Corsa delle 48 ore (II ediz);

Jul 01, 2016 22:10


Le flash fictions citate nei commenti partecipano alla Corsa delle 48 Ore - Seconda Edizione, indetta dal forum Torre di Carta.

writing, prompts, drabble, fan fiction

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Prompt: frase tratta da It; justhedley July 3 2016, 13:02:28 UTC
Mostro;

“E quasi per sbaglio Eddie scoprì una delle grandi verità della sua infanzia: i veri mostri sono gli adulti.” - It, Stephen King

Mostro.
Era quello il nome che si era scelto in silenzio: era così che si chiamava per esortarsi a dire o a fare qualcosa. Per cercare di convincersi che non aveva paura.
Mostro.
Anche i suoi genitori lo chiamavano così: sua madre non lo pronunciava mai ad alta voce, ma il bambino glielo leggeva negli occhi.
Suo padre, invece, glielo sputava in faccia di continuo. Lo mormorava mentre lo gettava nel fienile per chiuderlo dentro, quando gli lanciava la terra negli occhi per farglieli chiudere.
Il suo nome - quello vero - veniva evocato talmente di rado che il bambino stava incominciando a dimenticarlo. Tanto non era quello giusto: quelli come lui, venuti al mondo con il marchio del diavolo, non meritavano di venir chiamati con un bel suono.
Quelli come lui potevano solo provare vergogna e prendersi a pugni, e a tirarsi da soli la sabbia negli occhi per non doversi più guardare allo specchio.
Per non dover più guardare e basta.
Una volta ci aveva anche provato, il bambino, a rovinarsi quegli occhi. Aveva preso un ciottolo e si era graffiato le iridi fino a farle sanguinare, ma non era servito a nulla.
Lo scintillio inumano, le pupille a fessura, erano rimasti. Nel giro di giorni, i suoi occhi erano tornati come prima. Sua madre, invece, si rinchiuse nel fienile e non ne uscì mai più.
Per colpa del bambino: per colpa del mostro.

Una settimana più tardi, tuttavia, qualcosa cambiò.
Era un pomeriggio come tanti e lui stava piangendo accovacciato sul fiume, gli occhi grandi e sbagliati distorti dal riflesso.
Stava tirando su col naso, quando una mano l’afferrò per il collo, spingendogli la testa sott’acqua.
Il bambino inghiottì subito acqua, l’orrore che si dimenava in lui come una creatura infuriata.
Cercò a sua volta di divincolarsi, agitando le braccia per sfuggire all’abbraccio dell’acqua.
Se avesse potuto avrebbe continuato a piangere anche mentre soffocava, tanto era il dolore che si sentiva nel petto. Era un mostro, eppure era appena un bambino: soltanto un bambino.
Perché lo volevano morto?
Continuò a lottare con furia, fino a quando non si sentì attraversare da una scarica di energia sconosciuta. Era nell’acqua, ma per un istante si sentì andare a fuoco, mentre volute di fumo azzurro fluivano dalle sue dita.
Fu un attimo: la mano che lo ghermiva lo lasciò andare e un grido agghiacciante di dolore spezzò l’aria.
Il bambino emerse tremante dall’acqua e si voltò boccheggiando, le mani appoggiate a terra per riprendere fiato.
Il suo aggressore giaceva a terra, avvolto dalle fiamme: lo riconobbe, nonostante il suo corpo inerme fosse in gran parte carbonizzato.
Il ragazzino gridò, rannicchiandosi su se stesso. Le lacrime del fiume gli imperlavano il viso, mescolandosi a quelle dei suoi occhi così sbagliati, ma che conoscevano così bene il pianto dei bambini umani.
L’uomo che aveva tentato di ucciderlo era suo padre.
“Ayah” lo chiamò fra i singhiozzi, sbattendo i pugni contro il terreno argilloso. “Ayah!”
Le parole d’odio e di disgusto del padre gli mulinarono dentro fino a quando non ebbe nemmeno più le forze per pensare.
Fu quel giorno che, quasi per sbaglio, il bambino scoprì una delle grandi verità della sua infanzia: i veri mostri erano gli adulti.

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