Le scadenze corrono avanti velocissime e poi mi fanno lo sgambetto nascoste dietro gli angoli.
Io mi trovo con il culo per terra e sorrido.
Per esempio:
Ho scoperto un paio di ore fa che domani scade il bando per il dottorato nella mia università (Statale di Milano, via Festa del Perdono, luogo ameno strutturato in chiostri e popolato da fanciulle mozzafiato e maschietti interessanti).
Sono quindi un paio di ore che io sono preso da:
- calore dell'anima che si infervora: io voglio provare il dottorato e ce la farò, ora colleziono in spiccioli i cinquanta euro di ammissione facendo fare colletta a mamma papà fratello e cane e domani mi presento con il mio pugnetto di monetine alle poste, poi in segreteria studenti, infine SIFA online e all'ultimo in Dipartimento di Filosofia. Vincerò anche questa battaglia.
- gelido raziocinio: cosa diavolo vuoi fare? Tanto il dottorato se anche lo vinci, lo vinci senza borsa; e senza borsa non te lo puoi permettere. Poi te di filosofia non ne sai un bel niente. Ci sono tutti quei fighetti che passano la vita a studiare negli scantinati del Dipartimento di Filosofia e quando escono a prendersi un caffè disquisiscono di quello che hanno letto anche con il cestino dei rifiuti: loro sono animali da Dottorato. Tu no, li hai sempre presi in giro; forse per questo sei più intelligente di loro? Anche se tu fossi intelligente più di loro, ciccio bello, non ti serve a nulla, perché tanto lo sai quello che fanno i dottori di ricerca: studiano, leccano il culo, portano a spasso il cane del Prof. E tu non sei adatto. Tu sei una dannata persona complessata, che odia i luoghi chiusi e le persone arroganti; non sopporti i vecchi che vogliono farti la paternale; non sei mai riuscito a seguire un corso di lezioni intero, ma hai semplicemente conosciuto quelle tre-quattro ragazze che ti interessavano e poi ti sei ammalato/ ti sei ritirato a fare altro.
ALT!
Stiamo arrivando al punto.
Perché voglio diventare Dottore di Ricerca? Mi sono fatto questa domanda.
La risposta è scandalosa.
Lo voglio fare perché voglio avere un'altra possibilità, una scusa per rimanere in Università.
Io quel posto lo adoro. Mi ci trovo benissimo. E credo che qualcosa lì sia per me ancora da scoprire.
Insomma, per me è un'esperienza inconclusa. Non so perché ma mi sembra di lasciare chissà quali fili sospesi.
La verità è che mi sento solo. Anzi: sono solo. Non nel senso di quegli sfigati che non li vuole nessuno. Però se io volessi uscire, adesso, boh! non saprei proprio chi chiamare. Non ho un gruppo con cui faccio delle cose. Sogni, progetti, cose di questo genere. Sono dannatamente e fottutamente sulla mia strada. La cosa traumatica è che mi sembra che gli Altri (il mondo esterno, il girotondo dei volti) tendano a considerarmi molto più foderato di contatti e molto più tranquillo di quanto in realtà io sia. Eppure mi sento senza rete di supporto.
Qui casca l'Università Statale. Per me è il luogo del desiderio. Il ricettacolo di molti miei pensieri positivi. Questa situazione è ciò che sta diventando morboso. La mia proiezione. Io vedo i chiostri di quell'università come un luogo aperto, popolato da persone che vedi quasi tutti i giorni e con cui ti senti un po' a casa. Persone che al tempo stesso sono ancora tutte da scoprire.
Poi lo scenario si sposta improvvisamente. Sono in un ufficio. Seduto alla scrivania. L'aria è condizionata, puzza d'artificio. Ogni tanto qualche collega fa una battuta idiota. Tutte le mie attenzioni sono per il capo settore, una bionda che avrà quaranta anni. Quando finiamo di lavorare ce ne torniamo lentamente a casa, a piazzare i nostri culi sulle poltrone del salotto. Sentiamo gli amici. Oggi siamo troppo stanchi. Buonanotte.
AAAAAAARGH: claustrofobia. Non è l'idea di lavorare, ma quella di essere fermo, statico, inchiodato. Come se i chiostri fossero una fiumana in continuo ricambio (in fondo è così) mentre la vita che mi aspetta - l'ufficio o chi per esso - la continua ripetizione di routine in via di consolidamento, una prigione con poco spazio per colpi di coda e cambiamenti dell'ultima ora.
Cosa ne sarà della ragazza con gli occhi azzurri affusolati?
E del vecchio Aquila che vende libri di fianco alle macchinette del caffé ma che tutti sappiamo essere un informatore degli sbirri?
Che fine faranno le sciure del Dipartimento di Filosofia? Le bariste idiote che lavorano nel sotterraneo della mensa?
Cristo, che tristessa.