Titolo: Midnight Kiss
Titolo Capitolo: Pugni, Sangue e Carezze
Fandom: Original
Personaggi: Joël Dixon, Lukretia Jansdottir
Rating: Arancione | VM17
Conteggio Parole:
Avvertimenti: Non per stomaci delicati, Linguaggio esplicito, Angst, Lime
Genere: Drammatico, Horror, Sovranaturale, Sentimentale
Disclamer: Tutti i personaggi sono maggiorenni, sono di mia totale creazione e dunque mi appartengono (© Juliet).
Dedicato ad Ugo.
Midnight Kiss, capitolo 3 - Pugni, sangue e carezze; scritto e ideato da
Shileen.
Sedici anni prima.
« Lukretia, tesoro, ti prego, dà quella bottiglia a tuo padre. »
Il tono di voce con cui sua madre le si rivolse era supplicante, la stava letteralmente implorando mentre frenava a stento un pianto straziante che le stava dilaniando il petto. Come se quello fosse il suo vero padre poi. No ... suo padre aveva avuto la brillante idea di sparire nel nulla prim'ancora che lei nascesse. Ma comunque non era certo quella la prima scena violenta alla quale la bambina è stata costretta ad assistere: il suo patrigno, ubriaco, ancora una volta, e sua madre vittima degli abusi di quella bestia con cui aveva ancora il coraggio di dividere il letto. Solo che di solito suo fratello - il figlio di quell'uomo brutale - era lì, pronto a stringerla tra le sue braccia e a consolarla, cullarla in un dolce e morbido abbraccio ed assicurarle che tutto sarebbe andato meglio, che tutto si sarebbe sistemato, prima o poi.
« Nej. » No.
« Lukretia ... »
« NEJ ! »
Lo schiaffone che seguì quel suo rifiuto, sputato nella lingua d'origine tanto odiata dal patrigno, le arrivò in pieno volto travolgendola e facendola rovinare a terra, dove piombò su quel tappeto morbido e soffice sul quale giovano tutti assieme, tempo prima. Molto tempo prima.
Una neonata dai capelli come cortissimi filini d'oro puro e dagli occhi dell'acqua più limpida si stava rotolando a terra, avvolta dalle braccia sottili e delicate di quella che con tutta probabilità doveva essere sua madre. Lei, la donna, era bellissima: una cascata di capelli liscissimi, castani, tinti da delicate e naturali sfumature rossastre, le scendeva impetuosa oltre le spalle e andava a solleticare il visetto paffutello e delizioso di quella specie di bambolotto con cui si trastullava, sopra il tappeto morbido e profumato di lavanda, di buono e pulito. E così com'era iniziato, l'idillio fu spezzato con violenza dal rumore di vetri che si fracassano in terra, proveniente dalla cucina. Era George, il suo secondo marito, conosciuto in Svezia per disgrazia. Sembravano perfetti insieme: lei, lui, la bambina e Joël, il figlio che George aveva avuto dalla prima moglie ... ma la perfezione di quel rapporto duro appena qualche mese dopo il matrimonio. Poi lui cominciò a bere, e la fine si fece sempre più prossima. La donna alzò la testa, spaventata, e raccolse a sé la piccola, stringendosela al petto e cullandola come si fosse impaurita e andasse consolata; a dire il vero, tra le due, la più inquieta era proprio lei: la bambina, ignara, non s'era affatto curata del rumore proveniente dalla stanza accanto, quasi non l'avesse sentito. Poi furono le grida grosse di un uomo che chiamava a gran voce la donna a disturbarla e a farle arricciare il nasino minuscolo ed aggrottare le tenere sopracciglia bionde, quasi bianche.
« EDITH ! EDITH ! Vieni un po’ qui ! »
La donna si guardò un attimo attorno, cercando forse un riparo più confortevole dove riporre la creaturina che ancora stringeva al petto, la sua creaturina, che voleva a tutti i costi salvare dalla furia distruttrice del marito ubriaco ancora una volta .. come il giorno prima, e quello prima ancora. Cominciò allora, e da allora quella casa divenne l'inferno. Un nuovo rumore di vetro infranto la mandò letteralmente nel panico: se non si fosse data una mossa la violenza dell'uomo sarebbe stata riversata sulla piccola, oltre che su di lei, e questo non poteva permetterlo.
« Questi bicchieri sono proprio fragili, Edith ... che cazzo di bicchieri hai comprato, Edith !? EDITH ! »
Lasciò la piccola sul tappeto, tanto morbido e caldo, assieme ai suoi giochini e ai peluches con cui si può trastullare una neonata, poi scappò da lui, anche quella volta lasciando che si sfogasse su di lei.
Lukretia batté le palpebre un paio di volte: l'unico odore che adesso emanava quel tappeto era una puzza opprimente di muffa e di stantio, di cose non lavate, piene di polvere. La bottiglia di vodka che reggeva tra le mani in precedenza cadde al suolo assieme a lei ed il liquido trasparente e lucido, così simile e così profondamente diverso dall'acqua, iniziò a spargersi sul tappeto, macchiandolo ed inzuppandole i bei capelli biondi da bambola di porcellana, suo vezzo e vanto incredibile. Le lacrime iniziarono a scenderle giù dagli occhi un istante dopo, mentre in testa le risuonava la voce della madre che provava a calmare il marito e spingerlo lontano dal corpicino immobile della bambina - avrà avuto nove anni al massimo - abbandonata là ... sul tappeto, a se stessa.
La porta di casa si spalancò all'improvviso e porse agli occhi di Joël una scena che il ragazzino aveva sperato di non dover mai vedere: sua sorella a terra. Ma, pensò subito, forse era solo scivolata, magari non era stata toccata affatto da quel lurido verme capace solo ad ubriacarsi e a sporcare le persone che gli sono accanto con la sua presenza immonda e che, per un orrido scherzo della natura, era suo padre ed il patrigno di quell'angelo innocente e puro ch'era la sua sorella acquisita dopo il matrimonio di suo padre con la donna svedese. Magari lui non c'entrava niente, e, contro ogni aspettativa, il ragazzo lo sperava vivamente; sarebbe stato di gran lunga meglio ... per l'altro, s'intende. Poi l'odore pungente e tipico della vodka gli arrivò al naso in una zaffata d'aria improvvisa e l'attenzione dei suoi occhi cadde di colpo sulla macchia di liquore lucido e trasparente che si stava allargando sempre più, investendo totalmente la figuretta scossa della sorellina, quell'angelo trovatosi per disgrazia in mezzo al letame. Gettò lo zaino mezzo rotto che aveva in spalla per terra e si lanciò verso la bambina riversa sul tappeto, coprendola agli occhi dei genitori con la sua sagoma - un po’ troppo grossa per un ragazzino di quattordici anni - e cercando di smuoverla piano, con ferma delicatezza, giusto per accertarsi che fosse ancora viva. Lei teneva gli occhi fissi nel vuoto innanzi a sé, come fosse ormai esanime, eppure le palpebre battevano ancora ritmicamente: era solo sotto shock. Si scostò da quel corpicino minuto e solo allora degnò di attenzioni la madre degenere e il suo uomo, rivolgendo ad entrambi uno sguardo terribile e minaccioso, come potrebbe essere quello di un grosso felino che ha appena puntato la sua preda o quello di un lupo - sì, un lupo - che sta per fiondarsi sull'essere che si è scelto per cena.
« Tu. » Sputò, rivolgendosi a suo padre. « Che le hai fatto ? »
Il tono che usò non ammetteva repliche, perché la sua non era una semplice domanda: era una richiesta perentoria alla quale bisogna dare la giusta risposta, né più né meno. Una mossa sbagliata e quel cucciolo d'uomo - almeno all'apparenza tale - chiuso in un corpo fin troppo grande e muscoloso per i suoi anni, gli sarebbe saltato addosso ... era evidente ed inevitabile. George, l'uomo senza spina dorsale che aveva scaraventato a terra con uno schiaffo, senza il minimo rimorso, una creatura indifesa e minuscola - la bambina bionda e angelica - fissò con disprezzo il ragazzetto, squadrandolo dall'alto verso il basso con lo sguardo che si potrebbe riservare ad un lurido insetto prima di schiacciarlo senza rimorso. E - com'è che si dice ? - fu la goccia che fece traboccare il vaso: Joël scattò come una furia e tale divenne fino alla fine del massacro con cui poneva un macabro termine alla vita inutile di quei genitori indegni. In un lampo di incredibile lucidità e di fermezza senza eguali, il ragazzo balzò agilmente sopra la coppia che cadde a terra rovinosamente e ringhiò forte verso i loro volti sconcertati, come un lupo che s'è appena tolto il manto da pecora e salta addosso al suo pastore. Il volto sfigurato dalla rabbia e reso irriconoscibile dall'odio profondo che trasudava da tutto il corpo si mosse di lato, a scrutare con la coda dell'occhio la figuretta immobile della sorella riversa su un lato, faccia al muro, impossibilitata ad assistere alla scena macabra, e quindi, come tranquillizzato, iniziò la sua sadica vendetta, straziando e dilaniando a morsi e graffi le carni delle sue vittime. Zittì la matrigna sbattendola con furia contro il muro e facendole istantaneamente perdere conoscenza e subito le sue attenzioni furono per George: con lui fu sadico, violento e spietato. Lo bloccò a terra tenendo una delle due mani premuta sul suo collo, quasi rischiando di spezzarglielo, e con l'altra iniziò a riempirlo di pugni, deciso a smetterla solo quando l'altro non avrebbe avuto più la forza di muoversi; per allora artigli bianchi, come d'avorio, affilati come lame, presero il posto delle sue unghie e zanne inquietanti soppiantarono i suoi denti, imponendosi come armi di guerra grazie alle quali poté straziare le carni di suo padre con una ferocia che non credeva di possedere fino a quel momento. Il lupo s'era destato dal sonno, e quello fu il suo primo pasto.
Un'ora dopo, il mostro fermò il suo impeto implacabile e fissò i resti sanguinolenti e smorti di quelli che un tempo erano i suoi genitori. Si accucciò a terra, ansimante, e prese a pulirsi il volto lurido di sangue con la stessa maglietta che indossava mentre le zanne e gli artigli scomparivano pian piano. Si alzò rapidamente e si diresse senza troppi pensieri nella stanza che divideva con Lukretia, raccattando un paio di borsoni da palestra e ficcandoci dentro tutto ciò che, ad occhio e croce, avrebbe avuto senso portarsi via: vestiti, soldi rubati dal portagioie dove Edith li nascondeva, il suo coltellino svizzero e scorte di cibo - per ogni evenienza. Già era pronto a tornare in salotto quando si trovò davanti la bambola di pezza di sua sorella. L'afferrò con delicatezza e tirò su col naso, mentre tornò nel luogo del massacro.
« Andiamo via piccola ... andiamo a stare da Mike per un pò. »
Lukretia non capiva - non poteva capire - e così si limitò ad alzarsi priva di forze dal tappeto nemmeno se fosse uno spettro, bianca come un cadavere e con gli occhi limpidi come il cielo persi nel vuoto. Joël le ficcò in braccio la bambola e le sorrise, forse cercando di rassicurarla, con scarsi risultati, poi la trascinò fuori da quella casa infernale, tirandola come fosse incapace di muoversi e lei così preferì camminare: aggrappata a suo fratello come ne fosse un'appendice inscindibile.
Sette anni dopo.
Era al centro di tutte le attenzioni, era il catalizzatore di tutti gli sguardi delle persone ammassate in quella discoteca chiassosa, nella periferia Londinese: era uno spettacolo alla mercé di tutti. La cascata fluida e luminosa di capelli quasi bianchi, di quel biondo abbacinante, vorticava sensuale attorno al volto sottile, al collo affusolato e alle spalle morbide, avvolgendola come avesse vita propria; gli occhi erano chiusi e le labbra socchiuse appena, sognanti, mentre il suo corpo perfetto si contorceva a ritmo di musica come a pretendere di essere osservata, di essere mangiata con gli occhi, di essere desiderata e bramata. Era palesemente sotto l'effetto di qualche droga, o quanto meno doveva essere ubriaca, poiché il suo modo di muoversi al ritmo con la musica elettronica aveva un ché di strano, sembrava un serpente ammaliatore.
Continuava a ballare, e il mondo attorno a lei vorticava senza sosta, riempito di luci strane e colorate, incredibili: sembrava il Paese delle Meraviglie !
Non si accorse delle mani che le scivolavano languidamente addosso, toccandole le cosce morbide e il sedere perfettamente tondo; non si rese conto nemmeno delle braccia che volevano intrappolarla e delle bocche che le baciavano le labbra e il collo. Si sentiva al centro di un uragano, di un ciclone iperbolico senza via d'uscita e se inizialmente pareva starci bene, dopo poco perse la cognizione del tempo e dello spazio; si sentì soffocare e senza via d'uscita. Una lupa dentro di lei le graffiava il cuore e le ululava nella testa, ordinandole di andare via da quell'inferno in cui s'era cacciata da sola, ma non era più in grado di muoversi, il suo corpo pareva non avere alcuna intenzione di risponderle e la paura le stava scivolando come un veleno dentro le vene bloccandole il respiro e opprimendola.
Joël era nel bagno del locale, una moretta niente male gli aveva lanciato occhiate languide per tutta la serata e, beh, se l'era proprio cercata quella sveltina. D'altro canto non avrebbe potuto chiedere di meglio: le braccia muscolose l'avevano stretta con vigore mentre la facevano sua, e gli addominali scolpiti e perfetti premevano contro la sua schiena nello schiacciarla contro il lavandino del bagno e tenerla così bloccata, in posizione prona innanzi a sé. Non poteva chiedere di meglio: è stata con una bestia e lui l'ha trattata come una regina, non le aveva nemmeno lasciato troppi segni addosso. I segni vanno lasciati sulle proprietà, non sul cibo.
Quando tornò nella zona centrale della discoteca, sazio della sua cena e soddisfatto, ebbe un colpo al cuore che quasi lo fece smettere di battere, un pugno in pieno stomaco avrebbe fatto certamente meno male di quello spettacolo: sua sorella, sul cubo, a far mostra di sé come fosse una Dea. Il vestito nero che indossava le fasciava il seno florido e ben disegnato, e le scendeva morbido su quei fianchi perfetti, terminando appena sotto i glutei sodi e tondi; ogni suo muscolo palpitava di energia e lei stessa sembrava una creatura mitologica trasudante seduzione da ogni poro. E non solo si scoprì terribilmente eccitato innanzi a quella visione, ma si sentì furioso e inerme al pensiero che altri mille ragazzi e uomini là dentro si stavano eccitando addosso a sua sorella, al suo angelo. La rabbia proruppe all'improvviso, violenta e incontrollabile e lui, semplicemente, seguì i suoi istinti, spintonando la folla e correndo tra la calca umana per farsi spazio e raggiungere la ragazzina - una sedicenne con troppe curve per la sua età, a detta del fratellastro ovviamente - pronto a strapparla via dalle mani bramose che la toccavano e dalle voglie altrui e tornare a proteggerla, così come aveva sempre fatto, così come avrebbe continuato a fare sempre.
Lei non fece nemmeno in tempo a rendersi conto della situazione, non si accorse di quello che accade attorno a sé perché alla disgustosa sensazione di mille mani estranee che le esploravano il corpo si era sostituita quella dolce e meravigliosa delle grosse braccia di suo fratello che l'accoglievano a sé, togliendola via dalla marmaglia e portandola al sicuro, come sempre. Sorrise nel suo stato incosciente e nemmeno si accorse delle grida di Joël che le dava dell'idiota per aver preso quella merda che faceva uscire fuori di testa, quella merda che toglieva ogni freno inibitore, quella merda che avrebbe dovuto giurare di non prendere mai più. Avrebbe giurato, avrebbe giurato qualsiasi cosa pur di compiacere suo fratello, avrebbe fatto tutto per lui. Non sentì la preoccupazione nella sua voce, né sentì il rumore della portiera della macchina che si chiudeva o quello della porta di casa - il bilocale striminzito che chiamavano casa - che s'apriva dopo una mandata di chiavi.
Si lasciò stendere sul letto, prova d'ogni forza, e si accoccolò alla gigantesca sagoma dell'altro quando questi le si distese accanto con un sospiro sofferto: il suo angelo, la sua sorellina, dov'era finita ? Quel corpo di giovane donna in fiore era sbocciato all'improvviso sotto i suoi occhi increduli e lo stava ammaliando, nonostante tutta l'assurdità della situazione. I suoi occhi chiusi erano una benedizione, perché guardare le pozze liquide di puro ghiaccio disciolto ch'era gli occhi della sorellastra era per lui un sacrificio, avrebbe lei riconosciuto lo sguardo morboso che di sfuggita si poteva scorgere sul volto di Joël e l'avrebbe allontanato da sé, cosa decisamente impensabile. Certo, non erano fratelli di sangue, eppure il loro affetto superava di gran lunga quello di molti che condividevano lo stesso padre e la stessa madre. Ma non fece in tempo a continuare le sue riflessioni che la ragazza al suo fianco si mosse languida, tirò su una mano e la fece scivolare dal fianco del fratellastro sino alla sua spalla, percorrendo il profilo perfetto degli addominali scolpiti e dei pettorali marmorei con una calma terribile, nemmeno stesse venerando il corpo altrui come quello di un Dio; poi allungò una gamba nuda oltre quelle dell'altro, come a volerglisi mettere cavalcioni, e gli si distese addosso morbidamente. Era ancora strafatta, era evidente.
« Sono troppo piccola per te, vero ? »
Proruppe nel silenzio surreale di quella camera totalmente al buio con la sua voce d'angelo e Joël rimase spiazzato, muto per la sorpresa e l'assurdità di quella domanda di cui non capiva il senso. Tornò a guardare il volto sottile di Lukretia e si trovò un paio di occhi limpidi e puri piantati su di lui, con la loro bellezza prorompente e irresistibile.
« Io non sono come quelle che ti scopi nei bagni dei locali, vero ? Non sono abbastanza, per te ? »
Fu un altro colpo al cuore quella domanda: lei sapeva. Anzi, molto probabilmente si era fatta dare la droga o quella merda che l'aveva ridotta in quello stato proprio perché aveva visto il fratellastro - il suo adorato fratellastro - chiudersi nel bagno con una moretta del cazzo, una delle mille donne tutte uguali che si vedono nelle discoteche.
Aveva preferito quella sciacquetta a lei, l'angelo, e questo non poteva perdonarglielo: doveva fargli rimpiangere quel gesto. E ci stava riuscendo. Gli stava facendo perdere letteralmente la testa quella dannata ragazzina. D'altronde che prentendeva da lui ? Che la trattasse come una delle tante puttane prese e poi gettate via nell'arco della sua vita ? Che la violentasse e poi se ne nutrisse come il lupo che ruggiva dentro di lui gli ordinava di fare ? Solo l'idea era assolutamente fuori discussione: lei era un angelo, il suo. Lei era da venerare, non da violare come fosse una ragazzetta qualsiasi. Non rispose ancora una volta alla sua domanda, rimasto ormai senza parole. Lei gli si strusciò addosso, scivolando sì da trovarsi con le labbra a contatto con il collo altrui, che prese a baciare senza trovare resistenza; percorse la linea morbida della sua gola con una calma folle e pazzesca, risalì su per il mento e si avvicinò al suo orecchio solo per porgergli un sussurro dal tono perfidamente basso, quasi letale.
« Non m'interessa chi ti scopi Joël. Sei e resterai unicamente mio. »
Non avrebbe mai osato dirgli di no, non in quel momento, né mai, e prese in mano la situazione, approfittando del momento. Nessun'altra distrazione li convinse ad abbandonare il letto, quella notte.
Nessuno avrebbe mai più avuto la possibilità di sbavarle addosso. Nessuno avrebbe più potuto farla sua: era di sua proprietà, e non avrebbe concesso ad altri di provare a sottrargliela.