“L’opera al nero” è la storia di un personaggio immaginario, Zenone, medico, alchimista, filosofo, dalla nascita illegittima a Bruges nei primi anni del Cinquecento, fino alla catastrofe che ne conclude l’esistenza.
Il racconto lo segue nei viaggi attraverso l’Europa ed il Levante, lo vede all’opera nell’esercizio della medicina, sia al capezzale degli appestati sia presso i sovrani, intento a ricerche in anticipo sulla scienza ufficiale del tempo; lo segue nei perpetui e rischiosi spostamenti, tra rivolte e compromessi. Zenone rappresenta un esemplare umano che ha attraversato il Rinascimento dietro le quinte e sta tra il dinamismo sovversivo degli alchimisti del Medio Evo e le conquiste tecniche del mondo moderno, tra il genio visionario dell’ermetismo e della Cabala e un ateismo che osava appena chiamarsi tale. Il destino, il pensiero del personaggio sono ispirati al grande chimico tedesco Paracelso, a Michele Serveto, dedito anche lui a indagini sulla circolazione sanguigna, al Leonardo dei Quaderni e a quel filosofo singolarmente audace che fu Tommaso Campanella. Una folla di comparse, mercanti, banchieri, ecclesiastici, operai, donne di ogni livello in cui nulla è sacrificato al pittoresco ma nel quale i decenni 1510-1569 ci appaiono in un aspetto nuovo, quotidiano e, al tempo stesso, sotterraneo, attraverso immagini colte dalla strada maestra, dal laboratorio, dal chiostro, dal banco di vendita, dalla taverna e, infine, dalla prigione.
Romanzo intenso e solido, nel quale la Yourcenar dimostra una acuta indagine storica ed interpretativa del tempo che fa da sfondo alla narrazione (il Cinquecento).
Zenone, il protagonista, alchimista della materia e della vita, cerca di trovare le sue risposte al bisogno istintivo dell’essere umano di conoscere l’essenza delle cose, anche per capire la natura umana, il senso dell’esistenza, e le leggi che regolano il cosmo.
Intorno, ruotano e si intersecano le vicende di altri personaggi ben caratterizzati e, sullo sfondo, un riuscito affresco storico e culturale.
“Da circa mezzo secolo si serviva della mente come di un cuneo per allargare, meglio che poteva, gli interstizi del muro che da ogni parte ci stringe. Le fessure si dilatavano, o piuttosto sembrava che il muro perdesse da sé la propria compattezza senza tuttavia cessare d’essere denso, quasi muraglia di fumo anziché di pietra”.
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