Questa è la prima categoria aperta, promptate, miei intrepidi kinkers!
Fuoco alle polveri e si dia inizio alle danze! \o/
Ricordo che:
1. Un prompt per commento
2. Promptate nel MACRO apposito
2. Fandom - Pairing - Rating vanno nel Titolo
3. Kink e spiegazioni varie nel Commento
DOCTOR WHO/TORCHWOOD GAME OF THRONES/A SONG OF ICE AND FIRE GLEE INCEPTION
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Le strofe che fanno da introduzione e conclusione alla storia sono tratte dall’omonima canzone di Keane che da il titolo alla fic.
C’è un morso sulla spalla di Jon, un bel livido viola che fa a pugni con la sua carnagione pallida, abbastanza definito da distinguere entrambe le arcate dei denti sull’orlo. L’acqua fredda - gelida - gli gocciola dai capelli, appesantendo i ricci, prima di precipitare nel catino. Lui fissa i propri occhi nello specchio opaco, grigi come l’inverno, quasi neri nella penombra della stanza; occhi da Stark.
Sposta lo sguardo sullo sfondo del riflesso, dove, distesa tra le pelli di lupo e d’orso, emerge la figura bianca del signore del castello - il suo fratellastro - il Re del Nord.
Anche il corpo di Robb è disseminato di morsi: sul collo, sulle spalle, su una natica… e, se si voltasse, Jon potrebbe vedere anche quelli sul petto, sull’addome, tra le cosce; i segni dei suoi denti. Si chiede distrattamente cosa ne penserebbe la promessa sposa di Robb.
Sono due iridi azzurre come acqua di fiume, quelle che incontrano il suo sguardo tra una frangia di ciglia bionde; occhi da Tully, anche se è lui a portare il nome degli Stark.
«Che ci fai già in piedi, Snow?» borbotta con voce assonnata, arruffandosi i capelli rossicci, già abbastanza scarmigliati, e soffocando uno sbadiglio nel cuscino. «Vieni qui» allunga un braccio verso di lui, chiamandolo, e non è un ordine, ma Jon ubbidisce lo stesso.
Si ferma sul lato sinistro del letto, proprio davanti a lui e quel braccio gli cinge i fianchi, tirandolo più vicino. La bocca di Robb si poggia accanto al suo ombelico, appena sopra la “V” formata dalle ossa iliache, dove campeggia il segno di un altro morso. Un altro ancora è poco sotto il suo capezzolo e Jon è costretto a poggiare un ginocchio sul materasso, quando suo fratello lo stringe di più per baciarlo. Infila le dita tra i suoi capelli e li tira appena, obbligandolo ad alzare il viso verso di lui. Robb prende una delle sue mani - la destra, quella sfigurata dalle fiamme - e la bacia sul palmo, dove le linee sono confuse in un ammasso di cicatrici. Si fissano in silenzio, poi il Re lo getta sul letto, senza tanti complimenti, e si stende su di lui.
Gli schiocca un colpetto sul naso. «Sorridi, Jon. Abbiamo troppo poco tempo a disposizione perché tu lo sprechi a rimuginare e tenere il broncio».
«Non sto tenendo il broncio» sbuffa e si acciglia, e Robb ride, e la sua voce è calda - solo per lui - lontana eoni dal tono freddo che usa a corte. E quello, sì, malgrado tutto lo fa sorridere un po’.
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«Non metto il broncio, ho diciotto anni, non sono un bambino» Jon gli pianta un pugno leggero tra le costole e suo fratello emette una specie di ouf, e gli si piega addosso, senza tuttavia smettere di ridacchiare.
«Lo so, abbiamo la stessa età, se ricordi» lo rimbecca come un ragazzino, e ci sono un po’ troppe cicatrici sulle sue braccia e sul suo torace per tornare ad esserlo davvero, ma in quel momento non sembra importare.
In quella stanza - la sua vecchia stanza a Grande Inverno - Jon ha l’impressione che la Barriera non esista, che sia una realtà lontana di cui ha solo sentito parlare dal loro zio Benjen, come tanti anni prima - e davvero non sono poi così tanti, ma lo sembrano -, quando non aveva ancora prestato giuramento.
Il Re del Nord è solo Robb tra le sue braccia, di nuovo un ragazzo, non un uomo venuto su troppo in fretta, e lui non vuole pensare a quello che li aspetta fuori dalla porta.
Non era venuto lì per quello. Dopo tanto tempo, era tornato a Grande Inverno per cercare uomini e rifornimenti per i Guardiani della Notte. Robb lo aveva accolto in veste di Re, sorpreso dalla sua visita inaspettata, e con voce fredda aveva scacciato tutti - i suoi lord, la sua corte - fuori dalla stanza. Quando le porte si erano chiuse, lasciandoli soli, Jon aveva visto suo fratello scongelarsi, la sua espressione ammorbidirsi mentre si alzava dal trono per venirgli incontro, la sua figura alleggerirsi mentre lanciava via la corona di ferro nero per abbracciarlo.
«Ben tornato a casa, Snow» aveva sussurrato con il viso affondato tra i suoi abiti neri.
I meta-lupi ululano nel cortile, rincorrendosi e giocando come cuccioli. Da quando si sono ritrovati, Spettro e Vento Grigio hanno prestato a loro due ben poca attenzione, ma Jon non si sente offeso. Non può proprio biasimarli, non mentre Robb gli morde le labbra e vi infila la lingua in mezzo, riempiendogli la bocca. Rotola su di lui, schiacciandolo sul materasso e rabbrividisce quando le sue unghie gli artigliano la schiena, arando i solchi che hanno lasciato quella notte - o forse una manciata di ore prima.
Quando entra in lui, suo fratello gli pianta i denti sulla spalla sinistra, e di lì a qualche ora comparirà un morso gemello a quello che gli ha fatto sull’altra.
Era strano l’uomo che si era trovato davanti. Sotto la barba curata e i lineamenti induriti, c’erano ancora gli occhi di suo fratello - del suo migliore amico - pronti a sorridergli appena non c’era nessuno nei paraggi. La sua voce era cambiata, non era fredda come lo era stata quella del lord loro padre, ma era autoritaria; la voce di un Re.
«Prendi tutto quello che vuoi» gli aveva detto, serio. «Cibo, stoffe, armi, cavalli. Tutti gli uomini disposti a seguirti, e saccheggia pure le prigioni, se non sono abbastanza. In cambio…»
«In cambio?» lo aveva sollecitato lui, accigliandosi. Cosa poteva fare un Guardiano della Notte per il sovrano del Nord? Loro non erano al servizio di Re e Regine.
Robb aveva sorriso. «Verrai a cavalcare con me, domattina. Nelle foreste, solo noi due. Non accetto un no come risposta».
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Ma non è questo il rischio che corre adesso, mentre affonda nel corpo di Robb fino a dimenticare un tempo in cui quello non era naturale, in cui non conosceva il piacere di sciogliersi nel calore di un’altra persona. Il rischio è esattamente quello per cui ad un Guardiano della Notte è proibito - almeno in teoria - prendere una donna: quello di dimenticare il cuore nel suo letto. Ed è nel letto di un Re - sul suo petto, tra i suoi capelli, nella sua bocca - che Jon lo sta lasciando.
«La vita di un uomo dei Guardiani della Notte appartiene al reame. Non appartiene a un Re o a un lord… Un uomo dei guardiani della notte non prende moglie, non genera figli. La nostra moglie è il dovere. La nostra amante è l’onore» aveva detto il vecchio orso Mormont, prima che lui prestasse giuramento.
Sulle labbra di suo fratello, Jon si accorse di averlo infranto. Quel giorno e ancora prima di pronunciarlo, tutte le notti della sua veglia e tutte quelle a venire.
Era arrivato a Grande Inverno sul calar della sera, sotto una leggera nevicata. Dopo tre anni di lontananza, mai visione gli era parsa più dolce di quella delle torri che si profilavano lentamente all’orizzonte.
Robb gli aveva fatto portare cibo caldo e vino dell’estate, si era seduto con lui al tavolo e l’aveva intrattenuto a lungo.
«Hai freddo?» gli aveva chiesto di punto in bianco, posando una mano su una delle sue, guantate. «Chiederò di ravvivare il fuoco»
«No» Per abitudine, lui le teneva sempre coperte. In quel momento le aveva snudate, rivelando prima la sinistra - quella sana -, poi l’altra.
Robb non aveva fatto una piega alla vista della pelle brunita e contorta, solo una piccola ruga al centro della sua fronte liscia aveva palesato la sua preoccupazione. Jon l’aveva piegata davanti ai suoi occhi per mostrargli che l’uso, malgrado l’aspetto, non era stato compromesso.
«Com’è successo?» gli aveva chiesto allora suo fratello, sfiorando senza traccia di repulsione la carne martoriata. Jon glielo aveva raccontato.
«Quando andasti via con zio Benjen, mi dicesti che il nero era il tuo colore preferito. Lo è ancora?» lo aveva interrogato poi il Re del Nord, stropicciando una delle sue maniche, e lui aveva capito cosa gli stesse domandando: era pentito? Avrebbe voluto essere al suo posto? Lo detestava per questo?
Jon aveva fissato la corona ancora buttata a terra. Sembrava pesante; in tutti i sensi. «Ci sono molte cose che desidero e non potrò mai avere, Stark». Aver parlato un ultima volta con il loro padre, aver scoperto chi era sua madre, poter portare lo stesso nome dei suoi fratelli, non vergognarsi delle sue origini, a volte aveva perfino desiderato essere un uomo - magari un cavaliere - qualsiasi. «Essere al tuo posto non è tra queste» gli aveva assicurato senza mezzi termini.
Suo fratello gli aveva stretto brevemente la mano, accarezzandogli il dorso sfigurato con il pollice.
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Jon rallenta per puro dispetto, si tira su in ginocchio, gli afferra i fianchi e lo tiene fermo. Suo fratello ringhia, frustato, con un colpo di reni si mette seduto e lo spinge forte sulle spalle, riuscendo a buttarlo giù. Un attimo dopo è sopra di lui, a cavalcarlo, aperto come una puttana, dominante come un re.
Lui lo osserva gettare indietro il capo, dondolare i fianchi quasi troppo veloce per essere sopportabile, e lo vede bianco, forte ed implacabile, come il nord. Re dell’Inverno lo chiamano anche. Jon l’inverno lo conosce, quello vero, quello oltre la Barriera, quello che è tenuto a sorvegliare. Robb gli somiglia un po’ troppo; stesso fascino ineluttabile, pericoloso.
La foresta era come la ricordava, aveva riconosciuto ogni albero, ogni sentiero. Lui e Robb avevano lanciato i cavalli al galoppo e gareggiato fino a raggiungere il fiume, con Spettro e Vento Grigio al loro fianco, concorrendo anch’essi.
«Quanto resterai?» gli aveva chiesto suo fratello, quando si erano fermati.
«Una settimana, forse due, non di più».
Robb si era accigliato. «Troppo poco, sarà sempre troppo poco».
«Tornerò tra qualche mese, per il tuo matrimonio» aveva voluto rassicurarlo Jon, ma questo non era parso essere utile, affatto.
Il respiro di Robb è tranquillo, sul suo petto. Il suo corpo pesa - non è certo quello di un ragazzino, ormai - ma non importa.
«Com’è lei?» si ritrova a chiedergli.
«Chi?» risponde suo fratello, la voce soddisfatta, assonnata.
«La tua futura sposa».
Lui sta zitto così a lungo che Jon arriva a pensare che non voglia rispondergli, o che si sia addormentato. «Intelligente, discreta, abbastanza simpatica. Non è una bellezza, ma non è nemmeno spiacevole da guardare. Una ragazza normale, amabile» rivela infine. Poi si stringe a lui e per qualche secondo sembra il quindicenne che ha lasciato tre anni prima per andare sulla Barriera.
Jon sente la gola chiudersi in un nodo. Preferirebbe che la Frey che ha scelto fosse un po’ più bella e un po’ più antipatica; sarebbe più facile odiarla.
«Un giorno, quando i miei figli saranno adulti e mia moglie si sarà stancata di me, abdicherò e salirò sulla Barriera» dice all’improvviso Robb, il suo tono è onesto, determinato, adulto, ma la promessa è quella di un ragazzino.
«Non dire cose di cui potresti pentirti» lo redarguisce lui.
«Pentirmi di raggiungere te? Impossibile» dichiara.
Jon osserva i loro corpi intrecciati, disseminati di segni inequivocabili. Sono due bambini che giocano a fare gli adulti, o due adulti che giocano a fare i bambini? Vorrebbe avere una risposta. Vorrebbe chiedergli di essere delicato con il cuore che, in attesa che lui glielo riporti, sta lasciando lì.
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