sinfonia di rossi, gialli e ocra avrebbe potuto rivaleggiare con le tanto cantate fronde del New England.

Respirando a fonda l’aria fredda Doug scacciò la stanchezza della notte insonne. L’alba si avvicinava di minuto in minuto; presto la macchina sarebbe stata inondata di luce e Jill e Ray si sarebbero svegliati. Doug non vedeva l’ora: esisteva qualcosa di meglio che svegliarsi con il sole che sorge, davanti a una vista così?

Sentiva, in quel luogo, che neppure le azione peggiori lasciavano sul mondo un segno indelebile; lo sapeva, ne era certo. Ray avrebbe sentito la stessa cosa?

Ray era la ragione del suo viaggio. Anzi, a essere sinceri- e bisogna esserlo, dato che Doug se ne rendeva perfettamente conto- il rosso era la ragione della maggior parte delle sue azioni da un anno a quella parte. Prima, non aveva nulla. Non era sempre stato così, ma tre anni di carcere militare avevano inaridito la passione con cui credeva nella bandiera, e una volta uscito…Tutte le sue capacità, tutto il suo talento e niente per cui combattere. Era stato un periodo difficile per Doug, ma poi Ray era arrivato e aveva riportato nella sua vita tutto quello che stava aspettando.

Jill invece era stata un regalo inaspettato del destino, con il suo accento irlandese, quel cane che sembrava più un cucciolo di grizzly e il sorriso più seducente che si potesse immaginare. Doug e Ray erano entrambi un po’ innamorati di lei.

Sentì sbattere una portiera, un rumoroso sbadiglio e l’inconfondibile suono di due persone che rimangono senza fiato.

Jill aveva preso la macchina fotografica e stava immortalando il paesaggio, mentre Ray era andato a sedersi vicino all’amico. Si sentiva incredibilmente felice: seguendo il percorso scelto da Doug avrebbero costeggiato quella vista meravigliosa per quasi tutto il giorno.  Avrebbero attraversato lo stato per poi dirigersi a Sud. Magari si sarebbero fermati qualche tempo in una cittadina abbastanza grande da non dare nell’occhio con i loro trucchi con le carte. Ray se la cavava egregiamente anche con le truffe informatiche e le carte di credito. Jill se n’era stupita: non lo avrebbe creduto il tipo capace di infrangere la legge. Doug aveva sorriso -Il rispetto della legge non è proprio il primo pensiero di Ray. E l’importante è che non si faccia male nessuno, no?- Jill era d’accordo, ma quando si fermavano abbastanza a lungo preferiva cercarsi un lavoro, come del resto faceva Doug.

Era sempre lui a scegliere il loro itinerario e le città in cui fermarsi; era indiscutibilmente il loro capobranco. Agli occhi della gente tutti loro erano una sua proprietà: lei era la ragazza di Doug, Birgen era il cane di Doug e Ray l’amico di Doug, un giovane leone che non aveva speranza di battere il suo rivale. Jill scattò una foto ai due uomini di spalle, riflettendo su quanto fosse sbagliato credere che Ray fosse sottomesso o dipendente da Doug. Perché anche se era Ray ad appoggiarsi alla spalla di Doug, nella vita di sempre e in quel momento davanti a un’alba in Virginia, per dirgli qualcosa di scherzoso, era Doug che pareva sollevato e rinfrancato dal contatto, Jill lo poteva vedere dalla curva della sua schiena, dall’inclinazione della testa…C’era un legame tra i due uomini, ma lei non riusciva immaginare di che cosa si trattasse, né come si fosse originato: che cosa aveva unito l’impacciato Ray, genio del computer e in grado di contare le carte giocando d’azzardo, e Doug, il disciplinato, determinato, ferreo Doug?

Il rullino della sua macchina era quasi terminato, avrebbe dovuto comprarne un altro alla prossima sosta. Si sedette anche lei accanto a Doug e rimasero tutti e tre a fissare il sole ormai alto.

originale, writing, pullmeunder

Previous post Next post
Up